Il delitto di Garlasco: 15 anni senza Chiara Poggi.

Il 13 agosto 2007 Chiara Poggi viene ritrovata morta, in fondo alle scale della cantina della casa in cui abita. Per il suo omicidio viene condannato a 16 anni Alberto Stasi.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

È il 13 agosto del 2007 quando Garlasco entra di prepotenza nelle case di tutti gli Italiani, conosciuta fino a quel momento come la Las Vegas della Lomellina per l’alta concentrazione di locali di divertimento, diventerà da quel giorno il paese dove viene assassinata una ragazza di 26 anni, Chiara Poggi. Il suo sorriso indimenticabile accompagna quella maledetta estate, rimbalzando dai tg alla carta stampata, la domanda è sempre la stessa: chi l’ha uccisa? e soprattutto: perché?

La ragazza si trova da sola nella villetta dei genitori, visto che questi ultimi sono in vacanza con l’altro figlio, è rimasta per far compagnia al suo fidanzato, Alberto Stasi, che sta ultimando la tesi e che passa con lei i momenti liberi, fatti di pizza e tv, anche perché, a ridosso di ferragosto, in quel paese di diecimila anime, non è rimasto quasi nessuno, sono tutti in ferie. Sono le 13:50 quando al 118 arriva questa telefonata: “Mi serve un’ambulanza in via Giovanni Pascoli 29 a Garlasco, è una via senza uscita la trova subito. Credo che abbiano ucciso una persona ma non son sicuro, forse è viva.. adesso sono andato dai Carabinieri, c’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra”. Alla domanda dell’operatore se fosse una sua parente, la voce maschile risponde “è la mia fidanzata e ha 26 anni”.

Inizia così uno dei delitti più controversi e dibattuti degli ultimi quindici anni, la vittima è una ragazza solare, appena laureata, che però già lavora come stagista in uno studio commerciale di Milano. I carabinieri allertati dalla telefonata insieme allo Stasi si recano presso la villetta e, mentre lui rimane fuori, loro scavalcano il cancello pedonale, aprendo la porta di casa che, di fatto era socchiusa, entrando nell’abitazione di famiglia.

In prossimità delle scale trovano chiazze di sangue, una in particolare molto estesa, altre macchie ematiche sono sparse sulla parete adiacente, davanti alla scala che conduce al vano della cantina trovano un’altra estesa chiazza di sangue e una ciocca di capelli. La porta di accesso alla cantina è aperta, la luce è accesa, in fondo alle scale rinvengono il corpo di Chiara Poggi, in posizione prona, con la testa appoggiata al muro e i piedi rivolti verso l’accesso.

Mi sono sempre chiesta come fosse stato possibile per Alberto trovare la sua ragazza in quelle condizioni e non essersi nemmeno avvicinato per controllarne il respiro o, quanto meno, per prestare il primo soccorso, cioè quel corpo martoriato, pieno di sangue, è quello della persona con cui hai condiviso la tua vita negli ultimi quattro anni, è quella che è rimasta ad agosto a patire il caldo invece di rilassarsi al mare con i suoi genitori, per farti compagnia, e tu non ti degni nemmeno di andare a vedere cosa le sia successo?

Credo che la paura non possa essere considerata un legittimo deterrente perché quando ami, quando ami davvero, l’unica cosa che ti interessa è sapere che la tua persona, quella del tuo cuore, stia bene, come fai quindi a rimanere impassibile e a scappare di fronte al suo corpo inerme?

Eppure questa rimane la tesi cui lo Stasi si aggrappa per tutta la durata dei cinque processi cui viene sottoposto, quella di essere entrato in casa, di aver visto il corpo in fondo alle scale e di essere scappato per paura. Il suo alibi per l’orario dell’omicidio, che dall’autopsia viene indicato tra le 9 e le 12 del 13 agosto, è quello di essere rimasto al pc per ultimare la tesi, ma una testimonianza colloca una bicicletta nera da donna appoggiata sul muro di casa Poggi alle 9,20, bici che però non viene rinvenuta alle 10,20 quando la vicina esce e non la trova più.

Nella villetta, qualche giorno dopo, arrivano anche i carabinieri del RIS di Parma che rinvengono tre impronte di scarpa da ginnastica intrisa di sangue e resti ematici nelle tubature della doccia. Il numero e la marca corrisponde ad un paio di sneakers taglia 42 della Diesel in possesso di Alberto, che non saranno mai rinvenute. A questo punto il bocconiano viene indagato e nel suo pc i carabinieri si imbattono in una serie di file definiti pedo-pornografici: 7064 immagini e 542 filmati pornografici, 21 immagini e 7 filmati pedo-pornografici.

Il 20 agosto 2007, Stasi viene indagato ufficialmente per omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà, poco tempo dopo iniziano i processi che lo vedranno sulla sbarra degli imputati, l’impianto accusatorio si fonda sostanzialmente sulle tracce di sangue del giovane sul barattolo di sapone liquido nella villetta, segno che il ragazzo si sia lavato le mani dopo l’omicidio, le dimensioni della falcate che Alberto avrebbe dovuto fare per non sporcarsi le scarpe di sangue e in ultimo le migliaia di foto pornografiche rinvenute nel suo PC, che potrebbero costituire un valido movente. Il 12 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza-bis della Corte d’Appello di Milano e condannato in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, con rito abbreviato. Sono le parole di Rita Preda, mamma di Chiara, a mettere la parola fine a questa vicenda “Abbiamo sempre cercato la verità per nostra figlia, anche quando la difesa e i primi giudici volevano chiudere la vicenda senza i doverosi approfondimenti. Quando finalmente hanno deciso che bisognava guardare tutto, la verità è emersa e pur nel dolore – perché Chiara ormai non c’è più – abbiamo la serenità di averle dato giustizia”.

Quello che rimarrà avvolto nel mistero è come un ventiquattrenne  possa trasformasi nel killer della donna che diceva di amare e con la quale voleva costruirsi un futuro, rimarrà quel viso sorridente che avrà per sempre 26 anni associato al volto di un ragazzo dalla doppia faccia, fidanzato esemplare di giorno, ossessionato dalla pedopornografia nei momenti di solitudine, quelli in cui riusciva, forse, ad essere se stesso, il vero Alberto, quello con tutta probabilità che Chiara ha scoperto il giorno che è stata uccisa, forse proprio perché si era imbattuta in quelle immagini che le aveva mostrato una persona che non riconosceva più, perché l’uomo della sua vita non poteva avere niente a che con immagini di bambini abusati sessualmente.

Glielo avrà detto Chiara, forse gliel’avrà pure urlato, e la sua purezza e bontà d’animo le è costata la vita, quella che invece tra qualche anno lo Stasi, che lavora come centralinista nel carcere modello di Bollate, potrà rifarsi, visto che dopo aver scontato un quarto della pena potrebbe già usufruire di permessi premio.

Queste le motivazioni della sentenza, la colpevolezza di Alberto Stasi è stata riscontrata

• nel fatto che ha reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata;

• nel fatto che, fidanzato della vittima, in rapporto di confidenza con lei, conoscitore della sua casa e delle sue abitudini, possessore di più di una bicicletta da donna, compatibile con la “macrodescrizione” fattane dalle testimoni, ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine nella “finestra temporale” compatibile con la commissione dell’omicidio;

• nel fatto che ha reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata;

• nel fatto che non ha mai menzionato, tra le biciclette in suo possesso, proprio la bicicletta nera da donna collegata sin dal primo momento al delitto e corrispondente alla “macrodescrizione” fattane dalle testimoni;

• nel fatto che sul dispenser del sapone liquido, utilizzato dall’aggressore per lavarsi le mani dopo il delitto, sono state trovate soltanto le impronte dell’anulare destro di Alberto Stasi, che lo individuano come l’ultimo soggetto a maneggiare quel dispenser;

• nel fatto che sui pedali della sua bicicletta è stata rinvenuta una copiosa quantità di DNA di Chiara Poggi;

• nel fatto che l’assassino era un uomo che calzava scarpe n. 42 stesso  numero e stessa marca delle sue.