Dopo aver inebriato gli spettatori di tutto il mondo con La favorita nel 2018, poi con Povere Creature! nel 2023 e infine con Kinds of Kindness nel 2024, Yorgos Lanthimos è tornato sul grande schermo con quello che ha tutte le carte in regola per affermarsi come l’ennesimo, grande successo: per questa inedita quanto ambiziosa avventura il visionario regista greco ha riposto ancora una volta la sua fiducia in Emma Stone, sua musa, rendendola l’enigmatica protagonista di una favola nera contemporanea sull’ipercontrollo e la fragilità del pensiero umano, surreale e profondamente inquietante.
Bugonia, così si chiama, è in realtà il remake del cult sudcoreano del 2003 intitolato Save the Green Planet!. Diretta all’epoca da Jang Joon-hwan, la storia è passata tra la mente e le mani di Lanthimos per assumere le grottesche sembianze di una commedia sci-fi dalle atmosfere claustrofobiche e l’umorismo nero, fatta di ironia distorta, dinamiche bizzarre e profonde riflessioni con temi il potere, la follia e la verità.
Dimenticata l’aura barocca di Povere Creature!, ecco snodarsi stavolta un racconto più asciutto e crudele: tra interrogatori, scene notturne e giochi di luci ed ombre che alimentano costantemente il sentore che nulla sia come sembra, il riconoscibile stile estetico della pellicola alterna freddezza formale e improvvisi eccessi visivi, il tutto su di un montaggio spezzato che rievoca quello iconico di Kubrick. Ad avere un ruolo centrale sono poi i costumi, autentiche gabbie di pelle per i loro personaggi. Ma capiamone di più.
Indice
Bugonia, trama e personaggi della commedia sci-fi firmata Yorgos Lanthimos
Al centro delle vicende due eccentrici e paranoici apicoltori (Jesse Plemons e Aidan Delbis), cugini con l’ossessione per le teorie del complotto e la radicata convinzione che gli alieni stiano silenziosamente invadendo la Terra.
La loro vittima è Michelle Fuller (Emma Stone), imperturbabile protagonista, la potente amministratrice delegata di una importante multinazionale farmaceutica, che i due loschi individui credono fermamente essere un’extraterrestre alle prese con l’imminente sterminio del pianeta. È lei l’unica via per mettersi in contatto con l’Imperatore, prima dell’eclissi. Mentre nel film originale il CEO rapito era un uomo, qui vediamo dunque una donna interpretare l’incarnazione perfetta del potere e del capitalismo tipico della nostra società.
L’intero film si muove su di un labile equilibrio tra il delirio paranoico e la reale possibilità di un’invasione aliena, la trama un intreccio di eventi sempre più equivoco, che spinge a mettere in continua discussione le percezioni dei personaggi e così anche dello spettatore.
Per cogliere il significato profondo della storia senza spingerci troppo oltre, sfiorando così il pericoloso rischio di incorrere in spoiler, bisogna partire dal suo titolo: il termine Bugonia deriva dal greco antico βουγονία, un rito arcaico secondo cui le api potevano nascere dal corpo in decomposizione di un bue. Un’immagine cruda e certamente inquietante ma perfetta per l’opera di Lanthimos, allegoria della trasformazione della morte in vita.
È così che vengono rappresentati sullo schermo l’ordine sociale e la riproduzione: l’umanità è paragonata alle api, le quali con tutta la loro complessa organizzazione gerarchica, la dedizione al lavoro e alla comunità, simboleggiano delle operaie bellissime ma che stanno comunque morendo nel mito di Aristeo, dalle Georgiche di Virgilio. Ad un certo punto esse scompaiono, per poi rinascere e miracolosamente rigenerarsi dalle carcasse.
Un percorso di redenzione e rinascita, in soldoni, moderno ma anche divino: è proprio nell’immagine della natura e delle api che Lanthimos apre il film e lo chiude, in quella di incredibili insetti chiamati a raccogliere il polline per la regina ma dal destino segnato, esattamente come gli esseri umani.
Tutto sui costumi di Emma Stone in Bugonia, tra potere e perdita d’identità
Inutile negarlo, al momento l’attenzione è tutta per Emma Stone, magistrale sul grande schermo e visceralmente dedita alla causa: tanto da essersi persino rasata la testa, per sole esigenze di copione. Nella commedia la vediamo interpretare Michelle Fuller, una figura sicuramente ambigua, tanto affascinante quanto potente e al contempo potenzialmente — ma davvero? — minacciosa, sospettata di essere un’aliena pronta ad annientare l’umanità. Un ruolo, questo, che le ha permesso di esplorare ancora una volta un personaggio complesso, sospeso tra il razionale e l’inquietante, tra grazia e minaccia.
Come si rende proprio e unico qualcosa che esiste già? Questo è con ogni probabilità il grande quesito che Jennifer Johnson si è posta quando ha iniziato a lavorare ai costumi di Bugonia. La professionista aveva già lavorato con Yorgos Lanthimos nel suo precedente Kinds of Kindness, ma questa seconda volta, trattandosi di una rilettura, ha certamente introdotto nuove sfide. “Per Yorgos era davvero importante che inizialmente sembrasse più realistico; che lo interpretassimo in modo un po’ più diretto”, ha rivelato lei.
In questo caso specifico più che mai i costumi non servono soltanto a vestire i personaggi, piuttosto a dipingere la nostra società come un teatro di ruoli e illusioni dove persino gli abiti possono diventare prigioni. Indumenti e calzature, nel film, sono indicatori di ricchezza e status, una vera e propria seconda pelle per i protagonisti che li indossano.
Come una miscela ben bilanciata di potere, controllo e identità i look di Emma Stone sono la sintesi perfetta del potere senz’anima, dai rigorosi tailleur con gonna midi Alexander McQueen alle maxi bag Saint Laurent, fino alle décolleté firmate Loboutin. La palette è minimale, sempre ricca di nero, bianco o al massimo bordeaux. Insomma: è tutto assolutamente impeccabile, ma più che di stile personale parliamo di un’uniforme, quella dell’archetipo della donna di potere che non esiste al di fuori del suo ruolo sociale.
La “pelle aziendale” di Michelle, ad un certo punto, così come i suoi capelli, viene strappata via. Una scena cruciale che simboleggia la perdita d’identità, la caduta della maschera, quasi come se il personaggio venisse spogliato dal suo potere.
Agli eccessivi simboli di ricchezza della donna si contrappongono i capi indossati dai cospiratori e suoi rapitori, Teddy e Don. I due indossano per gran parte del tempo delle tute da apicoltori, quali sono, intrise di miele e cera d’api, ma dopo il sequestro qualcosa cambia: i due tolgono le loro divise argentate e indossano completi da lavoro con tanto di cravatta e blazer, una scelta significativa che riflette i loro obiettivi.
“Era molto importante che sembrassero adulti; che avessero autorità su Michelle, che lei li prendesse sul serio. La cosa migliore da fare era quasi parlare visivamente il suo linguaggio”, ha spiegato la Johnson a proposito di questo dissonante cambio d’abito.
“È stato un duro lavoro rendere i costumi realistici e farli percepire come parte del personaggio, come un altro strato della loro pelle e parte del loro DNA”, ha ammesso la costumista. Ebbene, obiettivo centrato: la sua maestria e quella del suo team hanno dato vita a personaggi che sembrano concreti, imbevuti di realismo, ma con un del tutto umano accenno di extraterrestre. Insomma, camuffarci ci riesce davvero sempre così bene?