Michela Murgia, il tumore al quarto stadio e le nozze: “Mi rimangono mesi”

Michela Murgia si è raccontata in una lunga intervista: il carcinoma renale al quarto stadio, il matrimonio. Ma non ha paura di morire

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Serena De Filippi

Lifestyle Editor

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Ha vissuto dieci vite. Ha normalizzato la malattia. Ha sempre cercato di dire le cose come stavano, senza mai edulcorare la realtà. Non ha mai chiamato il suo carcinoma renale al quarto stadio con altri nomi, come “alieno” o “maledetto”. “Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me”. La scrittrice Michela Murgia, in una lunga intervista, ha parlato in modo schietto della diagnosi. “Mi rimangono mesi di vita”.

Michela Murgia, il tumore al quarto stadio

Aveva provato a normalizzare la malattia, raccontando i suoi pensieri più intimi in pubblico, sui social, spiegando i motivi per cui aveva dovuto prendersi una pausa e cancellare le date dei suoi spettacoli. Non c’era rammarico nelle sue parole, e non c’è nemmeno oggi, nell’intervista concessa al Corriere della Sera, dove ha parlato apertamente del carcinoma renale al quarto stadio.

Dal quarto stadio non si torna indietro. Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti”, con estrema lucidità, con una forza che lascia quasi attoniti, ha parlato anche dell’operazione, che “non avrebbe senso, le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello“.

Le dieci vite di Michela Murgia

“Il cancro non è una cosa che ho, è una cosa che sono. (…) Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa”. Ma Michela non ha intenzione di cedere alla narrazione della guerriera, della perdente o della vincente. “Io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente”. E la morte, alla fine, non viene nemmeno vista come un’ingiustizia, un torto.

Nessun intento di commiserazione, proprio come quando aveva parlato della malattia, cercando di normalizzare uno dei tabù più grandi. Perché, fino a non poco tempo fa, non si poteva nemmeno parlare di cancro. Si teneva nascosto. Ed è proprio di fronte all’idea concreta della morte che la Murgia ha ammesso di non considerarla come un’ingiustizia.

“Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi”. Non solo scrittrice, ma anche insegnante di religione, portiera notturna in un hotel, ha diretto il reparto amministrativo di una centrale termoelettrica. Dieci, cento, mille vite, racchiuse in un’unica esistenza meravigliosa.

La scelta di sposarsi

“Ho fatto tutto quello che volevo”, ha detto. E, nonostante tutto, ha grandi piani. Ha comprato una casa con dieci posti letto, per la sua “famiglia queer”. “E ora mi sposo con un uomo. Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me. Amo e sono amata, i ruoli sono maschere che si assumono quando servono”.

In un girotondo di emozioni, ha ammesso di essere sempre stata se stessa, e che lo sarà fino alla fine, senza mai tradirsi, senza mai voltarsi le spalle. “Non ho mai voluto mostrarmi diversa per compiacere qualcuno”. Sincera, diretta, tagliente. Non c’è paura, non c’è rancore. Nemmeno rimorsi, per le vite che ha vissuto, con coraggio e determinazione.