Lattanti e bambini nei primi anni di età, sono particolarmente soggetti a patologie infettive come morbillo, varicella, rosolia o parotite. Anche la pertosse rientra tra queste: ha origini batteriche ed è altamente contagiosa, nonché capace di causare sintomi importanti e acuti, potenzialmente letali per i più piccoli.
La pertosse è una delle malattie infantili che colpiscono i bambini sotto i 5 anni. Nel mondo i casi di questa patologia sono più di 150.000 ogni anno. Tra i nomi comuni di questa malattia, ci sono anche “tosse assassina”, “tosse convulsa” o “tosse canina”, tutti termini che evidenziano correttamente la gravità delle problematiche respiratorie associate a questa infezione, in particolare una tosse persistente o crisi tussive.
Indice
Cos’è la pertosse?
La pertosse deve il suo nome al sintomo che più la caratterizza: la tosse. È una patologia che colpisce le vie respiratorie ed è causata da un batterio Gram-negativo detto Bordetella Pertussis, il quale rilascia tossine che causano il gonfiore delle vie respiratorie con conseguente tosse acuta. Il batterio chiamato invece Bordetella parapertussis, è della stessa famiglia, ma causa una malattia simile alla pertosse dai sintomi più lievi, ovvero la parapertosse.
In caso di pertosse, gli attacchi possono essere molto forti, tanto da impedire al bambino o al lattante contagiato persino di mangiare e di respirare. Nei casi più gravi, può anche causare vomito. Come agisce il batterio? Quando riesce a penetrare nelle vie respiratorie il Bordetella Pertussis si lega alle cellule epiteliali dei polmoni colonizzandole e impedendo i fisiologici movimenti delle ciglia che ricoprono l’epitelio polmonare e che servono a eliminare i detriti nei polmoni.
È proprio l’accumulo di tali sostanze irritanti a causare, nei soggetti colpiti da pertosse, le crisi tussive e sintomi tipici di questa pericolosa patologia. Inoltre, Bordetella Pertussis induce anche un’azione di inibizione del sistema immunitario del suo ospite, rilasciando un’esotossina detta tossina della pertosse.
Incubazione e contagio
La condivisione di ambienti comuni, ma soprattutto starnuti e colpi di tosse sono i veicoli principali di trasmissione. Il contagio avviene, infatti, per via aerea, attraverso goccioline di saliva contenenti copiose quantità del batterio della Bordetella Pertussis. Le possibilità di contagio sono estremamente alte e si è rilevato le goccioline di saliva infette inalate da un soggetto sano ma suscettibile possono trasmettere la malattia nel 90% dei casi.
La pertosse può colpire chiunque, ma spesso di manifesta nei neonati e nei bambini piccoli, che sono soggetti particolarmente a rischio, oppure nei soggetti non vaccinati.
L’incubazione è di circa 10 giorni e il soggetto infettato dalla pertosse resta contagioso per circa due settimane dall’inizio dei sintomi. In ogni caso, il periodo di massima contagiosità è quello iniziale, fino all’inizio della tipica tosse parossistica e diventa trascurabile dopo circa 3 settimane dall’infezione. Quando i pazienti vengono prontamente trattati con antibiotici, la finestra di infettività si riduce a soli 5 giorni circa.
I sintomi della pertosse
Non bisogna sottovalutare i sintomi: la pertosse si manifesta all’inizio con una tosse lieve, accompagnata spesso da raffreddore, da qualche linea di febbre e da secrezioni nasali, che possono durare per circa 1/2 settimane.
In una seconda fase, la tosse diventa molto forte e provoca difficoltà respiratorie: è la fase convulsiva o parossistica, che dura anche oltre due mesi se non si interviene subito con una cura specifica. In concomitanza con i cosiddetti parossismi possono comparire anche apnea, vomito e cianosi, dato che le crisi di tosse tipiche di questa fase durano diversi minuti e si caratterizzano per colpi di tosse brevi e ravvicinati, che terminano con la sensazione di vomito con l’espettorazione di abbondante materiale mucoso.
Tra i sintomi della pertosse ci sono il viso arrossato, un’intensa fatica, il naso che cola, la febbre, il mal di gola, gli occhi rossi, un’intensa spossatezza generale e l’emissione di un rantolo stridulo appena dopo il termine della crisi tussiva. Tali crisi possono essere particolarmente numerose nell’arco della giornata, con una frequenza tipica che varia dai 5 ai 40 episodi. L’ultima fase della pertosse è quella della convalescenza, ossia di un graduale miglioramento della sintomatologia che si attenua nel corso di circa 3 settimane.
La durata delle fasi è tuttavia molto variabile, ma tale patologia veniva anche chiamata, un tempo, “tosse dei 100 giorni”, proprio perché la tosse persistente durava anche diverse settimane consecutive.
I rischi maggiori possono manifestarsi soprattutto nei neonati o in bambini che non hanno ancora compiuto 1 anno: in questi casi, la pertosse può causare complicazioni che portano allo sviluppo di sovrainfezioni batteriche, otiti, polmoniti o bronchiti o nei casi ancora più gravi, crisi convulsive, encefaliti o la morte. I forti colpi di tosse possono essere causa di emorragie nasali o sottocongiuntivali e, specialmente nei neonati, la patologia può provocare apnee, disidratazione, importanti danni neurologici da ipossia, perdita di peso, crisi epilettiche o disfunzioni renali.
Nei bambini più grandi o negli adolescenti con un sistema immunitario più sviluppato la pertosse può risolversi più facilmente ma le crisi di tosse sono comunque sfiancanti e così intense da provocare spesso ernie addominali, fratture alle costole, sanguinamenti dal naso o rottura di vasi sanguigni.
Quando chiamare immediatamente il medico, se si sospetta una pertosse? Sicuramente in caso di tosse persistente, che provoca conati di vomito, rantoli, apnea o cianosi e che fanno sospettare una patologia respiratoria particolarmente grave.
Come si diagnostica la pertosse?
I sintomi della pertosse, soprattutto quelli iniziali, possono essere facilmente confusi con una semplice tosse, tuttavia, per diagnosticare questa malattia, il medico può raccogliere l’anamnesi, eseguire un esame obiettivo e richiedere esami del sangue specifici.
- Grazie all’anamnesi il medico può analizzare i sintomi e verificare che siano compatibili con quelli della pertosse, nonché individuare il momento dell’eventuale contatto con soggetti infetti.
- L’esame colturale su un tampone nasofaringeo oppure rinofaringeo è l’unico modo per verificare l’effettiva presenza del batterio Bordetella Pertussis nel corpo del soggetto e confermare la diagnosi di pertosse.
- Anche delle semplici analisi del sangue consentono di dimostrare che nel corpo è in corso la produzione di anticorpi contro la Bordetella Pertussis, accertando così che la sintomatologia è riferibile a questa patologia.
Curare la pertosse
La pertosse può essere trattata con una terapia antibiotica adeguata che deve essere somministrata il prima possibile, per rendere il percorso meno grave e per ridurre il rischio di contagio. Con un giusto approccio terapeutico, la malattia può essere debellata nel giro di circa 15 giorni. Tra i farmaci più usati ci sono l’azitromicina, l’eritromicina e la claritromicina.
I neonati che presentano sintomi molto severi devono essere necessariamente ospedalizzati, per ricevere cure tempestive e intensive, che prevedano un’efficace terapia antibiotica ma anche la somministrazione di fluidi per via endovenosa per evitare la disidratazione e un monitoraggio attento della funzione respiratoria, che permetta di intervenire immediatamente in caso di necessità di impostare una ventilazione meccanica e/o un’ossigenoterapia.
I pazienti non gravi o più adulti possono curarsi al domicilio, intervenendo sulla malattia con antibiotici adeguati (se l’infezione è in corso da meno di 3 settimane e si è nella fase pre-parossistica), per arrestare la progressione della patologia e abbattere le possibilità di contagio. Se l’infezione è iniziata da oltre tre settimane e la fase parossistica è già iniziata, solitamente non si somministrano antibiotici, perché il soggetto non ha più un’elevata contagiosità e il corpo sta già combattendo contro il batterio. È importante rivolgersi al proprio medico curante se si manifesta sintomatologia sospetta, in modo da iniziare precocemente una terapia e ridurre il rischio di diffusione del contagio e di complicanze.
In ogni caso è previsto un periodo di riposo assoluto, l’impiego di paracetamolo o FANS per abbassare la febbre e contrastare i sintomi dolorosi e l’introduzione di abbondanti quantità di acqua e liquidi nel corpo, per scongiurare il rischio di disidratazione.
Prevenire la pertosse
La strategia più efficace per prevenire la pertosse è quella di ricorrere alla vaccinazione. Oggi i casi di pertosse sono limitati, in quando esiste un vaccino per contrastare questa malattia che in Italia è obbligatorio e viene somministrato dall’ottava settimana di vita del neonato.
Questo vaccino richiede però più richiami a causa della perdita di immunità che avviene nel tempo. Dunque la prima e la seconda dose vengono effettuate a 6-8 settimane dalla nascita e la terza verso i due anni.
Tale vaccino si basa su batteri interi inattivati dal calore ed è di frequente associato al vaccino antitetanico e antidifterico (DTP). Per evitare i potenziali rischi di intolleranza a questo tipo di vaccino, sono stati messi a punto anche vaccini acellulari, in cui non è presente il batterio ma solo alcune proteine batteriche che comunque stimolano a sufficienza il sistema immunitario, mantenendo un alto profilo di efficacia, tollerabilità e sicurezza, specialmente nei pazienti più piccoli.
La pertosse è diventata rara nei Paesi in cui è stata introdotta la vaccinazione come obbligatoria o consigliata per l’infanzia, con un enorme successo in termini di prevenzione nei paesi industrializzati. Si stima che, oggigiorno, circa il 90% dei casi di pertosse siano localizzati nei paesi in via di sviluppo o, in ogni caso, in quelli dove non viene effettuata la vaccinazione, lasciando un’elevata letalità nelle popolazioni più giovani. Inoltre, anche nei paesi ad alto tasso di vaccinazione si sono registrati alcuni focolai ciclici di pertosse, poiché sono stati effettuati pochi richiami e la vaccinazione antipertosse è soggetta a una progressiva perdita di immunità.
In Italia i casi di pertosse vengono obbligatoriamente segnalati alle autorità sanitarie, in modo da poter procedere con un adeguato isolamento dei casi e tracciamento dei contatti sospetti. A differenza di ciò che accade con altre malattie infantili, inoltre, l’immunità conferita dall’infezione non risulta definitiva e il suo declino nel tempo rende suscettibili di reinfezioni anche i soggetti che hanno già superato con successo la malattia.
È stato rilevato, oltretutto, che la pertosse può colpire anche i neonati nati da madri immuni, poiché gli anticorpi materni, ossia le prime difese del bambino, non sono sempre sufficienti a proteggerli da questa infezione.
Fonti bibliografiche
- Pertosse, Istituto Superiore di Sanità
- Pertosse, Manuale MSD