L’emofilia è una patologia ematologica congenita ed ereditaria, causata da un’alterazione quantitativa o qualitativa di un fattore della coagulazione. La condizione impedisce al sangue una fisiologica coagulazione e chi è affetto può essere soggetto a emorragie difficilmente arrestabili, anche a seguito di traumi lievi o piccoli tagli, o spontanee.
Sono più di 5.000 i casi di emofilia in Italia, secondo i dati del Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite dell’ISS. Oggi è possibile diagnosticare tempestivamente questa malattia ed è anche possibile trattarla in maniera efficace, per quanto non risolutiva. Inoltre, la prevenzione è essenziale per i pazienti affetti da emofilia, che devono adottare comportamenti e precauzioni idonee alla loro condizione per godere di una buona qualità della vita.
Indice
Cos’è l’emofilia?
L’emofilia è una rara malattia ereditaria, causata dalla carenza di proteine normalmente presenti nel sangue il cui scopo è garantire i normali processi coagulativi, arrestando il sanguinamento e contribuendo alla successiva riparazione dei tessuti.
In un individuo sano una ferita o un trauma possono provocare un danno dei tessuti e una perdita di sangue. Se le dimensioni della lesione non sono eccessive, questa risulta essere limitata e temporanea, poiché le piastrine e specifiche proteine dette “fattori della coagulazione” avviano un processo a cascata che porta alla formazione del coagulo. Il sangue, infatti, trasporta questi componenti che garantiscono la formazione di una struttura che consente di ridurre e poi arrestare l’uscita di sangue dalla breccia.
Nei soggetti con emofilia, invece, tali fisiologici processi sono compromessi: i deficit dei fattori della coagulazione rendono ogni emorragia, interna o esterna, molto difficile da arrestare. Generalmente la causa dell’emofilia è una mutazione genetica del cromosoma sessuale X, che viene trasmessa dai genitori ai figli e determina la carenza di uno dei fattori della coagulazione.
A seconda del fattore della coagulazione che risulta essere deficitario, l’emofilia può essere di tipo A, di tipo B o di tipo C. Nell’emofilia di tipo A è interessato il fattore di coagulazione VIII, in quella di tipo B, il fattore di coagulazione IX e, infine, nella tipo C il fattore XI. La prima è molto più frequente della seconda e si stima che circa l’80% dei soggetti emofilici presentino deficit del fattore di coagulazione VIII. La tipo C risulta essere molto più rara delle precedenti, oltre ad avere un meccanismo di trasmissione non legato al cromosoma X.
In presenza di emofilia i fattori di coagulazione sono in quantità estremamente ridotta, se non assenti. Ciò fa sì che nel momento in cui c’è una lesione, l’organismo non ha gli strumenti per arrestare l’emorragia affinché la ferita si rimargini come farebbe in condizioni fisiologiche.
A seconda della quantità residua funzionante del fattore della coagulazione interessato e dunque delle manifestazioni cliniche, l’emofilia può essere lieve, moderata o grave. Questa classificazione si basa sulla percentuale di attività residua del fattore della coagulazione coinvolto:
- è grave se la percentuale di attività del fattore coagulante è < 1%;
- è moderata se la percentuale di attività è tra l’1 e il 5%;
- è lieve se la percentuale di attività è tra il 5 e il 40%.
Come si trasmette l’emofilia?
Si tratta nella maggior parte dei casi di una malattia ereditaria e presente fin dalla nascita. Essendo una patologia legata al cromosoma X, colpisce quasi esclusivamente persone di sesso maschile. Gli individui biologicamente di sesso maschile possiedono nel loro corredo genetico una copia del cromosoma Y e una del cromosoma X. Se il gene che codifica per il fattore della coagulazione, presente sul cromosoma X, risulta essere alterato, non è presente un altro cromosoma X (come negli individui di sesso biologico femminile) in grado di vicariare questa mancanza.
Per questo motivo, le patologie legate a mutazioni del cromosoma X tendono a manifestarsi clinicamente negli individui biologicamente maschili, mentre quelli biologicamente femminili risultano frequentemente essere portatori sani.
Questi ultimi possono ammalarsi se ricevono una copia alterata dalla madre biologica portatrice sana e una dal padre biologico affetto dalla patologia. L’emofilia di tipo C, invece, avendo una trasmissione autosomica (non legata al cromosoma X), colpisce con la stessa probabilità sia gli uomini sia le donne.
I sintomi dell’emofilia
L’emofilia si presenta sotto forma di sanguinamenti copiosi, che nelle situazioni più gravi possono trasformarsi in emorragie massive, e di una spiccata predisposizione alla formazione di lividi. Chi soffre di questa malattia può avere sanguinamenti problematici anche solo con piccole lesioni: la caduta di un dente, un taglio modesto o sangue dal naso inarrestabile.
Esiste poi anche la possibilità che si formino emorragie spontanee o emorragie interne, che possono manifestarsi con la presenza di sangue nelle urine e nelle feci o all’interno delle articolazioni e causare gonfiore, dolore e difficoltà di movimento. A essere coinvolti sono a volte anche muscoli e gli organi interni: il cervello è uno dei siti più esposti alla possibilità di sviluppare emorragie. In seguito ad un trauma cranico, anche di lieve entità, può insorgere, nel paziente emofilico, un serio pericolo di vita.
La diagnosi di emofilia
L’emofilia si può diagnosticare con una visita specialistica e degli esami del sangue mirati che analizzino il tempo di coagulazione e la quantità di fattori di coagulazione presenti.
In genere l’emofilia grave si manifesta molto presto nella vita e viene diagnosticata nei primi due anni del bambino, mentre l’emofilia lieve può restare silente per molti anni, fino alla comparsa di traumi o alla necessità di interventi chirurgici che mettono in evidenza la presenza dell’alterazione genetica. Anche l’emofilia moderata viene diagnosticata in età pediatrica, ma solitamente non nei primi anni di vita.
Gli esami di laboratorio misurano il tempo di coagulazione del sangue e rilevano la quantità dei fattori della coagulazione presenti, determinando quale sia deficitario.
Può capitare, specie nei casi lievi, che il dubbio della presenza di una condizione emofilica emerga durante gli esami preoperatori, eseguiti in previsione di un intervento chirurgico o di manovre invasive. Altre volte, i dati clinici suggeriscono la presenza della condizione e gli esami di laboratorio, da eseguire sotto consiglio del proprio medico di fiducia, possono confermarla.
Oggi è possibile anche eseguire test prenatali che identifichino le alterazioni geniche responsabili della patologia. Tali esami vengono in genere prescritti nei casi in cui esista una storia familiare di emofilia, grazie a queste è possibile prendere decisioni più accurate sulla gestione del parto.
Inoltre, capire se si soffre di emofilia di tipo A o B è fondamentale, perché le terapie sono differenti.
Come prevenire e curare l’emofilia?
L’emofilia viene spesso trattata con la terapia sostitutiva che prevede che vengano iniettati i fattori della coagulazione deficitari per via endovenosa, in modo da prevenire eventuali emorragie.
Un tempo venivano somministrati dei concentrati di fattori della coagulazione carenti ottenuti estraendo i fattori VIII o IX dal plasma dei donatori (detti concentrati plasmaderivati). Con gli anni e l’evoluzione della ricerca si è riusciti a ottenere fattori della coagulazione prodotti in laboratorio, modificandone inoltre le proprietà farmacologiche in modo da renderli efficaci più a lungo, una volta somministrati.
Nei casi di emofilia grave o moderata il trattamento d’elezione è quello della profilassi, una procedura che viene avviata già entro i 2 anni d’età e consiste nell’infusione per via endovenosa dei fattori VIII o IX, con una cadenza molto ravvicinata: circa ogni 7 o 14 giorni per i pazienti con emofilia di tipo B e circa ogni 2 o 7 giorni per i soggetti con emofilia di tipo A. La velocità di eliminazione della proteina dall’organismo dipende, infatti, sia dal farmaco stesso, sia dalla reazione del soggetto ed è necessario comprendere tale variabilità per poter stabilire la corretta terapia.
Questo tipo di profilassi è solitamente da portare avanti per tutta la vita del soggetto emofilico e riesce a prevenire l’insorgenza delle emorragie spontanee e a rendere meno pericolose quelle incidentali. I concentrati di fattori della coagulazione possono comunque essere utilizzati anche a seguito di episodi emorragici post-traumatici o quando il soggetto necessita di interventi chirurgici o manovre invasive. Purtroppo, la terapia sostitutiva ha dei limiti, poiché alcuni dei soggetti sviluppano anticorpi che classificano come estranei all’organismo i fattori esogeni somministrati, compromettendone l’effetto terapeutico.
Non mancano oggi soluzioni ormonali a base di desmopressina o terapie farmacologiche con somministrazione di antifibrinolitici, che cercano di migliorare la stabilità dei coaguli ematici. Recentemente, per i soggetti con emofilia di tipo A, è stato reso disponibile anche un anticorpo monoclonale a somministrazione sottocutanea, in grado di prevenire le emorragie. Si somministra a cadenza settimanale, oppure ogni due settimane o una volta al mese, ma non può essere usato per l’intervento su emorragie acute, che richiedono comunque la somministrazione di concentrati di fattore VIII. Anche per l’emofilia di tipo B sono in via di sviluppo trattamenti simili.
Sono, inoltre, allo studio delle terapie geniche che intervengono direttamente sui geni difettosi. Se oggi l’emofilia è una malattia curabile ma non guaribile, la terapia genica ha proprio l’obiettivo di introdurre nell’organismo il gene sano che codifichi per il fattore della coagulazione VIII o IX e che ripristini definitivamente la produzione spontanea del fattore deficitario.
Convivere con l’emofilia
Chi soffre di emofilia dovrebbe praticare regolarmente dell’attività sportiva per restare in forma e rafforzare articolazioni e muscoli. Attenzione, però, a evitare gli sport di contatto come calcio, boxe, rugby e arti marziali. Il medico di fiducia saprà consigliare gli sport più indicati e le strategie per praticarli in sicurezza. L’uso di ginocchiere, caschi e cinture, è fondamentale per ridurre il rischio di lesioni e ferite durante la pratica dell’attività sportiva.
Inoltre, meglio evitare i farmaci che fluidificano il sangue e gli analgesici come aspirina e ibuprofene, poiché hanno un effetto anticoagulante. È più sicuro ricorrere al paracetamolo. Un colloquio con il proprio medico di fiducia sarà sufficiente a stabilire quali sono i farmaci che il soggetto emofilico può utilizzare in sicurezza.
Fondamentale è anche prendersi cura dei denti, per evitare estrazioni o interventi a rischio sanguinamento. Per proteggere sé stessi o i propri figli portatori di emofilia da lesioni che possano causare sanguinamenti, è bene prestare attenzione ai mobili e agli oggetti di casa: vanno evitati, per quanto possibile, quelli con bordi affilati e taglienti.
Fonti bibliografiche
- Emofilia: cosa è, FedEmo
- Emofilia, Manuale MSD
- Emofilia, Telethon
- Tipi di donazione, Avis
FAQ
L’emofilia è una patologia ereditaria dei geni che codificano per i fattori della coagulazione VIII o IX che si trovano sul cromosoma X. Se i genitori presentano il difetto, è possibile che generino figli sani, malati o portatori sani di emofilia.
I trattamenti farmacologici comprendono la somministrazione dei fattori della coagulazione, soluzioni ormonali e somministrazione di antifibrinolitici. Terapie in fase di sviluppo hanno lo scopo di ripristinare in via definitiva i processi coagulativi.
Dipende dal corredo cromosomico di entrambi i genitori. Un consulto con un medico specialista potrà aiutarti a studiare nel dettaglio la tua situazione.
In questi soggetti un semplice taglio o un piccolo trauma possono dare origine a emorragie copiose e difficili da arrestare. È possibile che si verifichino anche emorragie spontanee, in alcuni casi, anche pericolose per la vita.
Certo. Le nuove tecnologie permettono la sintesi dei fattori della coagulazione, ma la donazione del sangue resta un aiuto prezioso per questi pazienti e non solo.