Fino a qualche settimana fa davamo quasi per scontato che Bebe Vio avrebbe portato a casa almeno una medaglia. Siamo talmente abituati a vederla battersi e vincere che non ci siamo fermati neanche per un momento a pensare che anche per lei questo anno di attesa in più per le Paralimpiadi è stato quasi una maledizione.
Per lei un anno in più ha significato rischiare di morire, rischiare di perdere un arto. Ancora, lei che già da bambina aveva perso parte delle gambe e delle braccia. E la cosa che stupisce è che più la vita si accanisce, più lei risponde a tono.
“Basta amputazioni! Non mi è rimasto più molto da tagliare…“, scrive su Instagram oggi, ripercorrendo i mesi bui in cui “Per quanto ero messa male consideravo già un miracolo arrivarci a Tokyo“. Figuriamoci vincere due medaglie.
E invece, anche questa volta, Bebe è stata più forte di tutti. Più forte delle atlete che ha trovato in pedana. Più forte di “un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa”. Più forte del destino, che beffardo continua a giocare con la sua vita. Nessuno di noi sapeva dell’inferno che stava attraversando, perché non voleva che si pensasse che avrebbe cercato degli alibi in caso di sconfitta.
Come se, dopo tutto quello che ha fatto e che ci ha insegnato, ci fosse ancora qualcosa da dimostrare. E invece anche questa volta ci ha stupito. E sì, anche questa volta è stata in grado di insegnarci qualcosa: che niente è impossibile (o come ha scritto lei: “Se sembra impossibile, allora si può fare…2 volte!”) e che per rendere possibile l’impossibile hai bisogno di amore. Quell’amore spontaneo e disinteressato che solo i veri affetti sanno dare e che possono trasmetterti tutta la forza per andare avanti.
Perché a volte, quando un male che sembra insormontabile ti colpisce, sarebbe quasi più facile mollare e rassegnarsi, ma è per chi ci vuole bene che troviamo la forza di combattere, perché l’amore è talmente tanto che non si può pensare di non contraccambiarlo dando il tutto e per tutto. Ed è questo che ha fatto Bebe, ha combattuto, ancora una volta, contro l’ennesimo batterio che voleva abbatterla. Non (solo) per se stessa, ma per le persone che le sono state vicino. Sono loro che l’hanno salvata, dice lei. Ma forse sarebbe anche corretto dire che lei ha salvato loro. E forse anche un po’ tutti noi.
“Quanto n’è valsa la pena!”.