Mariella Milani: “Versace? Un genio che rese la spilla da balia glamour”

Mariella Milani, la signora della moda, racconta a DiLei di "Fashion Confidential", dei suoi incontri con i grandi stilisti e di come stanno cambiando le cose nel lusso

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Mariella Milani è una delle prime donne a condurre il Tg2 e che è stata una delle poche a raccontare il fashion system dal punto di vista economico, sociologico e di costume.

Oggi è protagonista di una serie di podcast dal titolo, Fashion Confidential, ideata e prodotta dalla media company ACTION MEDIA Ltd e tratta dal libro omonimo edito da Sperling&Kupfer. Mariella Milani conduce gli ascoltatori in un viaggio alla scoperta della “moda oltre la moda”, in cui rivivono non solo gli amarcord della Golden Age del fashion system fatto di stilisti osannati come divi, eventi di grande impatto scenografico e indimenticabili top model, ma viene svelato anche  tutto ciò che si nasconde dietro il sipario e che nessuno ha mai raccontato.

Dalla sfilata di Fendi sulla Grande Muraglia cinese a quella di Dior nel Foyer de l’Opéra di Parigi, dalla colazione con Valentino Garavani nel castello di Wideville all’incontro-scontro con Alexander McQueen a Londra, dall’emozione dell’addio alle passerelle di Yves Saint Laurent all’opulenza delle feste di Roberto Cavalli in Costa Smeralda.

Ci racconti della tua serie di podcast, Fashion Confidential?
Partiamo da una premessa. Avendo una lunga storia professionale, la cosa che più mi interessa è la novità, è quello che io non conosco, perché credo che la nostra vita debba essere una scoperta quotidiana. Io faccio quello che faccio, sempre con grande passione. Ho sempre affrontato il mio lavoro da giornalista con entusiasmo, anche quando era duro e pesante.
Dunque, per quanto riguarda i podcast, l’idea mi è venuta leggendo un articolo su un quotidiano di cui, sottolineo, non posso mai fare a meno, anche se mi sono data alla tecnologia, tanto che tutte le mattine il mio giornalaio me ne fa trovare tre dietro la porta. In questo articolo si diceva che dal 2019 al 2020 i podcast erano aumentati del 15% e che 14 milioni di persone li ascoltavano. Questi dati mi hanno fatto pensare che i podcast possono essere uno strumento del futuro e che forse è finita l’era della superficialità cui per esempio ci hanno abituato i social.
Ti faccio un esempio, una volta su Instagram ho voluto raccontare che cosa ha rappresentato Calvin Klein nella moda, il suo logo, l’utilizzo che ne ha fatto. Per farlo, volevo servirmi dei Reel che però non durano più di 30 secondi, ma in così poco tempo è faticoso esprimere il senso di quello che ha realizzato un gigante della moda come lui, nonostante io abbia acquisito il dono della sintesi dopo aver lavorato 33 anni al Tg2.
Invece, i podcast sono un racconto che si fa a voce e la voce è proprio la mia cifra distintiva, da sempre mi è stato detto che cattura l’attenzione. Non solo, con la voce si possono esprimere i sentimenti, l’ironia, si riesce a dare colore alla notizia.

Mariella Milani
Fonte: Simona Filippini
Mariella Milani – Credits: Simona Filippini

Fashion confidential è anche il titolo del tuo libro…
Sì, io non volevo fare un audiolibro che è la semplice lettura del testo. Mi piaceva proprio l’idea di fare dei podcast perché sono dei racconti, volevo raccontare quello che ho scritto, usando appunto l’inflessione della mia voce esprimendo i miei sentimenti, i miei stati d’animo, catturando l’empatia di chi li ascolta. Da qui, ho conosciuto Manuela Rocchi di Action Media e lei mi ha proposto il progetto dei podcast Fashion confidantial. Così dopo aver scritto il libro, ho ricominciato con i racconti, perché penso che questo sia il futuro, visto anche l’aumentato interesse per i podcast. Come diceva Steve Jobs: ‘La cosa importante è pensare in modo nuovo’ e io cerco di adeguarmi al nuovo pensiero.
D’altro canto, il podcast può essere inteso come il cugino della radio, perché si può ascoltare dove e quando si vuole e contemporaneamente si possono fare altre cose. L’ascolto sta sostituendo la visione.

Fashion Confidential
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Tra i tuoi podcast, uno è dedicato a Gianni Versace, ce ne parli?
Il mio primo incontro con la moda nel 1994 è stato proprio in via del Gesù con Gianni Versace. Io allora ero una neofita di quel mondo. L’allora direttore del Tg2, Clemente Mimun, voleva dare molto più spazio a tutti i settori del made in Italy, e mi propose di occuparmi di moda. Il mio primo debutto fu proprio con Gianni Versace e non sapevo che allora si diceva che lui vestiva le amanti e Armani le mogli. Quindi mi presentai all’appuntamento con un tailleur blu di Armani, perché avendo fatto la conduttrice del tg, per me rappresentava un power dress che garantiva autorevolezza e serietà. Versace mi squadrò dalla testa ai piedi, non disse nulla ma io mi accorsi che non approvava il mio modo di vestire, anche perché non conoscevo la battuta che circolava su di loro. Nel podcast racconto tutta la grandezza di Gianni Versace che è stato un creativo visionario, capace di rendere glamour e meravigliosa una spilla da balia. Donne straordinarie l’hanno portata, come Lady Diana sul suo abito nero o Liz Hurley che si fece conoscere con il vestito di Versace. Per non parlare della maglia di metallo e dei suoi abiti così sexy, frutto del suo genio. Poi è lui che ha di fatto creato il fenomeno top model, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Claudia Schiffer, Carla Bruni. Con Gianni ho avuto un ottimo rapporto perché era un uomo di squisita gentilezza.

Mariella Milani Donatella Versace
Fonte: Stefano Trovati
Donatella Versace e Mariella Milani

Chi sono gli altri stilisti di cui parli nei tuoi podcast?
Jean Paul Gautier e i giapponesi. E per giapponesi intendo Comme des Garçons, ossia Rei Kawakubo, Issey Miyake, Yohji Yamamoto.

È cambiata la moda con la pandemia?
In modo assolutamente radicale. Intanto, negli anni Novanta, come ho scritto nel mio libro, la moda era un mondo scoppiettante. Io ho assistito a eventi pazzeschi come la sfilata sulla Grande Muraglia cinese con 80 metri di passerella o le sfilate dell’Alta Moda nel foyer dell’Opera di Parigi. Si trattava di eventi irripetibili, che costavano miliardi di lire. L’opulenza di allora non ci sarà mai più. Adesso la moda è molto cambiata e con la pandemia è diventata digitale. Si sta cercando un modo diverso di rappresentarla. C’è chi come Dior si è rivolto a registi come Garrone, per fare dei veri e propri film.
La parola che dominerà la moda del futuro è “sostenibilità”. Oggi se ne parla già molto, anche se non è ancora un fatto compiuto. La moda sostenibile va costruita e anche gli acquirenti vanno educati a questo concetto. Se una t-shirt costa 7 euro, è evidente che ci si è serviti di una mano d’opera sottopagata. Una moda sostenibile deve essere anche etica e ciò significa pagare il giusto prezzo a chi confeziona i prodotti. Altra parola chiave è “genderless”, ossia la caduta della distinzione di genere tra uomo e donna, senza dimentica però il potere delle donne. Questo ovviamente porta a un diverso concetto di bellezza per cui sulle passerelle sfilano modelle senza distinzioni di età e sesso. I consumatori sono più esigenti, anche per quello che riguarda la tracciabilità dei capi e d’altro canto è diminuito il potere d’acquisto. Non a caso, concludo il mio libro con la frase di Steve Jobs: “think different” (pensa in modo diverso). Se la moda saprà cambiare, forse ce la farà. Altrimenti la crisi economica la metterà in ginocchio, non solo le piccole aziende ma anche le grandi griffe, alcune delle quali sono state già costrette a chiudere i negozi.

Ci sono già oggi delle maison che stanno attuando la rivoluzione?
Attualmente ci stanno provando i piccoli brand che però faticano a ottenere finanziamenti. Ma stanno provando a realizzare prodotti sostenibili. E poi le multinazionali del lusso che possono sperimentare perché hanno tantissimi negozi e linee. Bisogna puntare su un lavoro artigianale di grande qualità ma anche con un contenuto maggiore di creatività, perché quello che secondo me ha portato alla disaffezione dei consumatori è stata l’eccessiva omologazione e poi prezzi così elevati che scoraggiano l’acquisto. La preoccupazione di fare profitti più che di fare prodotti creativi ha portato alla crisi della moda. Poi il made in Italy ha un altro problema, ossia l’incapacità di fare sistema, infatti le due multinazionali del lusso sono francesi, il gruppo Kering e l’LVMH. Basti pensare che Versace, Gucci, Valentino, Bottega Veneta, Loro Piana non sono più italiani. Con il mio libro e i miei podcast cerco di dare il mio punto di vista su come dovrebbe cambiare il mondo del made in Italy per riprendersi.

Donatella Versace Mariella Milani
Fonte: Stefano Trovati
Donatella Versace e Mariella Milani – Credits: Stefano Trovati