Con la 24ª Esposizione Internazionale intitolata Inequalities, la Triennale di Milano si conferma ancora una volta come uno dei più sensibili termometri della contemporaneità. Dal 1923, le sue Esposizioni hanno scandito i grandi temi del Novecento e del nuovo millennio: dalla ricostruzione postbellica alla produzione in serie, dal dialogo tra arte e artigianato fino alla questione ambientale. Oggi sceglie di affrontare uno dei nodi più urgenti del nostro tempo: le disuguaglianze.
Sotto la guida di Stefano Boeri, commissario generale della mostra, Inequalities diventa un viaggio attraverso le molteplici forme di disparità che attraversano il mondo: economiche, sociali, di genere, di accesso alle risorse, di salute, di conoscenza. Per sei mesi, le sale del Palazzo dell’Arte ospiteranno mostre, installazioni, performance e progetti che esplorano come le differenze — originarie o costruite nel tempo — possano generare esclusione o, al contrario, diventare risorse di arricchimento reciproco.
Indice
Un tema universale e radicale
“Nasciamo diseguali. Tutti noi. Tra di noi”, scrive Boeri nel testo introduttivo della Triennale. Le disuguaglianze sono inscritte nella nostra esistenza fin dal principio: nel luogo di nascita, nella famiglia, nel corpo, nella parte di mondo che ci accoglie. Alcune diventano opportunità, altre vincoli, altre ancora catene da spezzare.

Ma la Triennale non si limita a fotografare il problema: l’intento è aprire un dialogo tra discipline, linguaggi e prospettive per cercare soluzioni. La consapevolezza del carattere strutturale delle disuguaglianze è infatti, secondo Boeri, una condizione necessaria per affrontare le altre sfide del nostro secolo: la crisi climatica, la transizione ecologica, le trasformazioni urbane e tecnologiche.
Nel mondo di oggi, il 50% delle emissioni globali è prodotto dai Paesi più ricchi, che sono anche i meno colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale. Al contrario, i Paesi più poveri, responsabili di appena il 12% delle emissioni, sono quelli che ne subiscono gli effetti più drammatici. Allo stesso modo, negli ultimi dieci anni la ricchezza dei cinque miliardari più ricchi del pianeta è più che raddoppiata, mentre quella del 60% più povero dell’umanità è rimasta invariata.
Dietro i numeri, Inequalities ci invita a leggere storie, corpi, territori, città e relazioni umane. Lo fa attraverso due grandi prospettive — la geopolitica e la biopolitica — che si intrecciano per restituire un quadro complesso e stratificato del mondo contemporaneo.
Geopolitica delle disuguaglianze: le città come crocevia del futuro
Il piano terra del Palazzo dell’Arte è dedicato alla dimensione geopolitica. Qui, le disuguaglianze vengono osservate nel loro rapporto con gli spazi urbani, l’ambiente e la mobilità. Le città, pur occupando solo il 3% delle terre emerse, producono il 75% delle emissioni globali e ospitano oltre il 60% della popolazione mondiale, una quota destinata a salire al 70% entro il 2050.
In questo contesto, la mostra Cities, curata da Nina Bassoli, costruisce un atlante di luoghi, temi e progetti che indagano la nuova dialettica tra ricchezza e povertà, ecologie e comunità. In apertura, due casi emblematici: il conflitto israelo-palestinese, narrato da Amos Gitai con The Book of Amos, e l’incendio della Grenfell Tower di Londra del 2017, ricostruito dal collettivo Grenfell Next of Kin come simbolo di una disuguaglianza urbana e politica radicata.

La sezione Lo spazio delle disuguaglianze, realizzata dal Politecnico di Milano e coordinata da Sandro Balducci, esplora il legame tra ambiente, mobilità e cittadinanza. Le analisi mostrano come una persona su quattro nel mondo viva in insediamenti informali, priva di accesso ad acqua potabile, energia e servizi essenziali. Fenomeni climatici estremi e migrazioni forzate accentuano ulteriormente il divario tra chi ha e chi non ha.
A questi scenari risponde la mostra Verso un futuro più equo, a cura della Norman Foster Foundation, che presenta idee, prototipi e politiche per ridurre le asimmetrie nell’accesso alle risorse fondamentali per abitare. Le mappe di Maurizio Molinari, raccolte nell’Atlante del mondo che cambia, aiutano a leggere queste trasformazioni, scardinando la tradizionale opposizione Nord-Sud e mostrando la nascita di nuove gerarchie e polarizzazioni globali.
Anche Milano diventa caso di studio: il progetto Milano. Paradossi e opportunità, coordinato da Seble Woldeghiorghis e curato da Damiano Gullì e Jermay Gabriel Michael, racconta come le contraddizioni sociali e culturali del capoluogo lombardo possano essere trasformate in risorse e opportunità di inclusione.
Biopolitica delle disuguaglianze: i corpi come territorio di conflitto e trasformazione
Al primo piano, l’Esposizione si sposta all’interno dei corpi e delle relazioni umane, per indagare come le disuguaglianze si manifestino nella salute, nel lavoro, nella conoscenza e nelle aspettative di vita.
Con la mostra We the Bacteria. Appunti per un’architettura biotica, Beatriz Colomina e Mark Wigley esplorano il legame tra architettura, salute e microbioma, mostrando come la riduzione della diversità microbica — oggi inferiore del 50% rispetto a quella dei nostri antenati — sia causa di molte malattie contemporanee. L’architettura, suggeriscono i curatori, può diventare strumento di collaborazione interspecie, in cui microbi e batteri siano alleati piuttosto che nemici.

Telmo Pievani, con Un viaggio nella biodiversità. Otto stazioni sul pianeta Terra, invita invece a guardare alla diversità biologica come risorsa e non come ostacolo. Materiali innovativi, modelli di economia circolare e rigenerazione delle risorse diventano chiavi per costruire un futuro più equilibrato tra uomo e natura.
La mostra La Repubblica della Longevità. In Health Equality We Trust, a cura di Nic Palmarini e Marco Sammicheli, affronta la longevità come nuova frontiera della disuguaglianza: nei Paesi OCSE servono in media cinque generazioni affinché un bambino nato in una famiglia povera raggiunga il reddito medio nazionale. L’aspettativa di vita, che nel 1900 era di 32 anni e oggi supera i 70, resta diseguale: in Ciad si ferma a 53 anni, in Giappone arriva a 84, e a Chicago la distanza tra quartieri poveri e ricchi supera i 30 anni.
Le disuguaglianze di genere sono al centro di NOT FOR HER. L’Intelligenza Artificiale che svela l’invisibile, progetto coordinato da Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano, che usa la simulazione per evidenziare la disparità di trattamento e di accesso al lavoro: in Italia, a parità di formazione, le donne guadagnano ancora il 33% in meno rispetto agli uomini.
Memoria, arte e cura: altri sguardi sulle disuguaglianze
In dialogo con questi percorsi, Theaster Gates riflette sul valore collettivo degli archivi e sulla memoria come forma di giustizia. Clay Corpus, invece, mette in dialogo il ceramista giapponese Yoshihiro Koide e il designer Ettore Sottsass, esplorando la dignità e l’umanità racchiuse negli oggetti quotidiani.

Con Portraits of Inequalities. Pittura di classe, Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa guardano alla Ca’ Granda di Milano, che custodisce oltre novecento ritratti di benefattori dell’Ospedale Maggiore: un esempio di come, nella storia, le classi privilegiate abbiano cercato di rappresentare la beneficenza come forma di contratto sociale implicito.
Le arti performative entrano in scena con Le disuguaglianze dei corpi, un programma curato da Umberto Angelini che mette in discussione identità culturali, geografiche e di genere. Sullo scalone principale, l’installazione 471 giorni di Filippo Teoldi restituisce la brutalità della guerra come estrema rappresentazione della disuguaglianza.
Infine, di fronte al Palazzo dell’Arte, l’artista Jacopo Allegrucci presenta La fragilità del futuro: quattro grandi animali in via d’estinzione, realizzati in cartapesta e destinati a mutare sotto gli agenti atmosferici, simbolo della vulnerabilità della natura e della necessità di prendersene cura.
Un manifesto per il presente
Con Inequalities, la Triennale di Milano non pretende di esaurire un tema, ma di suggerire domande, visioni e possibilità. Le disuguaglianze non sono solo un dato economico o sociale: sono il risultato di scelte, culture, eredità e strutture che possiamo ancora modificare.
Come nelle passate edizioni, l’Esposizione Internazionale agisce come collettore di idee e sensore della contemporaneità, proponendo un luogo di incontro tra arte, architettura, scienza e filosofia.
Guardare il mondo attraverso le disuguaglianze, scrive Boeri, non significa dividere, ma comprendere. Significa riconoscere la diversità come risorsa, la differenza come possibilità, la cura come forma di giustizia.
Perché solo accettando la complessità delle disuguaglianze, e trasformandole in fertili differenze, possiamo immaginare un futuro in cui ogni vita abbia lo stesso diritto di esistere, crescere e contribuire al bene comune.