Louise Trotter è la donna che oggi siede sulla poltrona più ambita e impegnativa della moda italiana: quella di direttrice creativa di Bottega Veneta. Inglese di Sunderland, con una carriera costruita tra Londra, New York e Parigi, è diventata la prima donna nella storia del brand del gruppo Kering a guidarne la direzione artistica. Una conquista che non è soltanto personale, ma che rappresenta anche un segnale forte in un sistema ancora dominato dagli uomini.
Il suo ingresso in Bottega Veneta coincide con un momento cruciale per la maison: il passaggio di testimone da Matthieu Blazy a lei, con lui che vola verso Chanel e lei che eredita un’eredità di vendite in crescita e borse iconiche come la Andiamo e la Sardine.
Gli inizi di Louise Trotter: da Sunderland alle capitali della moda
Louise Trotter nasce a Sunderland, cittadina costiera del nord dell’Inghilterra dove bellezza ruvida e austerità industriale si mescolano in un paesaggio che lei stessa descrive come “la base della mia sensibilità creativa”. È la nonna, sarta, a introdurla al mondo dei tessuti e delle cuciture. Già da ragazzina, Louise trasformava i grembiuli scolastici in capi unici, per la disperazione della madre che si vedeva arrivare a casa uniformi completamente smontate e ricucite.
Dopo la laurea in Fashion Marketing e Design a Newcastle, approda a Londra, dove si muove tra i brand high street britannici. Passa da Whistles e Jigsaw, per poi spostarsi a New York come responsabile womenswear di Gap e in seguito head designer da Calvin Klein e Tommy Hilfiger. Un percorso che la rende una globetrotter della moda – nomen omen – capace di declinare il suo minimalismo sartoriale in contesti diversi.
Il primo vero incarico di prestigio arriva nel 2009 quando diventa direttrice creativa di Joseph a Parigi, ridando forza e coerenza a un brand che rischiava di smarrirsi. Poi, nel 2018, un’altra svolta: Trotter viene chiamata a guidare Lacoste, diventando la prima donna alla direzione artistica del marchio. Con lei il coccodrillo si ammorbidisce senza perdere la sua grinta sportiva, conquistando nuove generazioni grazie a un mix di femminilità e funzionalità.
Nel 2023 è la volta di Carven, maison francese che porta fuori dalla crisi con tre collezioni incisive, eleganti e contemporanee. E quando Bottega Veneta si libera della guida di Blazy, il suo nome diventa immediatamente quello giusto per raccogliere l’eredità.
L’approdo a Bottega Veneta: un lusso che sussurra
Per raccontare l’incontro tra Louise Trotter e Bottega Veneta bisogna partire da un luogo: Villa Clerici, dimora aristocratica milanese del XVIII secolo. È lì che la stilista ha voluto dare le prime interviste da direttrice creativa, immersa tra affreschi e giardini all’italiana, come se volesse sottolineare la sacralità di un passaggio di consegne importante.
Bottega Veneta nasce nel 1966 a Vicenza e ha sempre incarnato l’idea che il vero lusso non ha bisogno di gridare. L’assenza di logo, sostituita dall’intreccio in pelle – l’Intrecciato – diventa la sua firma. È proprio questo dettaglio che affascina Trotter, collezionista di vintage Bottega prima ancora di entrarne a far parte. “Hanno creato un’identità senza logo, e questo richiede sicurezza”, ha raccontato.
La sua filosofia si basa sull’osservare e poi intervenire, senza mai cancellare il passato ma trasformandolo. Passa tempo a Montebello Vicentino, negli archivi e tra gli artigiani, studiando pezzi vecchi di decenni che ancora oggi risultano desiderabili. È questo il dialogo che vuole instaurare: un equilibrio tra la forza della tradizione e l’urgenza di parlare al presente.
I primi look: Cannes e oltre
Il mondo ha potuto assaporare le prime creazioni di Louise Trotter per Bottega Veneta già durante il Festival di Cannes. La musa perfetta? Julianne Moore, ambasciatrice della maison, che ha sfilato sul red carpet con un abito nero a spalla singola, taglio a colonna, impreziosito da una lunga frangia in pelle che scendeva dalla spalla fino alla schiena. Minimalista e sensuale, rigoroso ma con un guizzo inatteso di movimento.
Sempre a Cannes, l’attrice Vicky Krieps ha indossato un top intrecciato senza schiena, abbinato a pantaloni bianchi oversize. Il gioco tra leggerezza e struttura, tra pelle e tessuto, ha subito fatto intravedere il DNA che Trotter vuole imprimere alla maison: una femminilità che non ha bisogno di eccessi, ma che non rinuncia a un gesto di ribellione.
Una donna che veste le donne
La cifra distintiva di Louise Trotter è la capacità di creare abiti che vogliono vivere con chi li indossa, non rimanere relegati alla passerella. “Amo vestire donne e vedere come si sentono nei miei abiti”, ha spiegato, ribadendo che il suo obiettivo è sempre stato quello di offrire un servizio, non un’imposizione.
Questo si traduce in linee architettoniche ma mai rigide, nella leggerezza di un completo sartoriale che lascia spazio al movimento, nelle borse che si piegano al corpo invece di dominarlo. Bottega diventa così una seconda pelle, un’estensione del sé.