Sono finiti i tempi in cui la settimana lavorativa corta appariva come un lontano miraggio agli occhi di chi guardava quei Paesi diventati il simbolo e l’emblema di un nuovo modo di lavorare, perché sono sempre di più gli stati europei (e non solo) che stanno abbracciando questa rivoluzione.
L’Islanda lo aveva già previsto prima ancora della sperimentazione: lavorare solo quattro giorni a settimana e lasciare invariato lo stipendio non fa che giovare i lavoratori e portare benefici all’azienda. E in effetti così è stato. Lo ha confermato anche il Belgio introducendo questa novità, concedendo ai lavoratori di avviare un periodo di prova per sperimentare questa mini settimana lavorativa e garantendo loro il diritto alla disconnessione (niente messaggi e chiamate di lavoro fuori orario, per intenderci).
Ma questi due Paesi non sono gli unici in Europa. A loro si è aggiunta anche la Spagna, la Scozia e persino il Giappone, il Paese dove si muore per il troppo lavoro, anche se in questo caso si tratta solo di una sperimentazione avviata solo da alcuni colossi. Oggi, invece, è il Regno Unito a intraprendere questa strada con l’avvio di un progetto pilota che promette grandissimi risultati.
Anche il Regno Unito va verso la settimana corta lavorativa
È un progetto pilota, quello lanciato dal Regno Unito, ma a guardare il successo ottenuto dagli stati che hanno già introdotto la settimana corta lavorativa, i risultati sembrano garantiti.
Grazie a questa novità, più di 3000 lavoratori nel Paese potranno sperimentare questa mini settimana di operatività mantenendo lo stipendio inalterato. Sono 70 le società britanniche coinvolte, dai locali di street food alle grandi società finanziarie.
Il progetto, messo a punto dall’associazione 4 Day Week Global e dai ricercatori dell’Università di Cambridge, di Oxford e del Boston College ha come obbiettivo quello di valutare i risultati nel breve periodo di questo cambiamento. Il funzionamento è chiaro: la produttività resta la stessa, così come anche lo stipendio. A cambiare, e migliorare, è sicuramente il benessere del lavoratore.
Ma se da una parte i professionisti del settore pubblico e privato hanno dei benefici e dei vantaggi tangibili, e auspicano in questo cambiamento in maniera definitiva, più difficile è il punto di vista delle aziende e degli imprenditori che ancora sono abituati alla flessibilità.
Lo ha dimostrato la difficoltà nella gestione del lavoro ibrido e dell’introduzione dello smart working, e di come molte aziende abbiano chiesto ai propri dipendenti di ritornare a lavorare in sede come prima della pandemia.
Eppure questo nuovo modello di operatività non solo aiuta i lavoratori, e il loro benessere fisico e mentale, ma anche le aziende, perché consente di ottimizzare al meglio la produttività mettendo da parte stanchezza, stress e distrazioni che invece, inevitabilmente, colpiscono ogni giorno.
Lo stesso esperimento condotto dall’Islanda ha rivelato che la settimana corta lavorativa non ha influito minimamente né sulla produttività né sulla qualità dei servizi offerti.
La situazione in Italia
La domanda quindi è lecita: c’è una possibilità di applicare la settimana corta lavorativa anche nel nostro Paese?
Se da una parte la speranza dei lavoratori è più viva che mai, dall’altra nessuna proposta è stata ancora avanzata. Certo ci sono dei casi straordinari, come quell’azienda di sole mamme che si è ispirata ai modelli dei Paesi scandinavi e che ha ridotto le ore di lavoro dei suoi dipendenti.
Ma si tratta di un’eccezione e non di una regola. Certo è che il mondo del lavoro stia vivendo un cambiamento radicale, proprio a seguito dell’introduzione della modalità di lavoro da remoto. E chissà se l’apertura verso questa maggiore flessibilità potrà condurci direttamente sulla strada della settimana corta lavorativa.