“Mamma, mi fa male la gamba”. A volte capita di sentire questa frase che esce dalla bocca del bimbo. Eppure, si pensa, non ci sono stati traumi, non si sono fatte attività faticose o corse…. Ma la gamba fa male. È il momento di parlare della situazione con il pediatra. Ed insieme al medico dei bambini ci si può rendere conto che in realtà i dolori non sono immaginari, ma non hanno una chiara origine organica. Sono piuttosto legati alla crescita.
Si tratta di una condizione che interessa mediamente tra il 10 e il 30% dei bambini, tra i tre e i 12 anni, in entrambi i sessi. Sia chiaro: non bisogna fare autodiagnosi. E bisogna che sia il pediatra a proporre tutti i controlli necessari. Se si arriva a capire che si parla di dolori di crescita, in ogni caso, ecco qualche consiglio utile.
Come si manifestano i dolori di crescita
I fastidi interessano i bambini nel loro sviluppo. Sono di natura muscolare. Più spesso si concentrano alle gambe, alle cosce, ai polpacci, ai piedi, rarissimamente alle braccia e compaiono generalmente nelle ore notturne. Possono avere una durata che va da pochi minuti fino ad alcune ore. I così detti “dolori ossei di crescita” rappresentano comunque un frequente quadro clinico dell’età pediatrica. Di per sé, non sono considerati una entità patologica e non si conoscono le cause di questo disturbo soggettivo.
La diagnosi viene definita dal pediatra dopo aver escluso altre cause organiche di dolori del apparato locomotorio. La sensazione del dolore è frequentemente limitata ad ambedue gli arti inferiori e durano 10-20 minuti per episodio. Attraverso un accurato esame obbiettivo (mancanza di segni di infiammazione locale, mancata limitazione della mobilità articolare o zoppia, non segni di traumi etc), il pediatra può già escludere diverse patologie che si manifestano in modo simile.
Cos’è la malattia di Osgood-Schlatter
A volte i dolori di crescita sono legati anche a quadri che il pediatra ben conosce, come la sindrome di Osgood-Schlatter. Si tratta di un quadro clinico molto diffuso e spesso preoccupante che nella maggioranza dei casi non necessita di alcun trattamento e non lascia esiti.
Questa condizione può essere considerata un’infiammazione del nucleo di accrescimento dell’osso, e in particolare della tibia. La cartilagine di accrescimento è particolarmente vascolarizzata e si trova in corrispondenza dell’inserzione del tendine sulla rotula: la conseguenza di questa normale situazione anatomica, in alcuni casi, è una risposta anomala del tendine che si inserisce sulla rotula. che rappresenta un processo degenerativo dell’apofisi tibiale anteriore (osteocondrosi).
La patologia è frequente in ragazzi adolescenti (10-14 anni) impegnati in attività fisica intensa. La comparsa di questa sindrome è causata dallo stress meccanico continuo che il tendine del potente muscolo quadricipite della coscia esercita sul punto d’inserzione a livello della tuberosità tibiale, ancora poco matura e in fase di ossificazione. Questa condizione è benigna e si risolve spontaneamente con la fine della crescita verso i 17-18 anni di età. il dolore può nascere come risposta ad ogni sollecitazione meccanica che si verifica in quell’area. Quindi bastano una corsa, un salto o comunque uno sforzo fisico che coinvolga anche l’area del ginocchio per arrivare alla comparsa di dolore e limitazione funzionale per il bambino.
Un test per capire se si tratta di dolori di crescita
Ribadito che per la diagnosi bisogna sempre fare riferimento al pediatra, ci sono comunque indicazioni che possono aiutare i genitori ad ipotizzare i dolori di crescita. In termini generali, bisogna innanzitutto vedere quando compaiono i dolori. Se si parla di questo tipo di algie, i fastidi si manifestano soprattutto la sera e la notte. Secondo tema da considerare: quando compaiono questi dolori (si manifestano soprattutto la sera o la notte) e che frequenza hanno. In genere i dolori di crescita non compaiono tutti i giorni ma solo una due volte a settimana, magari a periodi. E durano circa una decina di minuti. Sul fronte delle cure, in genere un semplice massaggio o al massimo un blando antidolorifico è sufficiente per superare la situazione. Va anche detto che in caso di dolori di crescita non ci sono gonfiori delle articolazioni e che soprattutto, al risveglio, il bimbo non accusa alcun fastidio. Non zoppica e soprattutto non ha dolore.
Come si affrontano i dolori di crescita
In caso di malattia di Osgood-Schlatter, e più in generale quando c’è infiammazione, l’applicazione di freddo è ottimale per superare la fase acuta, in caso di dolore occorre sospendere l’attività fisica per un certo periodo anche al fine di ridurre il rischio di calcificazioni. Solo in casi rari si può avere un distacco del nucleo di accrescimento che può richiedere un approccio chirurgico. In ogni caso, se si parla di veri dolori di crescita è sempre fondamentale fare riferimento a proprio pediatra.
I dolori di crescita possono essere diagnosticati dal medico, sulla base della storia raccontata dai genitori (le 6 domande dei dolori di crescita) e sulla scorta di una semplice visita del bambino che risulta perfettamente sano. Non è necessario fare nessun genere di accertamenti, né del sangue, né radiologici, perché non sono di nessun aiuto, in quanto nei dolori di crescita tutti gli esami sono normali. Non sono utili visite ripetute se la sintomatologia rimane sempre la stessa. Il dolore si risolve spontaneamente.
Possono essere d’aiuto i massaggi e, talvolta, gli antidolorifici o gli antinfiammatori. Spesso funziona anche un placebo. Soprattutto se il dolore si presenta mentre il bimbo dorme può essere utile svegliarlo completamente facendogli fare due passi, portandolo al bagno, offrendogli un bicchiere di acqua. È importante che i genitori mantengano la calma senza comunicare ansia al bambino, ma anzi lo rassicurino sul fatto che il dolore passerà. Si tratta di forme assolutamente benigne, che si risolvono spontaneamente senza lasciare alcuna conseguenza.
Che differenza c’è tra dolori di crescita, contrattura muscolare e crampo
Detto che i dolori di crescita non presentano le classiche caratteristiche della contrattura muscolare, pur se a volte il dolore può ricordare questo quadro, ecco qualche indizio che può far pensare piuttosto a quest’ultimo problema. In genere la contrattura può essere la conseguenza di un insufficiente allenamento. È il tipico malanno di chi fa sport solo occasionalmente e, con un movimento male eseguito, provoca un indurimento dei muscoli delle braccia e della gambe.
Per ridurre i rischi non bisogna sottovalutare i segnali d’allarme che i muscoli inviano: si tratta di un fastidio generico quasi mai molto intenso che si accentua sotto sforzo e poi sparisce dopo pochi minuti di riposo per ripresentarsi non appena si ricomincia. Se il muscolo “tira”, quindi, fermatevi immediatamente. Il crampo invece porta il muscolo ad essere completamente indurito, oltre che dolente. Per fortuna la cura del crampo ‚ molto semplice. Basta “decontrarre” il muscolo colpito. Ad esempio estendendo la gamba in caso di crampo al polpaccio, come si vede fare alla TV dai massaggiatori delle squadre di calcio. Riportando lentamente l’arto in posizione normale con forza continua il muscolo si rilassa ed il dolore sparisce.
Come aiutare il piccolo a muoversi bene
Non bisogna avere fretta. E occorre sempre ricordare di far visitare regolarmente il piccolo dal pediatra, per essere davvero d’aiuto allo sviluppo delle estremità allenare” il piede e ridurre il rischio che si appiattisca bisogna innanzitutto ricordare che l’essere umano mantiene alcune caratteristiche “animali”. Per cui il piede, nelle prime esplorazioni del bambino, diventa un vero e proprio organo di senso. Grazie alle stimolazioni che il terreno induce sulla pianta del piede il piccolo impara a cogliere le asperità e acquista in equilibrio. Per questo motivo moltissimi pediatri consigliano alle mamme di far camminare il bambino scalzo.
L’ideale è ovviamente che il piede rimanga libero ogni giorno per alcune ore, ma è soprattutto importante che gli “stimoli” a questo organo “sensoriale” giungano da un terreno lievemente accidentato.. Ricordate che ci sono momenti “chiave” in questi passaggi. Tra l’anno e l’anno e mezzo, quando l’andatura si fa sempre più sicura, i piedi del piccolo possono dare un sacco di pensieri.
Magari sono troppo rivolti verso l’esterno o verso l’interno e la sua orma, a prescindere dal tipo di calzatura, lascia sempre l’intera parte inferiore del piede sul terreno, quasi fosse assente il normale arco plantare, quella sorta di curvatura fisiologica che fa sì che quando appoggiamo il piede in terra rimangano ben visibili la punta e il calcagno. In più come se non bastasse compare anche quella ridicola ma preoccupante andatura a papera con il piccolo che assume una strana posizione e allarga le braccia e le gambe per mantenersi in equilibrio. Attenzione: solo tre bimbi su cento, a questa età cominciano ad avere il normale arco plantare. Per la stragrande maggioranza dei piccoli quello del piede piatto è un problema che rimarrà almeno fino ai tre anni. Ma che grazie all’esercizio sparirà da solo.
Come scegliere le scarpine giuste
Non debbono far male. Come per gli adulti, le calzature debbono essere anche per i più piccoli della misura giusta, considerando che i piedi dei bambini nella prima infanzia crescono circa tre centimetri l’anno. Non bisogna che si lamenti o che appoggia in maniera innaturale il piede a terra, nella speranza di eliminare il dolore. soprattutto, non bisogna dimenticare che a volte il male non viene avvertito perché i ditini del piccolo sono tanto elastici da rimanere piegati senza particolari problemi. Quindi provate spesso ad appoggiare un dito sulla punta della scarpa per vedere se le dita “toccano”.
Al momento dell’acquisto delle sue scarpine, oltre ad assicurarvi che abbiano la suola antiscivolo per ridurre il pericolo di cadute, richiedete che siano stringate e in materiali naturali. La presenza dei lacci infatti, vi consente di regolare le calzature in base alla larghezza del piede ed allo spessore della calza. Debbono essere le scarpe ad adattarsi al piede e non viceversa, perché che ogni bambino “disegna” la sua scarpina in base al proprio piede. Insomma, ad ognuno il suo calzare. In questo modo si creano le condizioni per il benessere del piede, che deve sempre passare attraverso la valutazione del pediatra nelle visite di controllo regolari. Il consiglio per i genitori è quindi semplice. Il bimbo deve avere le sue scarpe ed esplorare, perché così si riesce a favorire l’ottimale formazione dell’arco che, in qualche modo, lo accompagnerà per tutta la vita.
L’importanza dell’arco tarsale, cioè di quella specie di curva rivolta verso l’alto che si forma dopo i 4-5 anni (ma l’intero processo può arrivare a concludersi solo intorno ai 15-16 anni), è sostanziale per la salute del piede perché permette di scaricare il peso su tutta la superficie, e non solo sulla sua parte posteriore.
Fonti bibliografiche
Dolori di crescita, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù