Rosaria Costa, una vita contro la mafia

Impossibile dimenticare il suo appello ai funerali del marito: «Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare»

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 3 Settembre 2020 10:15Aggiornato: 4 Gennaio 2024 17:21

Aveva solo 22 anni e un bambino nato da appena 4 mesi. Il suo Vito, invece, ne aveva compiuti 27 e per entrambi si prospettava una vita lunga e felice insieme. Poi in quel 23 maggio del 1992 tutto è cambiato. Due giorni dopo la voce disperata di Rosaria Costa echeggiava, struggente e straziante, tra le bare nella basilica di San Domenico a Palermo, le stesse che contenevano, oltre alle altre vittime, anche il corpo del marito Vito Schifani.

Rosaria Costa e quel sogno infranto dalla mafia

Si chiamava Vito Schifani, ed era l’amore della vita di Rosaria. Era suo marito, era il padre del loro bambino. Era anche un uomo della scorta di Giovanni Falcone, uno dei tanti uccisi nell’agguato mafioso di Capaci insieme ai colleghi Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, lo stesso giudice Falcone e la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato.

Come sono andate le cose quel 23 maggio del 1992, nel territorio di Capaci, lo ricordiamo tutti. Cosa Nostra, con quell‘attentato di stampo terroristico-mafioso replicato in via d’Amelio appena due mesi dopo, ha scritto uno dei capitoli più bui della storia del nostro Paese.

Il resto è stato un vuoto assordante, squarciato da un appello disperato proveniente da una voce rauca e provata dal dolore, quella di Rosaria Costa. Lei che a vent’anni credeva di avere tutta una vita davanti, lei che stava progettando il suo futuro, sempre lei che si è vista strappare nel modo più atroce il suo Vito dalla mafia. E con lui anche i sogni condivisi.

“Io vi perdono però vi dovete mettere in ginocchio”

“Io vi perdono però vi dovete mettere in ginocchio”, le parole della vedova Schifani sono rimaste impresse nella memoria di tutti, ieri come oggi. Una frase di poche parole, ma prepotente e intensa che è divenuta poi simbolo di ribellione alla mafia. A quelle parole si è ispirato anche un film del 2012, con l’omonimo titolo, prodotto per commemorare la strage di Capaci a distanza di vent’anni.

Un urlo, il suo, contro la mafia, una piaga sociale che le ha cambiato per sempre la vita e che a distanza di tutti questi anni è tornata prepotente a farle visita, come una ferita cicatrizzata che ricomincia a sanguinare.

Perché Rosaria lo spettro della mafia ce l’aveva in casa. Suo fratello Giuseppe Costa, infatti, è stato arrestato nel 2020, accusato di essere un mafioso al servizio della cosca dell’Arenella. “Sono devastata ma la mafia non mi fermerà”, aveva commentato in quell’occasione straziata dal dolore, ripudiando quel fratello che aveva scelto la strada più infima.

Ma Rosaria Costa oggi non è sola, non lo è mai stata. Al suo fianco c’è quel bambino, ora diventato uomo, che la rende orgogliosa e che lotta con lei giorno dopo giorno. Emanuele Schifani oggi ha 30 anni ed è capitano della guardia di finanza; Rosaria non ha dubbi sul fatto che il papà sarebbe orgoglioso di chi è diventato.

Perché Emanuele è diventato un grande uomo, come suo papà, anche se non l’ha mai conosciuto se non attraverso i racconti di sua mamma. Di quella donna battagliera e coraggiosa che non ha mai avuto paura di ribellarsi alla mafia.