Ludopatia: se ne parla sempre più spesso, ma ancora troppo poco, soprattutto quando a essere coinvolte sono le donne. Eppure i dati confermano che anche loro sono protagoniste involontarie e al contempo vittime di quel meccanismo che annienta l’esistenza dell’individuo e di chi gli sta intorno. Non un vizio, non un semplice gioco, ma una vera e propria patologia che rientra nella categoria dei disturbi del controllo degli impulsi.
La ludopatia, anche conosciuta come disturbo da gioco d’azzardo, può colpire tutti. Indipendentemente dal sesso, dalla provenienza e dall’età. Ma come può un gioco trasformarsi in una dipendenza? È questa la domanda che tutti si pongono quando sono estranei ai fatti, quando si limitano a leggere i fatti di cronaca o ad ascoltare le storie di chi dal GAP è stato annullato. E poi, quali sono i fattori scatenanti? I soggetti più a rischio? E quali le conseguenze? E perché si parla ancora così poco delle donne coinvolte nel gioco d’azzardo?
Lo abbiamo chiesto alla Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, per scoprire quali sono i fattori scatenanti, i soggetti più a rischio, le conseguenze e anche le cure. Perché sì, guarire dalla ludopatia è possibile.
Cos’è la ludopatia? E quando possiamo definire una persona ludopatica?
Il termine ludopatia viene utilizzato per indicare il gioco d’azzardo patologico (GAP). Il DSM-5 definisce il GAP come un “comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo”. Per parlare di ludopatia, dunque, è necessario che sia presente un disagio o una compromissione del funzionamento individuale che possano ritenersi clinicamente significativi. Per diagnosticare il GAP è necessario che siano presenti alcune condizioni come, ad esempio, il bisogno di giocare quantità sempre crescenti di denaro, irrequietezza o irritabilità se si smette di giocare, ripetuti sforzi poco proficui per controllare, ridurre o smettere di giocare, presenza di pensieri intrusivi e persistenti riguardo al gioco o bisogno di mentire per occultare il proprio comportamento.
Come riconoscere la sottile linea tra “piacere del gioco” e “dipendenza”?
Il gioco è una dimensione presente nell’esperienza umana sin dall’infanzia. Si tratta di un elemento imprescindibile per lo sviluppo cognitivo e relazionale. La dimensione ludica ci accompagna per tutta la vita in varie forme. Esistono giochi di competizione (agon), giochi di travestimento (mimicry), giochi di vertigine (ilinix) e giochi di rischio (alea). Proprio a quest’ultima categoria appartengono i giochi d’azzardo, in cui l’obiettivo è vincere affidandosi alla sorte. Il risultato del gioco dipende dal caso, cioè è impossibile prevedere il risultato del gioco in base al comportamento del giocatore. È necessario, tuttavia, ricordare che non sempre il gioco d’azzardo diventa problematico: spesso può rappresentare una semplice forma di svago finalizzata a stimolare l’emozione del rischio. In questo caso la persona, nonostante possa fantasticare di vincere danaro o di spenderlo per soddisfare alcuni dei propri desideri, riesce a discriminare nettamente il confine tra svago e accanimento al gioco e a non oltrepassarlo.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale , il gioco d’azzardo è diffuso in ogni fascia d’età, anche tra i giovanissimi nonostante la legge vieti ai minori di farlo. In particolare le statistiche hanno individuato un coinvolgimento da parte della Gen Z pari al 42%. Segue poi la Silver Age (over 65) con il 26%. I più coinvolti, invece, sono gli adulti con un’età compresa tra i 25 e i 35 anni. Chi colpisce maggiormente la ludopatia? E quali sono i fattori che possono aumentare la probabilità di diventare giocatori patologici?
L’esordio della ludopatia avviene, molto spesso, già in adolescenza. Di frequente chi sviluppa questa tipologia di dipendenza, ha un passato da giocatore occasionale che non aveva, però, mai superato un certo limite. L’insorgenza di un vero e proprio GAP potrebbe essere causata da una maggiore esposizione al gioco o dalla presenza di un qualche fattore stressogeno. L’impulso a giocare d’azzardo tende a crescere in correlazione a periodi di stress, angoscia o depressione.
Ludopatia e donne: una piaga invisibile
Nell’immaginario comune, solitamente, si associa il gioco d’azzardo agli uomini. Eppure i dati, anche se sconosciuti ai più, ci confermano che anche le donne sono a rischio e i numeri sono in crescita. Dallo studio Osservatorio Gioco d’Azzardo condotto da Nomisma in collaborazione con BPER Banca nel 2021 è emerso che la quota dei giocatori d’azzardo uomini è del 31%, mentre la percentuale femminile è del 21%. È chiaro che si tratta di una quota piuttosto rilevante, ma perché se ne parla ancora così poco?
Nell’immaginario collettivo le donne non sono associate al gioco e alla ludopatia. La percentuale di donne giocatrici è inferiore rispetto a quella dei giocatori uomini. Tuttavia si tratta di un fenomeno in aumento che deve essere preso in considerazione per garantire anche alle donne pari attenzione, iniziative tese a prevenire lo sviluppo di una dipendenza da gioco e interventi tempestivi volti a supportarle nel superamento della ludopatia. La figura femminile è stata per secoli associata alla dedizione e alla cura familiare. È chiaro, quindi, come sia estremamente difficile rappresentarsi, all’interno di questa cornice culturale così stringente, una donna che mette a rischio la situazione economica sua e della propria famiglia, convogliando sul gioco tutte le proprie risorse ed energie.
Quali sono i fattori che spingono una donna al gioco, e poi alla dipendenza?
Il gioco potrebbe rappresentare un modo per sfuggire alla quotidianità, per colmare vuoti affettivi e relazionali e per far fronte ad una crescente insoddisfazione. Rispetto agli uomini, le donne riconoscono prima la loro dipendenza, ma chiedono aiuto con molta più difficoltà. Ciò proprio perché, nell’immaginario comune, si associa il gioco d’azzardo alla figura maschile, rendendo più complesso per le donne ammettere la propria dipendenza per paura del giudizio e per il forte senso di vergogna esperito. Le donne giocatrici, spesso, finiscono per chiudersi in se stesse, per tacere le loro difficoltà, acuendo sempre più il proprio malessere e il ricorso alla dipendenza come via di fuga.
Donne e uomini, le percentuali sono diverse, così come gli approcci e i fattori scatenanti. Eppure le conseguenze sono le medesime. Quali sono i danni emotivi, relazionali e finanziari? E quali le conseguenze sulla famiglia?
È innegabile che la dipendenza, indipendentemente dal fatto che riguardi il gioco, finisca per avere ripercussioni su ogni aspetto della vita di un individuo e sul contesto sociale che lo circonda. La rete familiare e amicale di chi gioca è fortemente impattata, così come lo è la sfera personale e lavorativa del giocatore stesso. La ludopatia finisce per assorbire tutte le sue energie e il suo tempo, spingendolo a trascurare sempre più tutto ciò che lo circonda e chi, fino a quel momento, aveva avuto un ruolo centrale nella sua quotidianità. Inoltre, gli sbalzi d’umore, l’astinenza, l’irrequietezza che ne derivano, le menzogne e le continue perdite economiche possono comportare serie ripercussioni sulla vita delle persone vicine al giocatore. La patologia assorbe le energie di tutti e finisce per divenire parte integrante dell’esperienza quotidiana di familiari e amici che, a loro volta, sono coinvolti nella gestione di difficoltà concrete, economiche ma, soprattutto, emotive.
Le donne riconoscono prima di essere precipitate nel tunnel della dipendenza, ma chiedono aiuto con più difficoltà. Come si fa, dunque, a riconoscere questa dipendenza? Come si capisce che si è diventati vittime del gioco d’azzardo?
Secondo lo psicoanalista americano Bergler, il giocatore d’azzardo non si preoccupa di correre continuamente rischi. Finisce per concentrare ogni suo pensiero sul gioco, finendo per escludere ogni altro interesse dalla sua vita. Non trae insegnamento dalle sconfitte e coltiva un ottimismo irrealistico rispetto alla possibilità di vincere continuando a giocare. Non riesce a darsi un limite e a smettere nonostante le perdite economiche finiscano per compromettere significativamente ogni aspetto della sua vita. Tutto ciò poiché non esiste dipendenza che non abbia in sé un nucleo di piacere che può essere soddisfatto, nella mente chi chi la vive, solo reiterando il comportamento finalizzato ad ottenere ciò di cui si sente di avere bisogno.
Si può guarire dalla ludopatia? E come?
Certo. È senz’altro possibile riconoscere, affrontare e gestire la propria dipendenza avvalendosi del supporto di persone competenti che possano accompagnare chi si trova a vivere un momento così complesso della propria vita a trovare strategie efficaci per venirne fuori. Nell’ambito della ludopatia, la terapia psicologica si propone di mettere in discussione le false credenze del giocatore come, ad esempio, quella per cui il giocatore crede di poter prevedere gli esiti del gioco e controllare le vincite. Ciò lo induce a sviluppare credenze distorte, come ad esempio ritenere che aver perso molto aumenterà le probabilità di vincere continuando a giocare. La terapia sarà uno spazio per promuovere la socialità e ricercare modalità di gratificazione alternative, oltre che per lavorare sulla prevenzione delle ricadute.
Possiamo parlare della ludopatia come una piaga della società moderna ancora troppo sottovalutata?
La normalizzazione e la diffusione, anche tra i giovanissimi, del gioco d’azzardo non aiuta, senza dubbio, ad individuare precocemente chi oltrepassa il limite. Spesso, prima che le conseguenze sul piano economico e relazionale divengano evidenti, i giocatori riescono a rendere poco visibile all’esterno questo aspetto della propria vita. Ciò ha la grave conseguenza di rendere più complesso un intervento a sostegno di chi gioca prima che si siano raggiunti dei livelli di seria compromissione sul piano psicologico, economico, lavorativo e relazionale.