Gli uomini non hanno paura. Non di dire “no”, davanti alle avance di una donna, non di uscire insieme a un gruppo di ragazze, e neanche di tornare a casa da soli quando il sole tramonta e lascia spazio alla notte. Sicuramente non di indossare t-shirt a mezze maniche e shorts, né tanto meno di restare a petto nudo davanti alle persone. Non solo non hanno paura, gli uomini, ma sono anche consapevoli del fatto che qualsiasi cosa facciano, indipendentemente dalla gravità dei fatti, nessuno si siederà in un’aula di un tribunale fittizio solo ed esclusivamente per commentare, o peggio giudicare le loro azioni.
Le donne, invece, hanno paura. Quando si vestono, quando escono, quando percorrono le strade buie e solitarie. Hanno paura persino quando diventano vittime di violenza, perché poi lo sanno che quella stessa giuria che assolve la controparte maschile, non si farà scrupoli ad accusare loro. Perché sono provocatrici, perché se la cercano, perché i loro comportamenti sono ambigui e poco consoni alle situazioni, ai ruoli definiti e a una società che ama nascondersi dietro lo spettro di un retaggio culturale obsoleto per nascondere i suoi misfatti.
Perché le donne lo sanno che non possono lamentarsi o gridare alla violenza se qualcuno si avvicina a loro per infilare le mani negli slip, per toccare le parti intime. Non se lo fa per 10 secondi. Perché ora tutti sappiamo che per la legge noi donne non siamo tutelate. Neanche questa volta.
Palpata per 10 secondi: la molestia non è reato
Sono giorni che in Italia non si parla di altro, di quella palpata durata giusto una manciata di secondi che un collaboratore scolastico ha rivolto, senza consenso, a una studentessa minorenne. È successo a Roma, e da quel giorno gli occhi sono tutti puntati sul fatto in questione, anche e soprattutto dopo la sentenza del tribunale che ha assolto l’uomo.
Cosa è successo lo sappiamo tutti. Il bidello, un uomo di circa 60 anni accusato di violenza sessuale, si sarebbe avvicinato a una studentessa minorenne infilando le mani negli slip e palpando i suoi glutei per pochi secondi. La giovane, che in quel momento si stava sistemando i pantaloni che erano scesi dalla vita, ha sentito le mani dell’uomo infilarsi sotto il tessuto. Dopo aver raccontato l’accaduto a una professoressa, alla vicepreside e ad alcune compagne di classe, la ragazza ha scelto di denunciare l’uomo con l’accusa di molestie che però non sono state considerate tali dal Tribunale di Roma.
“10 secondi non sono un reato, non rappresentano una violenza”, è questa la sentenza che ha spaccato l’opinione pubblica, che non ha tutelato una giovane ragazza, che ancora una volta non ha difeso noi donne come meritiamo. Una risoluzione, questa, che crea un precedente e che ha fatto decadere ogni accusa mossa nei confronti del collaboratore scolastico.
Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 3 anni e 6 mesi con l’accusa di violenza sessuale, ma i giudici pur riconoscendo che il fatto è avvenuto, e dopo aver ascoltato la ragazza, sono giunti a una sentenza ben diversa da quella che si aspettava. Il motivo? La molestia è durata troppo poco, giusto una manciata di secondi, non abbastanza per provare la concupiscenza, l’elemento del desiderio che avrebbe fornito la prova del reato.
Le accuse della ragazza, questo è doveroso precisarlo, sono state ascoltate dai giudici che non hanno messo in discussione la sua versione dei fatti. Il problema, piuttosto, sta nel fatto che la risoluzione si è concentrata più sulle intenzioni del bidello, e meno su quelle della studentessa che, sicuramente, mai avrebbe permesso alle mani dell’uomo di avvicinarsi alle sue parti intime.
Insomma, alla luce di quello che è successo, l’episodio potrebbe essere tradotto come un semplice scherzo tra due persone. Peccato che una delle due parti coinvolte sia un uomo sessantenne e consapevole delle sue azioni, mentre la seconda è una ragazza minorenne e assolutamente non consenziente.
#10secondi: molto più che un trend social
Cosa resta quindi di quello che è successo? Secondo il Tribunale di Roma che ha emesso la sentenza, e che ha assolto l’uomo, niente. Tanto, invece, per una giovane ragazza che dovrà convivere, per chissà quanto tempo, con il peso di un abuso subito da un uomo più grande di lei. Ma soprattutto con la paura che qualora dovesse riaccadere un episodio simile non ci sarà alcuna tutela per lei, né per tutte le ragazze e le donne del nostro Paese.
Perché per quanto gli esperti in materia chiariscano e garantiscano che la legge italiana non si basa su precedenti, e che le sentenze successive terranno conto solo ed esclusivamente dei casi da analizzare singolarmente, resta il fatto che in questo specifico caso il precedente si è creato eccome. In questo caso una ragazza è stata palpeggiata in una zona erogena senza il suo consenso, e la persona che si è arrogata il diritto di farlo non è stata accusata di nessun reato, neanche di quello morale.
Va da sé che al di là di ciò che dice e giustifica la legge, la paura che si insinua è tanta. Perché viene naturale chiedersi fin dove potranno spingersi gli uomini in quei 10 secondi, se davvero la brevità di un fatto lo rende nullo o comunque non punibile secondo le nostre normative. Se consapevoli di questa sentenza, le donne e le ragazze che subiranno molestie e violenze riusciranno a trovare il coraggio di denunciare lo stesso o se, rassegnate da un destino che sembra ripetersi ogni volta, chiuderanno gli occhi e metteranno a tacere il dolore.
Intanto, però, la vicenda non è stata messa a tacere. Non dalla vittima che spera di ribaltare la sentenza in appello, e neanche dal popolo del web che negli ultimi giorni ha lanciato un hashtag per protestare, per criticare quella decisione, per essere parte attiva di un cambiamento. #10secondi non è solo una tendenza social che sta popolando i feed negli ultimi giorni, è molto di più: è la voce di uomini e donne che chiedono una tutela maggiore per tutte le vittime di violenza, molestie e abusi.
Perché forse è vero che quei 10 secondi non sono abbastanza, non per portare a termine le intenzioni più immorali, e in questo caso neanche per individuarle. Ma si tratta di un tempo che sa diventare davvero interminabile per chi lo subisce inerme.