Ci sono storie che scegli di raccontare, e poi ci sono storie che ti vengono a cercare, e così due sere fa su Instagram mi arriva questo messaggio: “Ciao Irene, mi chiamo Diva. Ho quarantacinque anni (quasi) e la mia compagna Michela il 9 aprile si sottoporrà insieme a me ad un intervento chirurgico. Mi donerà un suo rene poiché i miei stanno smettendo di funzionare, non ho paura perché lo stiamo facendo insieme. Mi sta salvando dalla dialisi. Mi sta dando una “second life”. E tutto questo amore mi sta travolgendo tanto da non fare spazio alla paura. Non so perché lo sto dicendo a te, ma avevo voglia di farlo. Una settimana fa siamo andate a fare una passeggiata sui colli (noi siamo di Bologna) e sai chi abbiamo incontrato? Un lupo, allora ho pensato che sono mesi che ogni medico che incontro che mi visita per l’idoneità al trapianto, alla fine mi dice “in bocca al lupo“, eccolo alla fine ci è venuto a salutare per davvero.”
Sarà il periodo, sarà che c’è tanto bisogno di belle storie e speranza, sarà che Diva assomiglia tantissimo alla mia amica e compagna di banco della scuola media Elisabetta, sarà che conosco benissimo la trafila degli esami cui sottoporsi, sarà che so quanto amore ci voglia per arrivare a prendere questa decisione, fatto sta che in prima battuta mi sono commossa, un secondo dopo avevo già deciso di raccontarle, scoprendo che la malattia di cui è affetta la quarantacinquenne è la stessa di mio marito, la sindrome di Berger. Un caso. Ma come dice il maestro Shifu di Kung Fu Panda, il caso non esiste, loro non sanno perché abbiano avuto il desiderio di condividerlo con me, io lo so.
Ci vuole rispetto e amore, ci vuole empatia e commozione, ci vuole sentimento per camminare nelle scarpe utilizzate da altri per vivere, e questo è da sempre il mio mantra nel raccontare la vita, la mia e quella delle persone che scelgono di affidarsi alle mie parole. Perché questa non è “solo” una storia d’amore più forte della malattia, è anche una storia che segna ed insegna che davanti alla malattia o alla felicità non esiste genere, non esiste razza, non esistono sconti, e soprattutto nel 2021 (e aggiungerei per fortuna) non esistono più limiti legali al fatto che una lei possa donare alla sua lei, ma Michela è la prima, anzi loro due sono le prime, faranno da apripista per tutti quelli che verranno dopo di loro e che sapranno che si può fare, si può donare un rene in vita anche come coppia di fatto omosessuale, perché grazie alla legge Cirinnà sono considerate un unico nucleo familiare, e il 9 maggio del 2021 il rene di una diventerà la nuova vita dell’altra. Questa è la storia di Diva e Michela, in esclusiva nazionale per le lettrici di DiLei, raccontata attraverso le loro parole.
“Mi chiamo Diva e la mia compagna Michela. Siamo di Bologna tutte e due. Io ho i 44 anni e Michela 50. Io ho perso i genitori molto presto e lei ha solo il papà e una zia fantastica. Abbiamo tutte e due cambiato la nostra vita lavorativa per la grande passione che ci lega entrambe alla cucina, e ora stiamo aprendo la nostra gastronomia.
Siamo e stiamo insieme da quasi undici anni. In realtà ci conosciamo da molto più tempo, frequentavamo la stessa compagnia di amici. Io gay da sempre e Michela etero da sempre. Quella estate di quasi 11 anni fa eravamo in Costa Azzurra e per una serie di coincidenze l’amica con qui eravamo via, è dovuta tornare a Bologna lasciandoci tutto agosto da sole. Ci siamo divertite un sacco, non facevamo nulla di che, passavamo ore a parlare, ad ascoltare musica in terrazza davanti al mare, andavamo in giro per mercatini, rispettavamo i nostri silenzi. Non è mai successo nulla, se non che io ho cominciato a guardarla con occhi diversi da quelli di una semplice amica. E credo anche lei (ma non lo aveva mica capito sai). Tornate a Bologna io ho cominciato a farle la corte, quella vera, quella che non dormi di notte, che non mangi più perché non hai tempo se non di pensare a come riuscire a farle “cambiare idea”.
Ma lei l’aveva già cambiata e un po’ si divertiva a guardarmi, fino al 10 ottobre del 2010 (10-10-10) ci siamo messe assieme”.
“E non ci siamo più lasciate. Ma davvero eh. Mai mai (solo quando sono stata in ospedale). Sempre assieme.
Ora viviamo nella nostra casa sui tetti e nel centro di Bologna con i nostri due cavalier Isabel e Kirk. Nel dicembre del 2016 decidiamo di partire alla volta di citta del Messico per passare il natale con mio fratello e sua moglie. Mio fratello (ne ho due) vive a citta del Messico da 15 anni. Durante quella vacanza io ho avuto episodi di mal di testa violentissimi, ma non riuscivamo a capirne i motivi, inizialmente pensavamo fosse causata dall’altitudine. Tornate in Italia però questi mal di testa non passavano e un giorno Michela mi ha dovuto portare al pronto soccorso con la pressione 115 – 215. Proprio in quella occasione i medici si sono accorti di una anomalia nella mia creatinina, se non ricordo male era circa 2.5 . E cosi mi hanno mandato prima in cardiologia poi in nefrologia. Alla parola “nefrologia” io ho risposto “che cos’è?”.”
“Da li in poi è iniziato il nostro percorso in quel mondo. Ho fatto ricoveri e biopsie fino a scoprire di avere una “nefropatia degenerativa da depositi mesangiali”, la sindrome di Berger. I miei reni si stavano lentamente spegnendo in maniera gemellare. Ho fatto un anno e mezzo di bombe di cortisone per provare a rallentare la malattia (si chiama schema Pozzi-Ponticelli) e in effetti, a parte tutto ciò che si porta con se il cortisone ma pazienza, ha funzionato. La malattia si era fermata e noi eravamo felicissime. Era stata dura, avevo caldo e Michi mi portava in montagna. Avevo la “piangina”, Michi mi faceva ridere. Mi vedevo un criceto spiaggiato e Michi mi riempiva di complimenti e mi dava i bacini sulle guanciotte gonfie di cortisone. Poi durante il lockdown di marzo del 2020 ho cominciato a non stare più tanto bene e alla visita di routine, la scoperta. La malattia era tornata.”
“Una delle mie dottoresse ha voluto fare un tentativo di nuovo con un ricovero e una biopsia per capire se fosse solo una acutizzazione, oppure no. In piena pandemia mi hanno ricoverata nel mio ospedale , il S. Orsola di Bologna , con tutte le difficoltà di quel periodo. Purtroppo la biopsia ha confermato che la malattia stava progredendo e anche velocemente. Abbiamo iniziato il percorso per la dialisi, ore ed ore a parlare e a confrontarmi con Michi su quale fare. Tutti quei cartoni in casa, l’idea mi ammazzava. Rivoluzionare la nostra piccola casa, il nostro rifugio, trasformato in una specie di stanza di ospedale. Era troppo. Quindi dopo aver parlato a lungo coi medici eravamo arrivate alla decisione di fare l’emodialisi ospedaliera“.
“Io ero triste , confusa e un po’ persa. Una mattina lei mi dice “voglio fare gli esami per la compatibilità renale” e io le dico “no”. Allora insiste e dice “e invece io li faccio, chiamiamo e diciamoglielo. Se sono compatibile ti do io il rene . Non voglio che tu faccia la dialisi.” Abbiamo due gruppi sanguigni diversi ma siamo compatibili. I medici si sono immediatamente prodigati per fare tutto il prima possibile affinché io non dovessi , non solo non sottopormi a dialisi, ma nemmeno fare la fistola. E siamo arrivate ad oggi, Michi venerdì finisce gli esami e io quasi. Il 9 maggio 2021 ci operiamo. Io entrerò in ospedale un po’ prima per fare la plasmaferesi. Tutti i medici del S. Orsola di Bologna ci hanno sempre sempre sempre trattato come una coppia. Non ci siamo mai sentite discriminate. Mai una gaffes, mai una parola fuori luogo, sempre una grande attenzione e delicatezza sia per me, che per lei, che soprattutto per noi due come coppia”.
“So che il percorso è ancora lungo e ci aspetta un periodo sulle montagne russe. Ma ci saliamo insieme su quelle montagne russe e quindi va bene cosi. Non è stato e non è facile per me accettare questo grande dono che mi sta facendo Michela, ma una delle cose che più mi fa stare bene quando ci rifletto è pensare alla case manager dell’unità trapianti che guardandomi negli occhi con dolcezza infinita mi ha detto “Non ti devi preoccupare per lei , lei per noi è un dono e noi ci occuperemo di lei per tutta la vita“. Partiamo. Questa è la nostra storia Irene, e tanto deve essere ancora raccontato. Il 9 maggio andrà tutto bene anche perché abbiamo incontrato un lupo, un lupo sui colli di Bologna. E quindi non può che andare tutto bene.”
E noi saremo con voi il 9 maggio virtualmente.