Diciamolo fuori dai denti: è difficile essere empatici con una taglia XS. Figuriamoci con una XS bella e che ammette candidamente di mangiare e non riuscire ad ingrassare. La prima cosa che ti viene in mente è quella di mandarla a cagare, la seconda è augurarle una menopausa precoce con aumento immediato di grasso viscerale, la terza un rapido cambio di metabolismo e almeno un dente cariato. E posso dirlo dall’alto dei miei quasi cinquanta anni con una menopausa precoce arrivata a trentanove ed un passato da magra “mangio e non ingrasso” in gioventù. Mi chiamavano nonna osso, Olivia (di Braccio di Ferro), stecco secco, tavoletta (ero senza tette) e via andare, io me la mettevo via sfoggiando il migliore dei miei sorrisi, ma dentro me le segnavo tutte, sicura che un domani mi sarei vendicata di ognuno di quelli che a suo tempo mi aveva insultata. Poi ci ha pensato la vita a rendere loro pan per focaccia regalandomi una quarta di tette e le curve al posto giusto, grazie alle quali non ho più subito bullismo per il mio aspetto fisico e poi crescendo ho preso tutti i chili dell’adolescenza e anche quelli della sorella che non ho mai avuto e non ho più avuto battute sulle mie ossa, ma al contrario un mio ex capo mi consigliò di assumere anfetamine visto che il mio peso non si confaceva alla trasmissione per cui avrei curato i servizi giornalistici, ma questa è un’altra storia.
Questo incipit era doverosamente dovuto per spiegare che il body shaming non riguarda solo la grassezza, ma anche l’eccessiva magrezza, non quella malata legata all’anoressia, che è una malattia al pari dell’obesità, ma quella dovuta alla costituzione, o al metabolismo accelerato, che esiste ragazze, facciamocene una ragione, non è come l’unicorno arcobaleno, c’è davvero gente che non riesce a mettere su peso, perché il corpo brucia più di quello che riesce a ingerire, che io vorrei davvero fare a cambio dall’alto della mia quasi mezza età, ma forse poi si comincerebbero a vedere le rughe e allora desisto. Comunque ci avete fatto caso, la parola grasso è quasi scomparsa dal vocabolario, e bisogna subito stare attenti quando viene pronunciata perché da lì ad essere segnalate dalle paladine dell’orgoglio curvy è un attimo, cioè adesso si può dire cicciottella, morbida, curvy ma guai a dire grasso, che io voglio dire l’adiposità non è una cosa relativa, è un dato oggettivo. Se sei trenta/quaranta chili in più rispetto al tuo peso forma puoi metterla come vuoi, e puoi definirti in tutte le maniere del mondo e cercare di addolcire la pillola, ma il reale aggettivo che ti si confà è sovrappeso, che è poi un modo gentile di dire grasso.
Fermi tutti non sto dicendo che se vado a fare la spesa e ho il vestito che mi tira (e mi si rompe, parlo per esperienza) tu abbia il diritto di prendermi per il culo per il mio aspetto fisico, o di etichettarmi in alcun modo, nessuno ha il diritto di giudicare nessun altro, solo noi possiamo guardarci allo specchio e decidere se ci piacciamo o meno, ma allora perché non c’è tutta questa empatia e rispetto verso chi è ultra magro? Se esiste il “fat shaming” esiste anche lo “skynny shaming”, ma chissà perché fa sempre meno notizia del primo. L’ultima in ordine di tempo colpita da body shaming è Nicole Rossi, la brunetta del duo Le collegiali, vincitrici di Pechino Express che di anni ne ha appena venti, ma una testa, una grinta e una parlantina da adulta. La sua colpa? Aver postato una sua foto in top per mostrare i dreads appena fatti. Apriti cielo, spalancati terra.
“Sei brutta” “fai schifo” “mangia” “sei troppo magra” “sei malata” dai soliti leoni da tastiera che, nascosti da un nickname e da un profilo fake, hanno visto bene di sputare tutta la loro frustrazione nei confronti di una ragazza poco più che adolescente. Al punto che Nicole si è trovata quasi costretta a fare un successivo post con una foto di lei in mezzo alla pasta per sottolineare che il suo peso non dipende dalla mancanza di cibo, ma dalla costituzione del suo corpo e da una problematica che ha (forse nell’assorbimento delle sostanze nutrizionali?), ribadendo il (sacrosanto) diritto al rispetto e sottolineando come il web spesso si dimentichi che anche dire “mangia un po’” sia umiliante per chi lo riceve e dando degli ipocriti a quelle persone che combattono il body shaming, ma umiliano le magre. E noi non possiamo che concordare con lei, questa collegiale cazzuta e diretta. La prossima volta prima di dire “le ossa datele ai cani” pensate a quanto vi faccia male la parola grasso a tal punto da averla quasi fatta togliere dal vocabolario. E state zitti. Se potete.
“Io non ho scelto il mio corpo, a volte lo odio, ma di base mi amo alla follia. Questo conta.”
Brava Nicole, continua così.
Tutto il resto non conta.