A volte non serve alzare la voce: bastano un’immagine, un gesto, una canzone che scava dentro. È la forza de “La gente che parla”, il brano di Grazia Di Michele trasformato in un videoclip da Gabriele Lazzaro (che ha firmato regia, sceneggiatura e produzione), interpretandolo accanto alla cantautrice. In un anno in cui la violenza sulle donne è cresciuta in modo inquietante, questo progetto assume un peso nuovo: il video è stato e continua a essere un atto culturale e sociale.
Da anni Grazia Di Michele e Gabriele Lazzaro camminano nella stessa direzione, con linguaggi diversi ma complementari: difendere la dignità e la libertà delle donne. La cantautrice, con una produzione musicale da sempre attenta ai temi femminili; Lazzaro, con regie a forte impatto sociale come “In nome di ogni donna”, dedicato a Giulia Cecchettin. Nel 2025, alla luce dei dati allarmanti, entrambi tornano a essere ambassador della lotta contro la violenza di genere, dando voce e visibilità a una battaglia culturale non più rimandabile.

Abbiamo incontrato Grazia Di Michele e parlato con lei del senso di questo brano, di consapevolezza collettiva e di speranza
“La gente che parla” nasce da una storia vera, quella di una donna schiacciata dalla violenza e dal silenzio. Ricorda il momento esatto in cui ha sentito l’urgenza di trasformare questa storia in musica?
Le storie di violenza sono tutte ugualmente tristi e terribili. In questo caso però, come spesso succede, c’era un’aggravante: la vittima viveva in un piccolo paese dove la gente mormora, dove tutti parlano, tutti ti criticano. Un contesto dove si tende a far restare dentro le mura domestiche le storie di violenza invece di esporsi al giudizio e alla critica. Tutto questo va di pari passo con un senso di colpa che molte volte le persone abusate o verso le quali viene usata violenza manifestano. A questo si aggiunge una disistima profonda nei confronti di se stesse. La paura di essere responsabili in qualche modo della violenza che si subisce. Questa donna sognava di andarsene via, come nella canzone. Di andare a Rimini, di fare una vacanza. Non le veniva in mente di chiedere aiuto. Cosa che, magari, l’avrebbe aiutata realmente.
Il 2025 sarà l’ennesimo anno drammatico per i femminicidi. Cito una sua frase: “la violenza sulle donne non è un fatto privato, è una ferita collettiva”. Crede che ci sia consapevolezza collettiva sulla gravità del fenomeno?
Sicuramente non può essere considerato un fatto privato di alcune famiglie o di alcune donne. Il problema del femminicidio è un fallimento della società e di tutto quello che si è messo in campo finora. La consapevolezza del problema è cresciuta, sì. Ma non ha creato un argine. Di questo dramma si parla molto poco. Bisognerebbe partire dall’educazione all’interno della famiglia, è il primo momento in cui ci si fa un’idea della relazione uomo-donna. Perché se un bambino vede un padre che non necessariamente maltratta la moglie ma che magari non le dà modo di esprimersi, limita la sua libertà economica, le sue aspirazioni, le sue scelte si porterà dietro questo imprinting per tutta la vita. Poi tocca alla scuola, certo, all’educazione affettiva. C’è da lavorare sull’idea del patriarcato, sull’educazione, sulle leggi, sulla prevenzione e anche sulle punizioni adeguate. Abbiamo visto che gli ultimi femminicidi prima di tutto sono stati commessi da persone che avevano un braccialetto elettronico e nonostante quello, o perché non funzionava o perché l’avevano tolto, si sono potuti avvicinare alla vittima. E uccidere la donna.
Il suo percorso musicale è da sempre attento ai temi femminili. Nei suoi brani c’è la dura verità ma anche messaggi di speranza. Qual è quello de “La gente che parla?”
Gabriele Lazzaro è stato fantastico nel cogliere e trasferire nel video il senso profondo che volevo lasciare. Alla fine la speranza è fondamentale laddove parlare, comunicare, raccontare agli altri quello che si sta vivendo crea immediatamente negli altri la volontà e la gioia di esserci, di lottare insieme, di fare squadra, di comprendere il fenomeno e di lottare contro il fenomeno. Nel momento in cui questa donna parla con un suo amico e si confida con lui, evidentemente non ha ancora capito che può contare sulla gente che è intorno a lei, sulla solidarietà del paese e del gruppo familiare. A quel punto, nella scena finale, c’è tutto quello che volevo dire. Quando le donne e gli uomini mettono un pugno sugli occhi – quello che la donna riceveva purtroppo dal marito – vuol dire che sono pronti a sentirsi partecipi di questa triste storia e ad esserci.

Abbiamo intervistato anche Gabriele Lazzaro, da sempre in prima linea con la sua arte nella lotta contro il femminicidio e la violenza di genere
Gabriele, hai firmato la regia, la sceneggiatura e la produzione del videoclip, interpretandolo anche accanto a Grazia Di Michele. Qual è stata la sfida maggiore nel tradurre in immagini un tema così complesso e doloroso come la violenza di genere?
La sfida più grande è stata rispettare l’anima delicata del brano di Grazia, che prima ancora di essere un’amica è e sarà per sempre la colonna sonora della mia vita. Per questo videoclip ho cercato un gesto narrativo capace di diventare un simbolo autentico e non morboso contro il silenzio che circonda la violenza di genere. Da questa ricerca è nato il flashmob finale: persone che, fino a quel momento, avevano visto tutto ma non erano mai intervenute. Alzando il pugno, con le nocche sugli occhi – come a dire “sentiamo il tuo dolore, non sei sola” – rompono finalmente l’omertà. In quell’istante la protagonista smette di essere invisibile, e il videoclip trova la sua vera forza.
La scena simbolo del video è proprio il pugno alzato, che hai detto essere un omaggio a Sophia Loren. Ci puoi spiegare il significato profondo di questa citazione cinematografica e perché hai scelto proprio quel gesto come simbolo della “forza che nasce dalla ferita” e della resistenza femminile?
Sophia Loren, con “La ciociara”, ha portato sullo schermo il tema dello stupro di guerra, una ferita collettiva rimasta a lungo taciuta. La sua interpretazione, che valse all’Italia il Premio Oscar, ha contribuito a far emergere quel dolore. Il pugno alzato del videoclip nasce da lì: è un gesto di ribellione e di denuncia, pensato per spezzare il silenzio che spesso avvolge le vittime. È un omaggio al capolavoro di Vittorio De Sica e alla scena in cui Sophia, devastata dalla violenza subita insieme alla figlia, scaglia pietre contro la camionetta dei soldati marocchini. In quel gesto c’è la ferita, ma anche la resilienza.
Sei noto al grande pubblico per regie a forte impatto sociale, come “In nome di ogni donna”, dedicato a Giulia Cecchettin. Il tuo è un impegno costante, quotidiano. Cosa ti ha portato a scegliere e perseverare in questa battaglia?
Mi sono reso conto che l’arte può davvero incidere sulle tematiche sociali. Durante la conferenza stampa al Palazzo Reale di Napoli del mio cortometraggio “The Paradox of Blue” sui migranti morti in mare, ispirato a un progetto del mio compagno, l’artista contemporaneo Riva GLDF, ho visto persone commuoversi, anche quelle più lontane dalla tematica trattata. Lì ho capito che le immagini arrivano dove le parole spesso non bastano. Con “In nome di ogni donna” questa consapevolezza si è confermata. Come ambassador della lotta contro la violenza di genere porto il film nelle scuole, e durante una proiezione una ragazza ha trovato il coraggio di denunciare la sua storia di violenza. In quel momento ho compreso che il mio lavoro può avere un impatto reale. Non è egocentrismo: è servizio pubblico.
Nuvole bianche: l’arte che racconta la rinascita
A unire i due artisti c’è anche il percorso espositivo di Riva GLDF, autore della mostra personale “The Paradox of White“, inaugurata al Maschio Angioino di Napoli lo scorso ottobre. Tra le opere più intense spicca Nuvole bianche, dedicata alla resilienza femminile: una ballerina che danza su garze sospese, fragile e indistruttibile allo stesso tempo. E il titolo riprende proprio un verso iconico di Grazia Di Michele, tratto da “Le ragazze di Gauguin”: «Ballerine di Degas, bianche nuvole il vento non le spezzerà». Un ponte poetico tra musica e arte visiva, che racconta la ricomposizione dopo la violenza: un corpo e un’anima che tornano a respirare. Un messaggio che serve oggi più che mai.