Ci sono storie che non si possono dimenticare, perché indipendentemente dal fatto che facciano parte della finzione o della realtà, hanno fatto sognare migliaia di persone e generazioni intere. E questo è il caso di Titanic, il colossal epico e romantico di James Cameron che ha portato sul grande schermo la storia di Jack e Rose, rispettivamente interpretati dai giovanissimi Leonardo DiCaprio e Kate Winslet.
La loro storia d’amore, lo sappiamo, è solo il bellissimo frutto di una finzione cinematografica. Reale, invece, è la storia del naufragio del transatlantico britannico e non è l’unica.
Anche il celebre diamante blu indossato da Rose, il Cuore dell’oceano che compare nel ritratto realizzato da Jack Dawson prima che la nave affondasse, è esistito davvero. Ma la sua storia è tutt’altro che romantica. Scopriamola insieme.
Titanic: la vera storia del Cuore dell’oceano
Custodito segretamente sin dal giorno del naufragio da Rose, in ricordo dell’amore nutrito per il suo Jack, il Cuore dell’oceano è il grande protagonista del colossal Titanic. A svelare il suo valore e le sue origini sono proprio i protagonisti del film. Si tratta di un diamante molto raro, dal colore blu e dalla forma di cuore, che era appartenuto un tempo a Luigi XVI Re di Francia.
Il Cuore dell’oceano non esiste, reale invece è il diamante Hope, un prezioso gioiello blu che apparteneva alla corona di Francia e che è diventato d’ispirazione per il film. Anche le origini del gioiello, proprio come in Titanic, sono legate a una storia d’amore, quella tra Luigi XVI e Maria Antonietta. Diversa, invece, è la sua evoluzione.
L’Hope diamond, oggi conservato nelle sale dello Smithsonian Museum di Washington, si è guadagnato l’appellativo di gioiello maledetto. Diverse storie e leggende, infatti, raccontano di sventure, morti atroci e malattie che hanno colpito chiunque ne entrasse in possesso.
Hope diamond: storie, leggende e maledizioni
Le origini del diamante Hope sono tanto antiche quanto affascinanti. Questo diamante a forma di cuore, e caratterizzato da un colore blu intenso e brillante, proviene dalle miniere di Golconda in India ed è considerato uno dei gioielli più preziosi ed enigmatici del mondo.
Fu acquistato nel 1688 dal mercante Jean-Baptiste Tavernier in India. Secondo alcune leggende, e per giustificare in qualche modo quello che accadde successivamente a tutti i suoi proprietari, il diamante proveniva in realtà dalla statua di una divinità indiana. Il mercante, rimasto affascinato dalla sua bellezza, lo rubò scatenando l’ira della divinità che colpì il gioiello con una maledizione. E in effetti, proprio dopo aver preso il diamante Tavernier morì mentre era di ritorno a casa.
Il diamante Hope passò poi per le mani del Re di Francia Luigi XIV. Fu lui a dargli la caratteristica forma di cuore e a ridurre le sue dimensioni originali per sfoggiarlo in diverse occasioni. Il diamante fu ereditato poi da Luigi XVI che lo regalò alla sua Maria Antonietta. Entrambi furono decapitati durante la rivoluzione francese.
Il diamante poi divenne proprietà di un gioielliere che morì quando suo figlio si impossessò del gioiello. Il figlio, invece, si suicidò poco dopo. Nel 1983 il diamante diventa di proprietà della famiglia di banchieri olandesi Hope, che gli conferiscono il nome che ha tutt’ora. Fu proprio Lord Francis Hope ad acquistarlo per darlo in dono a sua moglie. Ma la coppia, poco dopo, si separò.
Jacque Collot, incisore francese, divenne il proprietario del gioiello, ma si suicidò e questo passò in mano al principe Kanitowskij, anche lui morto subito dopo aver ricevuto il diamante.
Nel 1910, l’Hope diamond divenne proprietà di Pierre Cartier che però lo vendette a Edward Beale McLean, proprietario del Washington Post. In poco tempo la famiglia dell’editore si trovò ad affrontare tutta una serie di sventure. Il loro bambino, di appena 10 anni morì e i due divorziarono. Il diamante fu tenuto dalla moglie di Edward, Evelyn, che morì di polmonite.
Arriviamo così all’ultimo proprietario dell’Hope diamond, Harry Winston, che a differenza degli altri decise di liberarsene per non sfidare la sorte. Donò così il gioiello allo Smithsonian Institute di Washington dove ancora oggi è conservato.