Mycobacterium chimaera: cos’è, come si contrae e quali sono i rischi

Considerato il killer della sala operatoria, scopriamo chi è il M. chimaera e perché ha causato tante vittime tra i pazienti che hanno subito un intervento cardiochirurgico

Pubblicato: 28 Dicembre 2023 19:19

Fabrizio Brunori

Biologo Nutrizionista

Biologo Nutrizionista si occupa di Bioterapia Nutrizionale®, trattando di nutrizione in condizioni fisiologiche e patologiche accertate.

Cos’è il batterio Chimaera? Si tratta di un micobatterio identificato in tempi recenti e che è stato riconosciuto come il responsabile di una serie di decessi successivi ad interventi cardiochirurgici. Considerando il tempo di latenza molto lungo, fino a sei anni, ha destato molta preoccupazione nella popolazione in considerazione dell’alto tasso di mortalità.

Le infezioni correlate all’assistenza sanitaria

Secondo i dati elaborati dall’Istituto Superiore di Sanità le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono in costante crescita. Si tratta di infezioni contratte durante l’assistenza sanitaria presso strutture che non sono necessariamente ospedali, quali ambulatori di chirurgia, strutture territoriali, strutture di lunga degenza ecc.

Sebbene il Mycobacterium chimaera non figuri tra i patogeni più frequentemente coinvolti nello sviluppo di queste infezioni, così come Escherichia coli, o Klebsiella pneumoniae, o Pseudomonas aeruginosa o Staphylococcus aureus, ciò non significa che sia meno pericoloso. La causa principale dell’incremento delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria è riconducibile alla diffusione di microrganismi resistenti agli antibiotici.

Infatti, c’è una crescita di infezioni ospedaliere farmaco-resistenti responsabili ogni anno di numerosi decessi; che sono la conseguenza dell’uso massivo, prolungato, non sempre corretto o addirittura ingiustificato di antibiotici perpetrato per anni. Basti pensare a quante persone ricorrano impropriamente alla terapia antibiotica fai da te al primo mal di gola senza consultare il proprio medico.

Inoltre, spesso le “autoterapie” non rispettano nemmeno le indicazioni sul corretto utilizzo del farmaco a partire dai giorni in cui l’antibiotico dovrebbe essere assunto. Non meno importante, è stato in passato l’utilizzo indiscriminato di antibiotici negli allevamenti intensivi. L’insieme di queste cattive abitudini è stata la selezione di ceppi contro i quali gli antibiotici comunemente usati non risultano più efficaci e contro i quali è necessario ricorrere ad altri antibiotici. Purtroppo, il numero degli antibiotici a nostra disposizione non è illimitato. Di conseguenza, in presenza di infezioni multi-farmaco resistenti con patogeni resistenti ad una o più classi di antibiotici, l’approccio utilizzato è quello di ricorrere a un cocktail di antibiotici.

Mycobacterium chimaera un patogeno dalla storia recente

È un micobatterio parente stretto dei più conosciuti M. tuberculosis e M. leprae, cioè gli agenti patogeni responsabili della tubercolosi e della lebbra. A differenza dei batteri, i micobatteri sono più resistenti alle terapie antibiotiche perché presentano una parete con una struttura molto complessa e quindi molto più difficile da penetrare per gli antibiotici. Il Mycobacterium chimaera, è stato descritto per la prima volta soltanto nel 2004 e non rappresenta generalmente un pericolo per l’uomo. Fa parte del complesso Mycobacterium avium/intracellulare (MAC) e il nome chimaera deriva dal fatto che il suo genoma comprende geni provenienti da tre diverse specie all’interno del complesso. Inoltre, è difficile distinguerlo dagli altri membri dello stesso complesso perché morfologicamente sono molto simili. Quindi, può essere identificato soltanto presso laboratori provvisti di tecniche di diagnostica avanzata.

Mycobacterium chimaera è salito alla ribalta nel 2011 a seguito di segnalazioni provenienti da tutto il mondo di infezioni invasive successive ad interventi cardiochirurgici. In Italia, il nord-est è stata la zona più colpita. Ma perché il contagio si sarebbe verificato durante gli interventi cardio-chirurgici? È stato scoperto che l’infezione era associata all’impiego di dispositivi chiamati HCD per “regolare la temperatura del sangue in circolazione extra-corporea”. Le indagini hanno dimostrato che questi dispositivi ospitavano Mycobacterium chimaera nei circuiti idrici per contaminazione dell’acqua delle taniche che generano bio-aerosol in sala operatoria, provocando la trasmissione per via aerea ai pazienti durante l’intervento chirurgico. Perciò, a livello mondiale è stato emesso un avviso di sicurezza riguardante il rischio da contaminazione da Mycobacterium chimaera durante un bypass cardiopolmonare.

È bene precisare che al momento non stiamo vivendo un’epidemia e neanche una situazione di emergenza sanitaria dovuta a questo microrganismo. Tuttavia, anche se il soprannome di “killer della sala operatoria” che è stato affibbiato a M. chimaera sembra essere più il figlio più di un giornalismo sensazionalista che rispecchiare la realtà, non bisogna affatto sottovalutare questo patogeno e abbassare la guardia. Infatti, come ci ricorda il Ministero della Salute non c’è una terapia stabilita e su circa 100 casi che sono stati segnalati a livello mondiale il tasso di mortalità è del 50%.

Mycobacterium chimaera, una lunga latenza

Un’importante caratteristica che contraddistingue l’infezione da parte di questo micobatterio è che dal momento in cui un paziente entra in contatto con il patogeno, i sintomi non compaiono dopo pochi giorni dall’avvenuto contagio. Al contrario, il tempo di latenza dal momento del contagio alla comparsa dei sintomi è lungo e il periodo di incubazione può essere abbastanza variabile: dai 18 mesi fino ai 5 anni. In realtà, sono stati segnalati casi di latenza fino a 6 anni. Di conseguenza, è estremamente difficile, se non impossibile, accertare a ritroso la fonte di contagio. Identificare il mezzo di contagio che ha veicolato il Mycobacterium chimaera potrebbe restare appunto una chimera. Inoltre, se è vero che i decessi possono essere causati da infezioni contratte diversi anni prima, allora è possibile che le vittime reali potrebbero essere sottostimate perché non correlate alla pregressa infezione. Quindi, considerando la lunghezza del periodo di incubazione, è probabile che nuovi casi saranno segnalati nei prossimi anni.

I sintomi da infezione di Mycobacterium chimaera

Purtroppo, effettuare la diagnosi non è così semplice. Il problema principale delle infezioni da Mycobacterum chimaera è che non ci sono sintomi specifici riconducibili direttamente alle infezioni provocate dal microrganismo. Da quando questa specie è stata identificata, è stato scoperto che il micobatterio è in grado di causare infezioni polmonari in pazienti con fibrosi cistica ma anche in pazienti immunocompetenti, cioè con un sistema immunitario ben funzionante che risponde correttamente quando viene stimolato dai patogeni. Da uno studio eseguito su 12 casi clinici sono state identificate quattro sindromi principali attribuibili all’infezione del micobatterio.

Il Ministero della Salute riporta che “i segni e i sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso”. Anche i comuni esami di laboratorio non permettono di arrivare ad una diagnosi definitiva sebbene evidenzino la presenza di enzimi epatici elevati (70%), di linfopenia ossia riduzione dei linfociti (63%), trombocitopenia ossia una diminuzione del numero di piastrine (47%) e livelli elevati di marcatori infiammatori. Tra le manifestazioni cliniche più frequenti che sono state riportate possiamo trovare:

Inoltre, in alcuni pazienti colpiti dal micobatterio è stata riscontrata la comparsa di soffio al cuore, di epatomegalia (ingrossamento del fegato), di splenomegalia (ingrossamento della milza), di deiscenza (riapertura) della ferita sternale, di lesioni cutanee e di coroidite che è un’infiammazione di una membrana dell’occhio.

Come viene diagnosticata l’infezione

Un’infezione da Mycobacterium chimaera contratta in seguito ad un intervento di chirurgia cardiotoracica è estremamente complessa da diagnosticare, in assenza di casi già precedentemente segnalati dalle istituzioni che possano suggerire la possibilità di tale contagio. Infatti, può accadere facilmente di incappare in diagnosi non corrette prima di identificare il vero responsabile. Il periodo di latenza unitamente ai sintomi progressivi solitamente aspecifici (in particolare durante l’inizio dell’infezione), l’assenza di evidenti segni fisici e reperti radiologici concorrono a ritardare la diagnosi.

Gli accertamenti clinici che vengono eseguiti per arrivare ad una diagnosi dipendono dal quadro clinico del singolo paziente, che può essere molto vario, e quindi i tempi per ottenere una diagnosi differenziale possono essere lunghi. Infatti, è necessario escludere altri agenti patogeni potenzialmente responsabili e l’iter è più complesso, poiché bisogna ricorrere a tecniche avanzate che non sono disponibili nei comuni laboratori.

Se ad esempio, il complesso MAC di cui fa parte il M.chimaera venisse identificato in colture micobatteriche utilizzando una sonda commerciale, l’isolato dovrebbe essere inviato presso un laboratorio di riferimento per l’identificazione della specie esatta. Quindi, è necessario eseguire un esame culturale fino all’isolamento e all’identificazione del microrganismo. La reazione a catena della polimerasi (PCR), che è una tecnica di biologia molecolare, per rilevare la presenza di Mycobacterium chimaera nel sangue o nei fluidi ha mostrato un’elevata sensibilità e specificità. Sono disponibili in commercio diversi kit diagnostici di biologia molecolare che possono essere utilizzati.

Terapia farmacologica per le infezioni da Mycobacterium chimaera

Bisogna togliersi dalla testa l’idea che esista un antibiotico in grado di eliminare il microrganismo. Le infezioni provocate dal micobatterio sono difficili da debellare e comportano lunghe battaglie attraverso l’utilizzo di cocktail di farmaci. La terapia di prima linea comprende 4 farmaci composti da un macrolide, una rifamicina, etambutolo e amikacina.

In caso di fallimento clinico, o in presenza di intolleranze o di tossicità possono essere utilizzati agenti cosiddetti di seconda linea, ma i dati clinici a supporto del loro uso sono limitati. Purtroppo, i risultati clinici in pazienti infettati da Mycobacterium chimaera sono scarsi ed i tassi di mortalità nelle infezioni post-chirurgiche cardiotoraciche, come detto, sono elevati. Infine, nei pazienti immunodepressi come quelli affetti da HIV o in pazienti in terapia immunosoppressiva come i trapiantati, il rischio di mortalità a seguito di infezione è molto alto. Infine, ricordiamo che comunque il rischio di contrarre la malattia è molto basso, appena 1 su 10000 pazienti.

Fonti Bibliografiche

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963