Solo pochi giorni fa, la conferma scientifica. Le zanzare sono arrivate fino in Islanda. Non deve quindi stupire che sempre di più infezioni trasmesse da vettori di questo tipo possano manifestarsi anche da noi, pur se nei decenni scorsi erano praticamente sconosciute alle nostre latitudini. Così, registriamo che negli ultimi anni in Italia si sono verificati diversi casi di infezione da virus Chikungunya, trasmesso dalla zanzara del genere Aedes albopictus, nota come zanzara tigre.
I focolai più recenti si sono avuti quest’estate in Emilia-Romagna e Veneto. Al 7 ottobre, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), si contavano 398 casi di infezione diagnosticata, in aumento significativo rispetto al 2024 quando si limitavano a 17. I numeri, certo, sono ancora sotto controllo. Ma intanto si punta sempre di più sulla prevenzione, grazie alla disponibilità di un vaccino specifico approvato dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa) a maggio scorso e che dal 30 ottobre sarà disponibile.
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Cosa sappiamo del virus
La diffusione crescente del virus, sia in Italia sia a livello globale, è stata affrontata nell’ambito del Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), tenutosi a Bologna. Parlando di fattori scatenanti gli esperti puntano l’attenzione sul cambiamento climatico che ha portato alla proliferazione del vettore per un tempo maggiore e in aree del mondo differenti rispetto al passato.
Dall’inizio del 2025 fino ad agosto, secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), sono stati segnalati circa 317mila casi e 135 decessi correlati in 16 Paesi. È probabile però che le cifre siano più alte, dato che la diagnosi è spesso complessa e la sorveglianza non è sempre adeguata in tutte le regioni del pianeta.
“La globalizzazione e il cambiamento climatico stanno favorendo la diffusione delle zanzare Aedes e la diffusione del virus chikungunya che costituisce ormai una problematica di salute globale (riscontrato in oltre 119 nazioni) – spiega affermato Luigi Vezzosi, specialista in Igiene e Medicina Preventiva presso l’ASST di Crema.
Questi due fattori agiscono in sinergia: la globalizzazione, attraverso i viaggi (incrementati rispetto ai livelli pre-pandemia COVID-19) e il commercio, hanno facilitato l’introduzione della zanzara e del virus in nuove aree, come l’Europa, mentre il cambiamento climatico ha reso queste regioni più ospitali alla proliferazione del vettore, favorendo la comparsa di epidemie autoctone”.
A complicare ulteriormente il quadro, c’è la considerazione che i sintomi manifestati sono simili a quelli di altre malattie trasmesse da zanzare, come la dengue e la Zika, rendendo difficile distinguere i casi. La malattia si manifesta generalmente con sintomi acuti, tra cui febbre, eruzione cutanea, affaticamento, mal di testa e, spesso, dolori articolari intensi e debilitanti.
La maggior parte dei pazienti guarisce entro 1-2 settimane, ma tra il 30% e il 40% può sviluppare artrite cronica che può durare mesi o persino anni. Non esiste un trattamento specifico disponibile ma si punta a controllare i sintomi.
Come funziona la vaccinazione
La disponibilità di un vaccino, insieme all’educazione dei viaggiatori su come evitare le punture di zanzara, rappresenta una strategia chiave per la prevenzione.
Parlando del vaccino, quello disponibile è il primo vaccino ricombinante contro la chikungunya, a base VLP (virus-like particles), già approvato negli USA, nell’Unione europea e nel Regno Unito: induce una risposta anticorpale protettiva.
Negli studi clinici, è stata osservata una robusta sierorisposta 21 giorni dopo la vaccinazione (endpoint primario), con un’immunità protettiva che iniziava a svilupparsi già 7 giorni dopo la vaccinazione, mostrando un profilo di sicurezza favorevole. Il VLP è un tipo di vaccino a subunità non infettivo, indicato per soggetti dai 12 anni in su e contiene proteine in grado di imitare il virus senza causare la malattia, garantendo che un’ampia gamma di persone possa trarre beneficio dalla vaccinazione.
Secondo Caterina Rizzo, professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e chirurgia dell’Università di Pisa, “la strategia di contenimento del virus chikungunya in Europa si fonda sull’azione congiunta di sorveglianza rapida sui casi importati, controllo del vettore Aedes albopictus (la cosiddetta zanzara tigre), e costante sensibilizzazione pubblica per prevenire la trasmissione autoctona. Gli studi più recenti confermano che questa zanzara ha completamente colonizzato anche il nostro Paese, aumentando il rischio di insorgenza di casi autoctoni.
Pur attuando le corrette misure di prevenzione, evitare le punture di questo insetto non è semplice in quanto è attivo prevalentemente di giorno. L’approvazione del primo vaccino ricombinante contro la Chikungunya rappresenta sicuramente una svolta importante. Questo strumento aggiuntivo fornisce infatti una valida opzione per la protezione di viaggiatori e fasce della popolazione a rischio, integrandosi così con le misure di controllo dei vettori e la sorveglianza epidemiologica”.
Giovanni Rezza, professore di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed ex direttore generale della prevenzione al Ministero della Salute, aggiunge che “la disponibilità di vaccini efficaci può essere di utile ausilio non solo per chi viaggia verso zone endemiche o affette da epidemie, ma anche per contenere eventuali focolai autoctoni nel nostro Paese”.