Sono passati anni dalla morte di Giulio Regeni, il dottorando italiano scomparso tragicamente al Cairo. Eppure, nonostante il tempo trascorso, la strada per raggiungere la verità e la giustizia sembra ancora faticosa, ostica e insidiosa.
In questo caos, dove regnano la sofferenza, il dolore, le omissioni e le bugie, e quella ricerca continua alle domande lasciate senza risposta per troppo tempo, c’è solo una certezza. Il giallo, quel colore che troviamo su tutti i manifesti, sugli striscioni e sulle notizie che parlano di lui, un colore che non solo serve ad accendere una luce in quel buio in cui è sprofondata la famiglia in questi anni, ma che è diventato anche il simbolo della solidarietà e di una battaglia condivisa che ha come unico obiettivo quello di arrivare alla verità.
Una verità per Giulio Regeni. Una richiesta, questa, mossa da enti locali, comuni italiani, associazioni e luoghi di cultura, dalle persone, vicine o lontane alla famiglia, affinché l’omicidio del giovane ricercatore non venga dimenticato, affinché i colpevoli paghino per la morte di Giulio.
Chi era Giulio Regeni
Aveva 28 anni, Giulio, quando è scomparso. Quando il suo corpo martoriato e senza vita è stato ritrovato. E chissà quanti sogni straordinari voleva realizzare, chissà quante cose grandiose era destinato a fare. Proprio lui, che con le sue capacità e il suo talento, stava costruendo il suo futuro.
Giulio è nato a Trieste il 15 febbraio del 1988. Cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, ha dimostrato sin da giovanissimo una particolare propensione agli studi e una forte curiosità sul mondo. Ancora minorenne, infatti, si trasferisce negli Stati Uniti per studiare all’Armand Hammer United World College of the American West. Si sposta poi nel Regno Unito, per studiare a Cambridge, e poi a Vienna.
Nel 2012, Giulio Regeni conquista il premio di Europa e giovani, che gli sarà consegnato anche l’anno successivo per i suoi studi e le ricerche sul Medio Oriente. Desideroso di scoprire il mondo, e di raccontarlo grazie alle sue ricerche e gli approfondimenti, il giovane ricercatore si trasferisce al Cairo per lavorare prima per l’UNIDO e poi per la società Oxford Analytica.
Nel gennaio del 2016, a poche settimane dal suo compleanno, il ragazzo si trovava proprio nella capitale d’Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti del Paese. Stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e contemporaneamente aveva firmato alcuni articoli su diverse testate giornalistiche per raccontare la situazione del Paese dopo la rivoluzione del 2011.
L’ultima settimana di gennaio Giulio sparisce improvvisamente. Nessuno ha più sue notizie al punto tale che gli amici, i conoscenti e i colleghi lanciano un appello sui social network. Il 3 febbraio successivo, quella ricerca termina nel più tragico dei modi. Giulio Regeni viene ritrovato nei pressi di una prigione dei servizi segreti egiziani. Il suo corpo, senza vita, è martoriato e deturpato. Nonostante le autorità egiziane in un primo momento parlino di una morte causata da un incidente stradale, è evidente a tutti che il ragazzo è stato torturato e ucciso.
L’omicidio
È successo tutto il 25 gennaio quando, dopo un ultimo messaggio inviato da Giulio alla sua fidanzata, di lui si perdono le tracce. Tutto quello che sappiamo è che, quella sera, il ricercatore doveva incontrare degli amici per celebrare il compleanno di uno di loro. La prima a segnalare la scomparsa del ricercatore è proprio una sua amica, la studentessa Noura Wahby, attraverso il suo profilo Facebook. L’appello si trasforma subito in un’ossessiva ricerca che mobilita la famiglia, gli amici e tutti i conoscenti di Giulio nei giorni successivi.
Una ricerca però che si conclude in maniera tragica con il ritrovamento del corpo del ragazzo. Il cadavere viene rinvenuto nei pressi di una prigione dei servizi segreti nella periferia del Cairo, in un fosso lungo la strada. Il riconoscimento, avvenuto da parte dei familiari, non lascia spazio a equivoci: Giulio è stato torturato e ucciso.
Sul corpo del ragazzo, infatti, sono stati ritrovati lividi, ferite e contusioni causate da calci, pugni e colpi con diverse armi contundenti. Sono state, inoltre, rilevate costole rotte e diverse fratture ossee. Sul corpo sono state rinvenute anche bruciature e coltellate, così come diverse incisioni causate da armi taglienti.
Dopo che il corpo è stato trasportato in Italia, e sopposto all’autopsia dalle autorità italiane, il 12 febbraio del 2016 si sono svolti i funerali di Giulio che, per volontà della famiglia, sono stati aperti a tutti, ma senza fotografi e giornalisti.
Le indagini e la ricerca della verità
Le indagini per la morte di Giulio si sono rivelate sin da subito controverse e ostiche, soprattutto a causa delle contraddizioni provenienti dall’Egitto. In un primo momento, infatti, l’intenzione delle autorità giudiziarie egiziane sembrava quello di voler archiviare il caso come morte da incidente stradale. Le tracce delle coltellate e delle altre ferite inflitte, vengono omesse. Il corpo martoriato di Giulio Regeni, però, racconta tutta un’altra verità, ancora più tragica e dolorosa. Le torture subite dal ricercatore italiano sono evidenti, è a quel punto che le autorità egiziane ipotizzano che si è trattato di un omicidio a sfondo personale. Ma anche questo non convince.
Nonostante la dichiarata propensione a una piena collaborazione da parte delle autorità egiziane, le indagini si complicano proprio a causa della mancanza della stessa. Gli investigatori italiani trovano non poca difficoltà a ricostruire i fatti, anche a causa di diverse prove omesse, tra cui i risultati dell’autopsia mai resi pubblici.
I mesi si trasformano in anni, un periodo interminabile di tempo in cui la famiglia di Giulio, e tantissime altre persone di tutto il mondo, si uniscono ai continui appelli per la ricerca di verità e di giustizia. Il 10 dicembre 2020, qualcosa sembra cambiare, con la chiusura delle indagini preliminari da parte della Repubblica di Roma, vengono accusati quattro ufficiali egiziani della National Security Agency, l’agenzia di servizi segreti del Paese. I reati contestati riguardano il sequestro di persona, il concorso in lesioni aggravate e l’omicidio. Il movente, secondo la procura di Roma, è il fatto che gli agenti egiziani potessero credere che, in qualche modo, il dottorando italiano stesse organizzando o finanziando una rivoluzione. Un sospetto, però, del tutto infondato.
Nonostante vengono individuati i nomi degli ufficiali egiziani, le forze dell’ordine italiane non possono fare niente perché non solo la magistratura egiziana non ha fornito gli indirizzi di residenza e i contatti, ma non ha concesso neanche ai magistrati italiani di assistere agli interrogatori degli indagati.
Il 10 marzo 2016 il Parlamento europeo si è riunito a Strasburgo per condannare la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni riconoscendo la colpevolezza anche dei servizi di sicurezza egiziani e del governo stesso. Nel 2020, lo stesso Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per esortare le autorità egiziane a fornire i contatti degli ufficiali accusati dell’omicidio del ragazzo, ribadendo ancora una volta il ruolo del governo nell’ostacolare le indagini.
Un’azione, questa, che ha attirato l’attenzione mediatica e non solo sul caso di Giulio Regeni. Sono tantissime, infatti, le persone di tutto il mondo che si sono uniti alla richiesta di giustizia per il giovane italiano. In prima fila, ovviamente, anche mamma Paola, eletta nel 2016 come donna dell’anno dalla rivista D – La Repubblica delle donne. Nello stesso anno, Amnesty International Italia ha lanciato la campagna Verità per Giulio Regeni. Tantissime le manifestazioni in tutta Italia, oggi esattamente come ieri, per non dimenticare la tragedia, per far sì che la giustizia sia lasciata libera di fare il suo corso.