Giorgia Soleri sulla malattia: il monologo della fidanzata di Damiano dei Måneskin

La modella è stata ospite di Tonica di Andrea Delogu dove ha raccontato della malattia, con uno scopo ben preciso: chiedere diritti

Pubblicato: 10 Marzo 2022 10:48

DiLei

Redazione

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Un problema che dovrebbe riguardare tutte, ognuna di noi: perché la lotta per i diritti e la consapevolezza è una tematica trasversale. Giorgia Soleri è tornata a parlare della malattia, la vulvodinia, che la affligge da tempo e di cui si è fatta portavoce per sensibilizzare sulla tematica. Ma non solo, anche per chiedere diritti e riconoscimento.

Lo ha fatto con un monologo, ospite di Tonica la nuova trasmissione di Andrea Delogu. Nelle sue parole ha ripercorso la sua storia, cercando di sensibilizzare sul tema. Argomenti che poi ha ripreso anche in un lungo post pubblicato su Instagram a corredo del video del suo intervento.

Giorgia Soleri, il monologo sulla vulvodinia

“L’anno in cui ho iniziato a stare male è stato quello in cui ho iniziato a lavorare, l’anno del primo tatuaggio, l’anno della scoperta del sesso”, ha iniziato così il suo monologo Giorgia Soleri.

“Avevo 16 anni – ha proseguito – da allora sono sempre stata accompagnata dal dolore come un’ombra. Ci sono stati anni in cui mi svegliavo con il dolore, mangiavo con il dolore, andavo a scuola – quando ci andavo  – con il dolore, andavo a letto con il dolore”. Parole che hanno il potere di trasmettere quanto questa malattia sia debilitante e causi grande sofferenza.

Poi Giorgia ha proseguito: “È stato il mio compagno più devoto: silenzioso ma sempre presente, ossessivo e possessivo, tanto da allontanare tutto e tutti, come nella più classica delle relazioni tossiche”.

Non solo ha raccontato la difficile convivenza con la malattia, ma anche come gli altri si interfacciassero con lei, mostrando come non fosse capita. Infatti c’è chi le ha dato della pazza o dell’ansiosa, della stressata o la accusava di inventare i sintomi: “In tanti momenti sono arrivata a crederci e a considerare quel dolore parte di me. Giorgia è il dolore, il dolore è Giorgia: una cosa sola”.

Non ha tralasciato nemmeno i momenti più duri, quelli di una sofferenza che arriva a comprendere anche la mente. Perché la convivenza con il dolore è terribile e Giorgia Soleri l’ha raccontata senza filtri, in un dialogo tra sé e gli altri, che vuole essere un modo per informare, per sensibilizzare.

Una convivenza che è andata avanti per “otto lunghi anni – ha aggiunto – fino a quando due anni fa questo dolore ha preso un nome e si è materializzato per tutti. Per me è stato sempre concreto, di invisibile c’era solo il nome: vulvodinia, contrattura pelvica e neuropatia del pudendo, anche detto dolore pelvico cronico”.

La modella ha spiegato che per lei il momento della diagnosi è stato di liberazione: “Perché è reale e significa anche la possibilità di ricevere una terapia”. Poi tra le conclusioni ha aggiunto: “Non so se guarirò mai, ma una cosa è certa: un mostro, quando lo guardi in faccia, fa meno paura”.

Giorgia Soleri, il riconoscimento di un diritto

Sia nel lungo post Instagram che al termine del monologo Giorgia Soleri ha spiegato di aver rinunciato alla sua privacy sanitaria solo per “Chiedere un diritto: il riconoscimento sociale, politico, medico ed economico di una malattia ancora sottovalutata, ma estremamente invalidante come la vulvodinia”.

Ormai da tempo la fidanzata di Damiano dei Maneskin, modella e attivista su tante tematiche, ha deciso di uscire allo scoperto per parlare della sua malattia e anche per essere portavoce di tutte quelle donne che ne soffrono e non vengono capite, oppure non sanno dare un nome a quel dolore.

Nel post Instagram ha voluto ringraziare per l’opportunità che ha avuto di parlarne su Rai 2: “Grazie Andrea Delogu per avermi dato la possibilità di parlarne a Tonica e far arrivare la mia voce, che poi è la voce di tante altre persone, in televisione – ha scritto a corredo del video del suo monologo – . E se un anno e mezzo fa, quando ho iniziato a raccontare di questo incubo, mi avessero detto che sarei andata su Rai 2, probabilmente gli avrei riso in faccia. Oggi invece condivido questo post con le lacrime agli occhi, e riscopro con forza una consapevolezza che ormai ho da un po’: non ci fermeremo finché non vedremo i nostri diritti riconosciuti”.

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