Le 9 peggiori domande che possono farti a un colloquio di lavoro (e come rispondere)

Trovare l’impiego giusto per noi, per le nostre competenze e aspirazioni è un sogno comune: ma prima di conquistarlo dobbiamo affrontare diversi colloqui in cui un recruiter ci pone quesiti insidiosi e sibillini. Ecco come giocarci bene le nostre carte

Pubblicato: 7 Ottobre 2024 19:00

Marina Mannino

Giornalista esperta di Lifestyle

Laureata in Lettere, è stata la caporedattrice di una famosa rivista per ragazze e ha lavorato nella produzione musicale. Scrive per diverse testate e per DiLei si occupa di test sulla personalità, della rubrica #segretidelcuore e scrive articoli per la sezione DiLei GirlZ.

I recruiter (o selezionatori, o responsabili delle risorse umane) sono segugi professionali specializzati nel fiutare i migliori talenti. Sono incaricati di esaminare i candidati tramite un’intervista in apparenza innocua ma in realtà insidiosissima, che può durare 20/30 minuti fino ad un’ora. Durante la quale è tassativo tenere spento lo smartphone.

Ingannare i reclutatori è impossibile, ma non dobbiamo farci intimidire. Nemmeno quando, con un sorrisetto, ci faranno domande terribili. Perché sappiamo come rispondere.

Mi parla un po’ di lei?

Sembra un approccio gentile e discorsivo, ma in realtà è la domanda più infida perché ogni parola che diremo potrà essere usata contro di noi! Dobbiamo apparire spigliate e sicure, ma non spavalde: dunque prepariamoci (e proviamo) una breve risposta in cui ci focalizziamo sugli aspetti chiave della nostra preparazione e delle nostre esperienze (dagli studi fatti ai lavori precedenti alle abilità sviluppate –ma senza ripetere il curriculum tale e quale) che ci rendono le candidate ideali per la posizione. Un sorriso è utile, ma non di più.

Vietato esordire con “Che dire? Sono una persona normalissima”. Non lo siamo. Siamo super, ma senza enfasi.

Quali sono i suoi punti deboli?

Con questa domanda si vuole indagare la nostra capacità di autovalutazione, la sincerità e l’attitudine a rimediare alle nostre carenze. Accenniamo a piccole mancanze che ci fanno apparire umanissime brave ragazze, sottolineando il nostro intento di migliorare: “Sono un po’ riservata ma mi sto impegnando per comunicare meglio con gli altri”, “Talvolta sono impulsiva e prendo decisioni d’istinto, ma mi sto imponendo di darmi tempo per riflettere”.

Vietato dire “Non credo di avere punti deboli”: mostra che siamo presuntuose o non proprio limpide.

Come dev’essere il suo capo ideale?

Procediamo con cautela, perché da questa risposta possono emergere i nostri pregiudizi ma anche le difficoltà a relazionarci con una figura dirigente. Una buona replica, che appare equilibrata e sincera, potrebbe essere: “Un capo ideale dovrebbe  avere competenza, sicurezza, doti comunicative, senso dell’umorismo ed essere una fonte d’ispirazione”.

Vietato fare battute come “Il capo perfetto non esiste”, “I capi sono tutti uguali”: il selezionatore non apprezzerebbe.

Perché la nostra azienda dovrebbe sceglierla?

È una domanda volutamente antipatica che punta a valutare la capacità del candidato di gestire le difficoltà e mantenere i nervi saldi. Don’t panic! Rispondiamo rifacendoci non solo al nostro curriculum ma anche alle nostre soft skills (capacità relazionali e comportamentali come comprensione degli altri, problem solving, pensiero critico) spiegando – meglio se con un esempio – come i nostri interessi e obiettivi professionali si allineino ali obiettivi l’azienda e le esigenze del ruolo.

Vietato dire: “In effetti… perché dovreste aver bisogno di me?”.

Come si relaziona con i colleghi?

La domanda punta a capire se sappiamo integrarci bene con gli altri o siamo delle piantagrane asociali. Rispondiamo che ci piace collaborare con tutti, siamo aperte al dialogo e al confronto, pronte a crescere insieme ai colleghi ma sempre nel rispetto reciproco.

Vietato dire “Io lavoro meglio da sola”: è la negazione del concetto stesso di lavoro in un’azienda (ma anche in un negozio di abbigliamento o in un supermercato).

Che cosa sa fare bene?

Non ci stanno chiedendo se siamo dei talenti del tennis, della chiffon cake o del canto gospel. Senza ripetere quello che abbiamo scritto nel cv facciamo un paio di esempi di come abbiamo sfruttato le nostre competenze in precedenti occasioni lavorative (ma anche di studio) senza mai apparire vanagloriose.

Vietato sminuirci: dire “Sì, parlo inglese, ma quando sono andata a Londra non mi capiva nessuno!” è un autogol.

Come si vede tra 5 anni?

Naturalmente la risposta non è “Sposata e mamma felice di due bambini” perché all’esaminatore questo non interessa. Il recruiter in realtà vuole capire il nostro quoziente di progettualità oltre al desiderio di migliorarci e impegnarci.

Vietato dire: “Proprio non lo so!”, denota pessimismo, pressapochismo, vittimismo, tutti –ismi che il selezionatore detesta.

Quali sono i suoi hobby o interessi?

È tra le domande del colloquio che più mettono in difficoltà: un interesse sbagliato e addio! Quello che cerca il selezionatore è una persona di cui gli interessi extra-lavorativi possano rappresentare dei vantaggi per l’efficienza e le mansioni da affrontare. Se siamo appassionate di ballo di coppia, potremmo sottolineare la nostra capacità di raggiungere obiettivi vincenti con un’attenta strategia comune.

Vietato dire “Non ho hobby o passioni”, “La mia passione è lo shopping”, “Il mio hobby preferito è il mio fidanzato”: sono frasi che equivalgono a buttarsi nel cestino da sole!

Quali letture l’hanno influenzata di più?

Domanda innocente? Non proprio. Leggere significa informarsi, crescere, arricchire il linguaggio e avere un’attitudine curiosa e aperta. Se non leggiamo libri, e-book o ascoltiamo audiolibri, possiamo ripiegare sui siti di approfondimento di vari temi, ma niente politica o temi scottanti. Prepariamoci, insomma, una risposta plausibile. Scorrendo TikTok troveremo nella comunità di #BookTok tante proposte che potremo prendere in considerazione per leggere qualcosa di interessante. Ci piacerà!

Vietato dire: “Non mi viene in mente niente: non ho tempo per leggere (o non mi piace farlo, è una cosa superatissima)”.

Domande che non possono fare

In un colloquio di lavoro ci sono domande che non potrebbero esser fatte, perché riguardano aspetti legati alla propria sfera personale come:

A queste domande non dobbiamo sentirci obbligate a rispondere.

L’articolo 27 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna è  chiaro: in pratica vieta domande come “È fidanzata?”, “È sposata?”, “Quanti figli ha?”, “Com’è composta la sua famiglia?”, “Ha intenzione di avere figli?”. La presenza di bambini o anziani può configurarsi come un freno all’assunzione, perché potrebbe preludere a un calo nel rendimento della lavoratrice se dovrà occuparsi di carichi familiari. Fa male a dirlo, ma purtroppo talvolta è ancora così.

Questo possono chiederlo

Domandarci di mostrare la nostra precedente busta paga è nelle facoltà del recruiter. È una pratica legittima a livello normativo e molto diffusa, specialmente nelle aziende più grandi.

È una richiesta che potrebbe essere il segnale di un reale interesse nei nostri confronti, quindi è meglio non rifiutare.

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