Oftalmopatia tiroidea: cos’è, sintomi, come curarla

L'oftalmopatia tiroidea è una complicazione autoimmune associata alla malattia di Graves, caratterizzata da infiammazione e gonfiore dei tessuti oculari, che può causare sporgenza degli occhi, irritazione e problemi visivi

Pubblicato: 12 Aprile 2024 11:02

Carlotta Dell'Anna Misurale

Medico

Laureata in Medicina, appassionata di neurologia. Vanta esperienze in ricerca, con focus sui misteri del cervello e l'avanzamento scientifico.

L’oftalmopatia tiroidea, conosciuta anche come oftalmopatia Basedowiana, è una manifestazione della Malattia di Basedow-Graves, che è una condizione autoimmune in cui il sistema immunitario attacca erroneamente la ghiandola tiroidea causandone una over-stimolazione. Un segno distintivo di questa malattia è l’esoftalmo o proptosi, che indica una sporgenza anormale dei bulbi oculari.

In questa patologia, il sistema immunitario può attaccare anche i tessuti oculari, provocando infiammazione e sporgenza degli occhi. La condizione si manifesta più frequentemente nelle donne che negli uomini. Gestire l’oftalmopatia tiroidea richiede un approccio multidisciplinare che può includere la gestione dell’attività tiroidea, trattamenti per ridurre l’infiammazione e la compressione nel retrobulbare, e talvolta interventi chirurgici per alleviare i sintomi più gravi.

Quali sono le cause e i fattori di rischio dell’oftalmopatia tiroidea

L’oftalmopatia tiroidea è principalmente associata alla malattia di Graves, una malattia su base autoimmune in cui il sistema immunitario attacca la ghiandola tiroidea, portando a ipertiroidismo. Questo attacco immunitario può estendersi ai tessuti retro-oculari causando infiammazione e gonfiore.

I fattori di rischio comprendono il sesso femminile, il fumo, l’età tra 30 e 50 anni e fattori genetici. In particolare, il fumo di sigaretta aumenta significativamente il rischio e può aggravare la severità dell’oftalmopatia

Sebbene i meccanismi patologici non siano completamente compresi, l’ipotesi è che l’attivazione dei fibroblasti orbitali da parte degli autoanticorpi correlati alla malattia di Graves, porti al rilascio di chemochine per i linfociti T, che vengno attratti nei tessuti periorbitali.

linfociti T entrano in azione anche in assenza di reale pericolo, andando erroneamente ad intaccare tessuti sani ritenendoli invece estranei e potenzialmente pericolosi. Tessuti che, in questo caso, sono proprio quelli oculari e perioculari. Questo attacco dei linfociti T provoca l’avvio di un processo infiammatorio che determina, di conseguenza, il sensibile aumento di volume dei muscoli e dei tessuti oculari, portando i bulbi ad uscire dalla loro sede fisiologica, sporgendo verso l’esterno.

Oftalmopatia tiroidea: riconoscere i sintomi

Le manifestazioni da cui è caratterizzata l’oftalmopatia tiroidea sono tante e spesso molto differenti tra loro; questa ampia gamma di sintomi varia a seconda della gravità con cui la malattia stessa si presenta. Questa è caratterizzata da:

Diagnosticare l’oftalmopatia tiroidea

In caso di sospetta oftalmopatia tiroidea, è chiaro che la patologia interessi due ambiti molto differenti tra loro della medicina: l’oftalmologia e l’endocrinologia. Proprio per questo motivo, per giungere ad una diagnosi certa, il lavoro di indagine dovrà essere svolto in equipe, con un gruppo che vede il lavoro simbiotico di uno specialista oftalmologo e l’endocrinologo.

Durante la visita specialistica, i due specialisti – dopo aver effettuato un’accurata anamnesi, così da evidenziare eventuali altre patologie o le abitudini di vita del paziente – procederanno immediatamente con la prescrizione di alcuni esami specialistici utili ad indagare su ambo i fronti la reale natura dei sintomi lamentati dal paziente.

La  disfunzione tiroidea dovrà essere trattata a monte dall’endocrinologo, così da eliminare alla base la causa primaria che genera l’oftalmopatia tiroidea. Successivamente, l’oftalmologo prescrive alcuni esami diagnostici, tra cui l’esame dell’acuità visiva, la valutazione della motilità oculare, esoftalmometria, l’esame della lampada a fessura, la tonometria, l’oftalmoscopia e la TAC.

Oftalmopatia tiroidea: la terapia più adeguata e le eventuali complicazioni

Dopo che l’equipe guidata in sinergia da oftalmologo ed endocrinologo è giunta alla realizzazione di una diagnosi coerente coi sintomi riportati dal paziente e con i risultati degli esami condotti, si potrà elaborare congiuntamente un trattamento specifico al fine di porre fine alla condizione di oftalmopatia tiroidea.

Nelle forme in cui l’oftalmopatia tiroidea si presenti solamente di lieve entità, potrebbe risultare sufficiente la terapia farmacologica, basata sull’uso di colliri a base di lacrime artificiali, che consentono di ridurre la secchezza oculare. L’uso di colliri-betabloccanti o corticosteroidi è indicato in caso sia di aumento del tono oculare che di una generale infiammazione nell’area interessata.

In forme di oftalmopatia tiroidea che invece si presentano particolarmente gravi e accentuate, sarà necessario adottare la terapia chirurgica, la quale consta in un intervento di decompressione della cavità orbitaria. Durante l’intervento si cercherà di rimuovere la parete ossea situata fra l’orbita e i seni paranasali, così da consentire innanzitutto il drenaggio del grasso infiammato e successivamente aumentare sensibilmente lo spazio orbitario, così che il bulbo oculare possa rientrare nell’orbita, la sua fisiologica sede. L’intervento chirurgico di decompressione è un intervento che purtroppo presente molti rischi e complicanze. Le più comuni – anche se non frequenti – sono un risultato inadeguato, la possibile fuoriuscita del liquido cerebrospinale, disturbi a carico dei seni paranasali e disallineamento dei bulbi oculari con conseguente diplopia.

Fonti bibliografiche:

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