Chi è Yulia Navalnaja, moglie di Aleksej Navalny e first lady dell’opposizione russa

Una donna che ha fatto della politica e dell'opposizione a Putin la sua vita, al fianco del marito, Aleksej Navalny. Chi è Yulia Navalnaja

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Giorgia Prina

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Pubblicato: 16 Febbraio 2024 14:44Aggiornato: 19 Febbraio 2024 16:22

Economista e abile stratega, dotata di carisma e fascino, al fianco del marito incarcerato fino alla fine: Yulia Navalnaya è una figura centrale della politica russa. Non è solo la moglie di Aleksej Navalny, principale oppositore di Vladimir Putin, morto il 16 febbraio in carcere, ma è soprattutto il punto di riferimento di chi si oppone all’attuale governo. Qualcuno l’ha definita “la first lady dell’opposizione”, e non sono in pochi ad aver sperato, dopo l’incarcerazione di Navalny, nella sua presa di controllo come guida dell’opposizione e della Fondazione Anti-corruzione (FBK). L’ultima dedica di Aleksey alla moglie risale ad appena due giorni prima della sua morte. Per il giorno di San Valentino aveva scritto sui social: “Tesoro, con te tutto è come in una canzone: tra noi ci sono città, luci di aeroporti, tempeste di neve blu e migliaia di chilometri. Ma sento che sei vicina… ogni secondo e ti amo sempre di più”.

Chi è Yulia Navalnaja, moglie di Aleksej Navalny

Yulia Navalnaja è nata a Mosca il 24 luglio del 1976. Il padre, Boris Alexandrovich Abrosimov, morto nel 1996, era uno scienziato, mentre la madre lavorava per il Ministero dell’Energia. Quando aveva cinque anni i due divorziarono e la bimba assistette alle seconde nozze della madre con un dipendente del Comitato di pianificazione statale dell’URSS.  Nel 2020, il giornalista Oleg Kashin ha affermato che il padre di Yulia è Boris Borisovich Abrosimov, segretario dell’ambasciata russa in Gran Bretagna, associato ai servizi speciali, e sua zia è Elena Borisovna Abrosimova, uno degli autori della Costituzione russa. Il marito di Yulia, in risposta a ciò, ha pubblicato un certificato di morte per suo suocero, datato 1996.

Yulia si laureò in economia presso la Facoltà di Relazioni economiche internazionali della Academy economico Plekhanov russo. Ha studiato anche all’estero ha frequentato una scuola di specializzazione sempre di stampo economico.

Dopo l’incontro con Alaksej Navalny, avvenuto nel 2000, aiutò i genitori del marito nelle loro attività legate alla tessitura di cesti. Aderì poi al partito socioliberale e filo-occidentale Jabloko. Ne uscì però nel 2010 dopo l’espulsione del marito a causa di un conflitto con il segretario Grigorij Javlinskij.

Yulia e Aleksej Navalny: i figli e la vita insieme

Fu nell’estate del 1998, durante una vacanza in Turchia, che Yulia incontrò un suo coetaneo, un avvocato, anche lui residente a Mosca. Si trattava di Aleksej Navalny. Il loro legame fu da subito fortissimo e insieme diventarono i nemici numero uno del governo Putin. Il matrimonio venne celebrato appena due anni dopo il loro primo incontro, nel 2000. I due hanno avuto due figli, nel 2001 3 n3l 2008: Daria e Zakhar.

“Una persona creativa e coraggiosa e può facilmente sostituire suo marito se necessario”, ha spiegato in passato l’esperto di politica russa Konstantin Kalachev. Ha vissuto in prima persona tutti i guai attraverso i quali è passato l’oppositore nella sua carriera: dalle aggressioni fisiche alle grane giudiziarie, agli arresti ritenuti di matrice politica. La ribalta mondiale è però arrivata solo con l’avvelenamento con il gas nervino del marito ad agosto. Anche lei è stata arrestata più volte.

“Mio marito è in prigione solo perché ha voluto difendere la democrazia. Sogno il giorno in cui sarai libero e sarà libero il nostro paese. Stai forte, ti amo”, aveva detto la moglie dell’avvocato e attivista, Yulia Navalnaya, che a marzo 2023 aveva ritirato a Los Angeles il premio come miglior documentario agli Oscar per Navalny, dedicato al marito e girato dal regista Daniel Roher.

Il messaggio integrale a russi dopo la morte di Navalny

Il messaggio con cui la moglie di Alexsej Navalny ha annunciato la presa del testimone del marito nella traduzione di Aleksej Larionov per La Repubblica.

“Ciao, sono Yulia Navalnaya. Oggi per la prima volta su questo canale voglio rivolgermi a voi. Non dovevo esserci io in questo posto, non dovevo registrare io questo video. Al mio posto doveva esserci un’altra persona, ma questa persona è stata ammazzata da Vladimir Putin. Tre giorni fa Vladimir Putin ha ammazzato mio marito Aleksej Navalny. Putin ha ammazzato il padre dei miei figli, mi ha tolto la cosa più cara, la persona più vicina ed amata. Non solo: Putin ha tolto Navalny a voi. Da qualche parte nella colonia oltre il Circolo polare artico, nel perenne inverno, Putin ha ammazzato non solo l’uomo, Aleksej Navalny, ma assieme a lui ha voluto uccidere le nostre speranze, la nostra libertà, il nostro futuro, ha voluto distruggere la migliore prova che la Russia può essere diversa, che siamo forti e intrepidi, che crediamo, lottiamo e vogliamo vivere in modo diverso”.

“Tutti questi anni sono stata accanto ad Aleksej: elezioni, manifestazioni, arresti domiciliari, perquisizioni, fermi, carceri, avvelenamento, di nuovo manifestazioni, arresti e carcere di nuovo. Il nostro ultimo incontro è stato a metà febbraio del 2022. La nostra ultima foto insieme. Esattamente due anni dopo Putin lo ammazzerà”.

“Tutti questi anni sono stata insieme ad Aleksej, ero felice di stare con lui e di sostenerlo. Ma oggi voglio essere con voi, perché so che anche voi avete subito una perdita non minore della me. Aleksej è morto nella colonia dopo tre anni di sofferenze e torture. Non stava scontando la sua pena come fanno gli altri detenuti, ma veniva torturato, tenuto in carcere di rigore, in una scatola di cemento armato. Immaginatevi soltanto questo: è una stanza di 6-7 metri quadrati, dove non c’è niente salvo uno sgabello, un lavandino, un buco nel pavimento al posto del bagno e un letto che viene attaccato al muro per impedire di sdraiarsi. Un bicchiere, un libro e una spazzola da denti. Non c’è di più, non c’è nient’altro. E così è stato per centinaia di giorni. Lui veniva maltrattato, separato dal mondo, non gli davano la penna né la carta per scrivere una lettera a me o ai nostri figli, lo affamavano da tre anni”.

“Ma lui non si arrendeva e ci sosteneva in continuazione. Ci risollevava il morale, rideva, scherzava, incoraggiava, non dubitava nemmeno per un attimo per che cosa stava lottando e per che cosa stava soffrendo. Era impossibile sottomettere mio marito e proprio per questo Putin l’ha ammazzato in modo vergognoso e codardo, senza mai decidere di guardarlo negli occhi o semplicemente citare il suo nome. E nello stesso modo infame e codardo ora nascondono il suo corpo, non lo fanno vedere a sua madre, non glielo concedono e mentono in modo meschino aspettando che spariscano le tracce del nuovo Novichok di Putin”.

“Sappiamo in modo preciso per quale motivo Putin ha ammazzato Aleksej tre giorni fa. Ve lo racconteremo presto, scopriremo assolutamente chi e in che modo ha eseguito questo delitto. Citeremo i nomi e faremo vedere le facce. Ma la cosa più importante che possiamo fare per Aleksej e per noi stessi è continuare a lottare. Lottare di più, in modo più accanito e audace di prima. Lo so che sembra che non sia possibile fare di più, ma bisogna farlo. Bisogna riunirsi, diventare un pugno solido e sferrare con questo pugno un colpo a questo regime impazzito, a Putin, ai suoi amici, ai banditi con le spallette, ai ladri e agli assassini che hanno mutilato il nostro Paese”.

“Lo so, lo sento che vi sta dilaniando la domanda: ma perché è tornato, perché si è consegnato volontariamente nelle grinfie di quelli che una volta l’aveva quasi ammazzato? A che serve un sacrificio del genere? Avrebbe potuto vivere tranquillamente, occuparsi di se stesso, della famiglia. Avrebbe potuto non parlare, non fare inchieste, non intervenire e non lottare. Ma lui non poteva non farlo. Aleksej più di tutto al mondo amava la Russia, amava il nostro Paese, voi, credeva in noi, nella nostra forza, nel nostro futuro, nel fatto che meritiamo una vita migliore. Ci credeva non a parole, ma coi fatti. Ci credeva in modo così profondo e sincero che era pronto a sacrificare per questo la propria vita. E il suo grande amore ci basterà per continuare la sua causa per tutto il tempo che ci vorrà, nello stesso modo accanito e coraggioso di Aleksej”.

“Tutti pensano adesso: ma dove possiamo prendere queste forze, come continuare a vivere? Ecco dove possiamo prendere queste forze: nella sua memoria, nelle sue idee, nei suoi pensieri, nella sua inesauribile fede in noi. Io cercherò le mie forze proprio in questo. Avendo ammazzato Aleksej, Putin ha ammazzato metà di me, metà del mio cuore, metà della mia anima. Ma mi è rimasta la seconda metà e mi suggerisce che non ho diritto di arrendermi. Continuerò la causa di Aleksej Navalny, continuerò a lottare per il nostro Paese e vi invito a starmi accanto, a condividere non solo il crepacuore e il dolore infinito che ci ha avvolti e non ci lascia. Vi prego di condividere con me la furia, la rabbia, l’odio nei confronti di quelli che hanno osato ammazzare il nostro futuro. Mi rivolgo a voi con le parole di Aleksej nelle quali lui credeva tanto: “Non è vergognoso fare poco, è vergognoso non fare niente, è vergognoso lasciarsi intimidire”. Dobbiamo sfruttare ogni occasione, lottare contro la guerra, contro la corruzione, contro l’ingiustizia. Lottare per le elezioni oneste e per le libertà di parola, lottare per restituire il nostro paese a noi stessi”.

“Una Russia libera, pacifica e felice, una Russia bella del futuro che sognava così tanto mio marito: ecco quello che ci vuole. Voglio vivere in una Russia così, voglio che ci vivano i nostri figli. Voglio costruirla assieme a voi. La voglio costruire giusto così come se la immaginava Aleksej Navalny, piena di dignità, equità e amore. Solo così e in nessun altro modo”.

“Il sacrificio impensabile che ha fatto lui può diventare non inutile. Lottate e non arrendetevi. Io non ho paura di niente e non abbiate paura di niente anche voi”.