Il nome di Rebecca De Pasquale non è sconosciuto ai più, a chi ama trascorre le serate tra lo zapping in tv e i reality show, perché lei è stata una delle protagoniste del Grande Fratello 14, e lasciatemi dire che a mio parere è stata anche la vincitrice morale di quell’edizione.
Il nome non è nuovo neanche per chi ci legge, dato che vi avevamo già parlato della sua storia in occasione del suo viaggio verso Eboli, la terra che le ha dato i natali, per presidiare all’udienza del cambio nome sui documenti, per essere riconosciuta dalla legge italiana per quello che è: Rebecca, una donna.
E noi non solo Rebecca l’abbiamo seguita in quell’occasione, attraverso quelle genuine e irriverenti stories pubblicate sul suo profilo Instagram, quelle in cui si racconta in maniera generosa e autentica, ma l’abbiamo contattata per fare una chiacchierata con lei e, calendario alla mano, abbiamo scelto di fissare l’intervista in un giorno importantissimo, per lei e l’intera umanità: il 17 maggio, nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Non potevate chiamarmi in un giorno più bello di questo. Così speciale, così importante per me e per il mondo intero
Mi ha accolta così, Rebecca, con un abbraccio virtuale e tante parole, tra entusiasmo e ringraziamenti, anche se siamo noi a dover ringraziare lei per aver scelto di raccontarsi oggi. Ma lei è così, un vulcano di generosità che non lascia immune nessuno. E non faranno fatica a credermi tutte le persone che l’hanno seguita sul piccolo schermo durante la sua avventura GF e chi ancora oggi la segue sui social network. I suoi biscottini, così lei li chiama.
Così Rebecca mi ha preso la mano e mi ha trascinato nel suo mondo. Un mondo fatto di felicità e di libertà, di cose semplici e genuine, esattamente come lo è lei.
Chi è Rebecca De Pasquale oggi? Le ho chiesto, immaginando questa come una delle domande più difficili di sempre, perché si sa che è più facile identificarsi nelle parole degli altri che nelle nostre. Per tutti, ma non per lei che ha le idee chiare su chi vuole essere.
“Sono una donna, una creatura come tante che ama le cose semplici. La vita, la natura, l’amore in tutte le sue forme. Una persona libera che cammina a testa alta e che vive la sua quotidianità facendo ciò che ama fare in una terra meravigliosa, Prato. Ovviamente, curo anche i miei social, è lì che ci sono i miei biscottini, la grande famiglia virtuale che mi abbraccia e mi accoglie ogni giorno.”
Chi era ieri lo sappiamo tutti. Non ha mai rinnegato il suo passato e credo fermamente che questa capacità le abbia permesso di raggiungere quello status di libertà che in tanti ancora oggi agogniamo. Le ho chiesto se le desse fastidio parlare ancora di Sabatino, di quando è stata Don Mauro e di quando ha capito di essere intrappolata in un corpo che non era il suo. Ma lei, con il solito entusiasmo che la contraddistingue, ha scelto di raccontarsi, ancora una volta con estrema generosità.
A 4 anni desideravo una torta con candeline rosa e mi vestivo da sposina
Nata a Eboli 14 luglio del 1979, all’anagrafe Sabatino, Rebecca ha dovuto fare i conti sin da subito con quello che appariva e quello che sentiva di essere.
“Ricordo che da bambina desideravo a ogni compleanno una torta rosa, con tanto di candeline rosa. Ma mia madre mi spiegava che quello non era un colore per maschi. Ci rinunciavo, ma poi cercavo di esprimermi in tanti altri modi. Ogni tanto mi vestivo da sposina. Poi ci sono stati i primi amori, la scuola e tutte quelle esperienze che ti fanno crescere. Ma continuavo a stare in un corpo che non mi apparteneva. A un certo punto la mia vita è cambiata drasticamente: ho sentito la vocazione e sono andata in monastero per 6 anni. Quell’esperienza mi ha cambiata, mi ha forgiata. E guai a pensare che io mi sia chiusa nella fede per nascondermi. L’ho fatto solo per vocazione.
E poi cos’è successo?
Poi è successo che ho capito che la mia strada non era quella, che nel cuore avrei portato sempre la fede, ma in un modo diverso. Ho iniziato a cantare e mi sono iscritta al conservatorio. Ho preso in mano la mia vita e ho parlato con gli amici e la famiglia. Gli ho detto che ero gay e che ero donna.
Come hanno reagito loro?
Mamma mi disse che lo sapeva già. Papà ci mise un po’ a comprendere, a capire. A metabolizzare il fatto che il suo bambino, Sabatino, era in realtà una donna che viveva nel corpo di un uomo. Sono stati momenti difficili per me e per la mia famiglia, eppure nonostante questo non mi sono mai sentita abbandonata.
In che senso?
Vedi, oggi abbiamo la pretesa, sacrosanta, di essere accettati per quello che siamo. È giustissimo, ma come vogliamo che gli altri rispettino noi, noi dobbiamo rispettare gli altri. Io ho fatto così con mio padre, gli ho dato il tempo di capire, gli offerto gli strumenti per comprendere quello che stava succedendo e ho rispettato tutti i suoi sentimenti.
E vi siete ritrovati?
Assolutamente sì. Forse sono stata fortunata perché ho sempre vissuto circondata d’amore. Ma credo che la vera forza stia anche nel lasciare i giusti tempi alle persone, permettergli di comprendere qualcosa che ancora non appartiene pienamente alla normalità. Tutto e subito non è una formula che funziona. Del resto anche l’amore ha bisogno di pazienza, no?
E tutti gli altri invece? Gli amici e i vicini?
Qualcuno è andato via, come succede sempre nella vita. Qualcuno ha iniziato a mormorare dietro di me. “Sabatino è diventato femmina”, dicevano. Ma io non me ne curavo perché ero e sono me stessa. E questa è la cosa più bella che potevo augurarmi. Probabilmente chi parlava ieri e lo fa ancora, non ha avuto questa fortuna. Gli amici, quelli veri, sono rimasti. Pensa che mi sento ancora con due delle mie ex cognate. Che meraviglia!
Per essere Rebecca ho fatto mio il coraggio di camminare in strada sempre a testa alta, e di essere orgogliosa di me
Però ci sono anche persone che non hanno la tua fortuna. Che non riescono a ottenere il supporto dagli altri. A loro cosa consigli?
La mia è stata fortuna, è vero. Ma solo in parte. Tutto il resto è dipeso solo da me, dal coraggio e dalla pretesa di essere una persona libera, come Sabatino e come Rebecca. È necessario essere forti, amarsi sempre e comunque. Gli episodi sgradevoli ci saranno sempre, ma la vera differenza sta nel come scegliamo di affrontarli. Io per esempio non ne faccio passare una!
In che senso?
Ti racconto un aneddoto. Una volta, quando ho fornito i miei documenti d’identità dove compare ancora il nome di Sabatino, ho visto quei due funzionari lanciarsi qualche sguardo di complicità e toccarsi tra loro con i gomiti, come per dire “Guarda questa, è una trans”. Gli ho chiesto se avessero qualche problema alle braccia, hanno abbassato la testa e hanno detto che era tutto ok.
A proposito del cambio dei documenti. Abbiamo già parlato di questo in un articolo, ma ti va di raccontarci le tue sensazioni a riguardo?
Guarda, ti dico senza remora alcuna, che è stato uno dei giorni più belli della mia vita. Lo stato mi riconosce come Rebecca e io ho raggiunto quella stabilità per la quale ho combattuto le mie piccole battaglie tutta la vita. Sai cosa mi ha detto il giudice durante l’udienza? “Ancora oggi, purtroppo, siamo abituati a dare troppe spiegazioni”. E ha ragione, ma questo intendiamoci, non ha nulla a che fare con il lungo e doveroso processo di transizione, quanto più con quei commenti inutili e frustranti che appartengono ancora a qualcuno.
E il Grande Fratello?
Quella è stata una parentesi meravigliosa della mia vita. Il mio riscatto. Sono stata travolta dall’amore e dall’affetto che ancora oggi persistono.
Ora una domanda di rito: progetti per il futuro?
Io non sono una che fa progetti per il futuro, sono fan del qui e ora. Del presente che segue il suo corso, che si evolve dal passato e che non lo rinnega mai. Sono pronta ad accogliere e ad abbracciare tutto ciò che la vita saprà donarmi, nel bene e nel male. Perché anche il dolore fa parte della vita ed è quello che ci forgia.
Ultima domanda, c’è qualcosa che vuoi dire alle nostre lettrici?
Il mio invito è quello di essere sempre se stessi. Ma soprattutto: amatevi! Siate orgogliosi di quello che siete e di ciò che avete. E se c’è da lanciarsi fatelo, meglio cadere, qualche volta, che trascorrere una vita aggrappati a qualcosa destinato a sgretolarsi.