Linfoma follicolare: tutto quello che c’è da sapere

Il linfoma follicolare è un tipo di cancro del sangue, specificamente un linfoma non-Hodgkin a cellule B, che si sviluppa lentamente e che colpisce principalmente i linfonodi, formando strutture nodulari o follicolari.

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Andrea Costantino

Medico chirurgo

Medico abilitato alla professione, iscritto all'albo dei Medici e degli Odontoiatri di Siena.

linfomi sono tumori ematologici derivanti da una crescita eccessiva di un tipo specifico di cellula del sistema immunitario chiamata linfocita. Esistono tre tipologie di linfociti (B, T o NK) che, se colpiti dalla patologia, possono dare un fenotipo clinico di gravità molto variabile; nella maggior parte dei casi i linfociti B (80-85 per cento dei casi) rappresentano le cellule alterate, mentre è più raro che vengano interessate le altre due tipologie cellulari.

Il linfoma: una patologia del “sistema linfatico”

Il sistema linfatico è costituito dagli organi linfoidi primari e secondari, dalla rete dei vasi linfatici, e dalla linfa. Gli organi linfoidi primari sono timo e midollo osseo, mentre gli organi linfoidi secondari sono la milza ed i linfonodi. La principale funzione del sistema linfatico è la difesa dell’organismo dagli agenti esterni e dalle infezioni. I linfomi si sviluppano generalmente nei linfonodi od in altri organi linfatici (come la milza), ma possono colpire tutti gli organi del corpo.

Un’importante distinzione clinica con rilevante valore prognostico distingue i linfomi in due macro-categorie:

  • linfomi di Hodgkin (che prende il nome dal medico che per primo descrisse la malattia);
  • linfomi non-Hodgkin (identificabili con l’acronimo LNH ed in cui rientra il linfoma follicolare).

Ogni categoria è ulteriormente suddivisa in numerosi sottogruppi sulla base delle caratteristiche delle cellule tumorali, rappresentate da velocità di crescita (e, quindi, aggressività della malattia), del loro aspetto al microscopio, delle molecole che esprimono in superficie e delle caratteristiche genetiche intimamente correlate al sottotipo specifico di tumore.

I LNH vengono distinti in linfomi indolenti, che crescono lentamente, e in aggressivi, che progrediscono rapidamente. Il LNH indolente più frequente è il linfoma follicolare (FL), mentre il linfoma aggressivo più comune è il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL).

Epidemiologia dei linfomi 

Sebbene non costituiscano le prime patologie in ordine di incidenza, in Italia i linfomi rappresentano, comunque, circa il 3 per cento di tutte le neoplasie. Le stime dei registri tumori AIRTUM per il 2022 parlano di 8.100 nuovi casi tra gli uomini e di 6.300 tra le donne.

Il linfoma di Hodgkin colpisce ogni anno circa 1 persona ogni 30.000 abitanti e si sviluppa all’incirca con la stessa probabilità nei giovani e negli anziani. I linfomi non-Hodgkin si sviluppano prevalentemente nelle persone anziane. Sono tumori relativamente comuni (3% di tutti i tumori maligni) e si stima che colpiscano ogni anno in Italia più di 10.000 persone.

Fattori di rischio per i linfomi

In linea generale, differentemente da altre patologie, non esiste una chiarissima correlazione tra l’esposizione a determinati agenti esterni e lo sviluppo di tale affezione ematologica. Possiamo affermare certamente che l’età ed il sesso costituiscano i più significativi elementi da tenere in considerazione: infatti, il LNH è più comune tra gli adulti, in particolare dopo i 65 anni, e gli uomini sono in genere più a rischio delle donne (anche se alcuni tipi di LNH sono più frequenti nelle donne).

Il rischio di LNH aumenta con l’esposizione a radiazioni ionizzanti (per esempio per trattamenti medici precedenti) o a sostanze chimiche come erbicidi e insetticidi e in tutti i casi in cui il sistema immunitario è compromesso (es. infezione da HIV, AIDS, malattie autoimmuni, terapie con farmaci antirigetto dopo un trapianto ecc.).

Cos’è il linfoma follicolare

Il linfoma follicolare è una forma di linfoma non-Hodgkin caratterizzata dalla proliferazione delle cellule B senza alterazioni nella struttura nodulare dell’architettura follicolare del linfonodo (NB. ciascun linfonodo presenta una microstruttura tipica il cui sovvertimento delle caratteristiche di base è utile, come vedremo, per un corretto inquadramento diagnostico).

La prevalenza stimata è circa 1/3.000 e l’età media alla diagnosi è 60-65 anni. La malattia è estremamente rara nei bambini. Il linfoma follicolare si localizza soprattutto nei linfonodi, ma può interessare anche la milza, il midollo osseo, il sangue periferico e l’anello di Waldeyer (anello di strutture linfatiche che circonda le strutture anatomiche di naso e bocca). In rari casi possono essere colpiti la cute e il sistema nervoso centrale.

Sintomi del linfoma follicolare

Si tratta di una malattia non semplice da riconoscere e che, spesso, decorre in maniera asintomatica nelle fasi iniziali della patologia. Infatti, le manifestazioni più comuni tendono ad insorgere in stadio avanzato e sono rappresentate dalla febbre, sudorazione notturna e perdita di peso.

Al momento della diagnosi i pazienti di solito presentano una linfoadenopatia e, nella metà dei casi, splenomegalia (rispettivamente aumento delle dimensioni di uno o più linfonodi ed aumento della milza). Ciò è dovuto al fatto che i linfociti tendono ad accumularsi nei linfonodi, nella milza e nel fegato provocandone l’ingrandimento. Si possono poi rilevare anomalie a livello di midollo osseo (i linfociti si accumulano anche lì) o di altri organi e tessuti eventualmente colpiti.

La diagnosi di linfoma follicolare

La diagnosi definitiva si basa sull’analisi istologica della linfoadenopatia, sull’esame emocromocitometrico completo, sui valori della latticodeidrogenasi (LDH) e sulla biopsia del linfonodo. Sarà fondamentale avvalersi di esami strumentali per la stadiazione della patologia e, oggigiorno, la PET (tomografia ad emissione di positroni) permette di evidenziare tutte le cellule che hanno un metabolismo accelerato, come quelle del linfoma; è un esame molto sensibile, ma i risultati vanno interpretati con cautela, perché in alcuni casi anche cellule non del linfoma possono risultare positive. La PET viene utilizzata per la stadiazione, ma anche per valutare l’efficacia del trattamento.

In maniera più specialistica, nell’85% dei pazienti, i linfomi follicolari si associano  ad un’alterazione genetica rappresentata da una traslocazione specifica tra i cromosomi 14 e 18 che, se rinvenuta, può essere fortemente suggestiva di patologia.

Trattamento dei linfomi follicolari

I pazienti ai quali viene diagnosticato il linfoma follicolare vengono sottoposti a un trattamento che prevede la somministrazione di farmaci specifici, quali chemioterapia, immunoterapia e radioterapia.

Se il linfoma è localizzato, deve essere trattato con la radioterapia. Nei linfomi avanzati, è indicata l’immunochemioterapia. Attualmente i pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario, sottoposti a precedenti linee di trattamento, hanno opzioni terapeutiche limitate.

Uno studio multicentrico tutto italiano, condotto dalla Fondazione Italiana Linfomi, coordinato dall’Irccs di Candiolo e dall’Ematologia ospedaliera delle Molinette di Torino, ha evidenziato che la combinazione di due farmaci rappresentati da rituximab (anticorpo monoclonale ampiamente usato contro le malattie ematologiche) e lenalidomide (immunomodulante che agisce sia sulle cellule malate che sul microambiente tumorale) rappresenta una valida opzione terapeutica per i pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario. In particolare, questa coppia di farmaci è in grado di ridurre il rischio di ricomparsa della malattia, dopo una prima o seconda linea di trattamento, più di quanto faccia l’attuale trattamento standard basato sulla sola somministrazione di rituximab.

“In tale studio sono stati reclutati 129 pazienti (età media di 71 anni), affetti da linfoma follicolare recidivante/refrattario, pretrattati con una o due linee di trattamento” spiega Umberto Vitolo, responsabile Studi Clinici Ematologici presso l’Istituto di Candiolo Fondazione del Piemonte per l’Oncologia Irccs. Tuttavia, nei pazienti dello studio sopra i 70 anni d’età i ricercatori hanno registrato effetti collaterali non trascurabili, come un maggior rischio di infezioni e disturbi gastrointestinali. “Per questo riteniamo che la somministrazione della combinazione rituximab e lenalidomide vada ben ponderata – conclude Vitolo – stiamo valutando anche l’opportunità di rimodulare il trattamento, prevedendo dosaggi differenti.”

Fonti bibliografiche: