Parliamo spesso di cambiamenti climatici e degli effetti di un fenomeno che ha delle conseguenze di una portata così grande, da non riuscire a essere analizzata nella sua totalità neanche con le competenze e le conoscenze multidisciplinari odierne.
Per esempio, nessuno parla mai di rifugiati ambientali. O comunque lo facciamo, ma sempre troppo poco. Nonostante non manchino studi, ricerche e documenti prodotti dalle organizzazioni mondiali che si occupano di ambiente, il mondo scientifico intero sembra non aver ancora preso in considerazione seriamente il tema degli esuli ambientali: persone costrette a migrare a causa di condizioni climatiche e ambientali.
Un fenomeno, questo, estremamente complesso che meriterebbe di essere riconosciuto e tutelato giuridicamente, così come giuridicamente dovrebbero essere riconosciuti i migranti ambientali. E invece basta dare uno sguardo alla Convenzione di Ginevra del 1951 e a quella definizione che riconosce lo status di rifugiati a quelli che si trovano nel “giustificato timore di essere perseguitati” per razza, religione o per la loro appartenenza sociale, e che si trovano al di fuori dello Stato di cittadinanza. Per tutti coloro che si spingono in altri luoghi a causa di disastri ambientali, non c’è traccia.
Gli esuli ambientali
Il termine esuli ambientali ormai è accettato a livello internazionale nel linguaggio popolare, tuttavia il riconoscimento dei rifugiati climatici non è ancora avvenuto universalmente. Forse perché oggi le misure di protezione non sono abbastanza, perché il reinserimento dei rifugiati sarebbe difficile, così come il loro sostentamento economico.
Senza insinuarci all’interno di delicatissime questioni economiche e giuridiche, cerchiamo solo di capire chi sono gli esuli ambientali. Forse la definizione di persone che migrano e lasciano la patria a causa di fattori del degrado ambientale risulta calzante e sicuramente idonea a definire il concetto.
Ma quali sono i fattori ambientali? La siccità, sicuramente, la deforestazione, l’erosione del suolo, la mancanza di risorse idriche e disastri naturali come alluvioni e cicloni. Insomma i problemi ambientali più grandi dai quali, nella maggior parte dei casi, si creano situazioni di povertà diffusa, fame, malattie e pandemie.
L’esodo ambientale: il fenomeno
Ogni anno 6 milioni di profughi ambientali lasciano la propria casa, e la propria terra per andare altrove, per sopravvivere. C’è il Nord Africa e le regioni interne dell’Africa del Sud che da qui a trent’anni saranno colpite da gravi siccità. In altri luoghi del mondo, invece, il mare inonderà le aree costiere creando la necessità di ricollocare in altri territori milioni di persone.
Il World Disaster Report del 2001, fu proprio dedicato al tema dell’assistenza alle vittime dei disastri ambientali, degrado dell’ambiente e le catastrofi naturali. Dal rapporto è emerso che sono stati proprio questi a spingere le persone ad abbandonare il loro Paese, molto più dei conflitti armati e delle persecuzioni politiche e religiose.
E guardando al futuro la situazione è tutt’altro che confortante. Per esempio, gli abitanti delle Isole Maldive non sono destinati a restare lì. Secondo le previsioni, il livello degli oceani aumenterà di circa 59 cm entro il 2100, e questo pone un problema di sopravvivenza.
Il problema, proprio inosservato non è (e per fortuna!). Nel 2007, infatti, è nato il Global Umanitarian Forum di Ginevra, un’organizzazione internazionale indipendente che si occupa di coscienziare il problema globalmente e incrementare il sostegno alle popolazioni più vulnerabili e quindi più colpite dai cambiamenti climatici.
Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il fenomeno dell’esodo ambientale potrebbe riguardare 250 milioni di persone già nel 2050.
La situazione in California
A differenza di quanto si può immaginare, però, il problema ambientale riguarda tutti. E il caso della California lo conferma. Già nel gennaio del 2015, il Governatore Jerry Brown ha dichiarato lo Stato di Emergenza imponendo misure di conservazione rigorose in tutto lo Stato.
Quell’incubo, oggi, si è ripresentato. In California si registra un record di siccità che ha inaridito il territorio in maniera drammatica a causa dell’innalzamento delle temperature nell’ultimo secolo. Sono 41 su 58 le contee della California, nel 2021, in stato di emergenza. Una situazione che riguarda un terzo dei 40 milioni di abitanti che popolano il Paese.
Le precipitazioni scarsissime in Sierra Nevada e le temperature sopra la norma sono state il mix letale per il Paese. Lo stato della costa ovest degli Stati Uniti fa affidamento quasi esclusivamente dallo scioglimento primaverile delle nevi per ripristinare i livelli di tutti i bacini idrici ma, il nell’aprile del 2021, il manto nevoso era di circa il 60% della media stagionale. Secondo l’attuale governatore Newsom, la situazione nel Paese è molto grave soprattutto a causa del cambiamento climatico che sta innescando effetti a catena.
“Esuli. L’ambiente”, è un documentario del 2015 che parla proprio di questo e che tutti noi dovremmo vedere. Il film racconta la storia di Donna Johnson, una donna americana che per prima ha subito sulla sua pelle le conseguenze della siccità. Diventata volontaria, ha iniziato ad aiutare e a soccorrere le numerose famiglie che, ogni giorno, si trovano senza più acqua corrente.
Il documentario racconta le sue giornate trascorse a bordo di un pick up per distribuire l’acqua a chi non ne ha più. Entra in punta di piedi, Donna Johnson, nella vita di quelle persone che hanno investito tutto per costruirsi delle case che non possono più abitare. Persone che ora sono “gli sfollati d’America“, esuli nella nazione più sviluppata al mondo.
Nessuno è al sicuro
Alla luce di questa situazione globale assai complicata, che abbiamo analizzato solo in parte, emerge l’importanza fondamentale di riconoscere il fenomeno dell’esodo ambientale e di intervenire concretamente a livello mondiale per la salvaguardia della popolazione umana.
Emerge che non abbiamo il controllo su tutto, anzi su niente. Che noi che viviamo nei Paesi occidentali abbiamo solo l’illusione di poter dormire sogni tranquilli e che, al contrario, tutto questo può cambiare e sta già succedendo. Il caso della California lo conferma e ci fa capire che nessuno di noi è davvero al sicuro.
Per questo ci vuole maggiore consapevolezza e più sensibilità sul tema. Bisognerebbe rimboccarsi le maniche per riconoscere giuridicamente i rifugiati ambientali e sostenerli. Ma soprattutto bisogna chiedersi di chi è la responsabilità del collasso ambientale. E non per istituire una caccia al colpevole ma per diventare promotori di un cambiamento in grado di proteggere gli habitat e la sopravvivenza dell’intera umanità.