Se il termine “ptosi” si intende una affezione in cui una o entrambe le palpebre sono più abbassate del loro normale livello per cui la rima palpebrale appare di ampiezza ridotta o addirittura assente, la ptosi palpebrale è la più diffusa.
Chi ne soffre parla di “palpebra calante”, in quanto l’occhio sembra chiudersi: la pupilla viene oscurata, talvolta solo in parte talvolta totalmente, e l’unico modo per risolvere il problema (non solo estetico) è la chirurgia.
Tipica dell’invecchiamento, la ptosi palpebrale può colpire anche i bambini. E può avere numerose cause.
Indice
Che cos’è la ptosi palpebrale
La ptosi palpebrale è la caduta, parziale o totale, della palpebra inferiore o superiore. Può essere monolaterale e riguardare dunque un solo occhio, oppure bilaterale e riguardarli entrambi.
La ptosi è lieve se l’abbassamento è inferiore ai 2 millimetri, moderata se è compreso tra i 2 e i 4 millimetri, grave se è superiore ai 4 millimetri.
Può inoltre essere congenita se è presente fin dalla nascita o acquisita se compare in un secondo momento.
Se nei bambini è causata da una distrofia del muscolo deputato al sollevamento della palpebra, o ad un deficit neurologico, negli adulti e negli anziani la causa è di norma l’involuzione senile del tendine del muscolo che solleva la palpebra.
Di norma, la ptosi palpebrale non nasconde altre patologie o è dovuta ad un trauma. In rari casi, però, può essere causata da malattie muscolari o neurologiche oppure da tumori.
Cause e tipologie di ptosi palpebrale
Per evitare che la palpebra “cada”, è necessario che lavorino perfettamente tutte le strutture che la tengono in posizione: il muscolo elevatore della palpebra superiore, il muscolo orbicolare, la placca neuromuscolare e il muscolo di Müller (muscolo tarsale superiore). Quando ognuna di esse svolge il suo lavoro, il margine palpebrale superiore si ferma 1-2 millimetri sopra la cornea e ha una distanza di 9-10 millimetri rispetto alla palpebra inferiore. In caso contrario, si verifica la ptosi palpebrale.
La principale distinzione viene operata tra ptosi congenita e ptosi acquisita, basandosi sulle sue cause.
Ptosi congenita
La ptosi congenita è una condizione presente sin dalla nascita, ed è causata di norma da uno sviluppo non completo del muscolo elevatore. A volte, a determinarla può essere invece un difetto genetico o cromosomico oppure una disfunzione neurologica. Diverse sono le sue sottocategorie:
- la ptosi congenita semplice è la più frequente e può manifestarsi con diversi gradi di intensità. Per compensare il non completo sviluppo del muscolo elevatore, il bambino contrae il muscolo frontale e tende a spostare la testa di lato rischiando di compromettere la curvatura della colonna vertebrale o di generare strabismo (motivo per cui è necessario intervenire rapidamente per correggere la ptosi);
- si parla di ptosi congenita collegata ad anomalie della motilità oculo-palpebrale quando il problema è dovuto ad una insufficiente attività del muscolo retto superiore, alla paralisi congenita del III nervo cranico, alla Sindrome di Marcus Gunn (chi ne soffre, ritrae involontariamente la palpebra quando apre la bocca) o ad una malformazione.
Ptosi acquisite
La ptosi acquisita si presenta nel corso della vita adulta, ed è nella maggior parte dei casi dovuta ad un normale processo di invecchiamento.
La ptosi paralitica è dovuta alla paralisi dell’oculomotore comune, per lesioni di tipo nucleare, in corso di malattie del sistema nervoso o per lesioni a livello orbitario.
La prosi paralitica può essere associata anche a paralisi di altri muscoli oculari.
La ptosi miogena può essere senile o, più raramente, legata a sindromi miopatiche. Le prime sono causate da un’involuzione delle fibre muscolari del muscolo elevatore e del muscolo di Muller (muscolo tarsale superiore, impegnato nel movimento della palpebra), le seconde sono sono molto meno frequenti e sono dovute a patologie rare (malattia di Steinert, malattia di Basedow ecc.).
La ptosi aponeuretica si presenta in genere su soggetti predisposti a causa di un trauma o successivamente ad un intervento chirurgico (per il distacco della retina, per la cataratta), ed è dovuta all’apertura o alla disinserzione dell’aponeurosi (il tendine del muscolo che eleva la palpebra).
La ptosi simpatica è dovuta alla paralisi del muscolo di Muller che è innervato dal simpatico. È’ una ptosi lieve in quanto persiste l’attività dell’elevatore della palpebra.
La pseudoptosi non è dovuta da alterazioni muscolari o nervose bensì da cause meccaniche ad esempio un peso anormale delle palpebre conseguente a processi infiammatori o ad edema o a tumori, può renderne difficoltoso il sollevamento.
La ptosi neurotossica è dovuta all’avvelenamento e, poiché si accompagna spesso ad altri gravi sintomi, va trattata in regime d’urgenza.
Tra le patologie che più di frequente causano ptosi palpebrale troviamo:
- la miastenia grave, una patologia che provoca una forte debolezza muscolare;
- la sindrome alcolica fetale, una grave patologia a carico del feto causata dall’alcol assunto dalla madre durante la gravidanza;
- anomalie congenite;
- infezioni o infiammazioni della palpebra;
- ritardi mentali;
- distrofie muscolari;
- tumori;
- ictus;
- diabete.
Sintomi della ptosi palpebrale
La ptosi palpebrale è essa stessa un sintomo. Il paziente si accorge di soffrirne perché la palpebra superiore, di uno o di entrambi gli occhi, cade a coprire l’occhio. Può essere un processo lento, oppure può comparire all’improvviso, e può essere appena percettibile o coprire interamente la pupilla ostacolando o impedendo la vista.
Talvolta, la persona può avvertire altri sintomi quali una difficoltà ad aprire e a chiudere l’occhio, un cedimento della pelle sopra la palpebra e dolore attorno agli occhi. Se a soffrirne è un bambino, per provare a vedere meglio in genere solleva le sopracciglia o porta il capo all’indietro col rischio di avvertire mal di testa o torcicollo.
La più seria conseguenza della ptosi palpebrale è l’ambliopia (o “occhio pigro”), una riduzione della capacità visiva più o meno grave.
Diagnosi della ptosi palpebrale
L’oculista può diagnosticare la ptosi esaminando con particolare attenzione le palpebre, mediante palpazione delle stesse e dell’orbita oculare.
Prima di procedere con la valutazione dell’acuità visiva ed utilizzare colliri topici, sono rilevate in modo preciso le seguenti misurazioni:
- Fessura palpebrale: distanza tra la parte superiore e la palpebra inferiore in allineamento verticale con il centro della pupilla;
- Distanza marginale riflessa 1 (MRD-1): distanza tra il centro del riflesso pupillare alla luce e il margine palpebrale superiore;
- MRD-2: distanza tra il centro del riflesso pupillare alla luce e il margine palpebrale inferiore;
- Funzione del muscolo elevatore;
- Distanza della piega cutanea dal margine palpebrale superiore (MFD).
Altre caratteristiche che possono aiutare a determinare la causa della ptosi palpebrale sono:
- Altezza delle palpebre;
- Forza del muscolo elevatore;
- Movimenti dell’occhio;
- Anomalie nella produzione di lacrime;
- Lagoftalmo (incompleta chiusura della rima palpebrale, sopra il bulbo oculare);
- Retrazione palpebrale, per escludere l’orbitopatia tiroidea;
- Presenza/assenza di visione doppia, stanchezza o debolezza muscolare, difficoltà a parlare o deglutire, mal di testa, formicolio o intorpidimento in qualsiasi parte del corpo.
Durante l’esame, il medico è in grado di distinguere se le palpebre cadenti sono causate da ptosi o da una condizione simile, la dermatocalasi. Quest’ultima è un eccesso di pelle nella parte superiore o inferiore della palpebra per la perdita di elasticità del tessuto connettivo.
Ulteriori specifiche indagini sono condotte per determinare la causa della ptosi acquisita e pianificare il miglior trattamento. Ad esempio, se il paziente presenta segni di un problema neurologico o se l’esame degli occhi evidenzia una massa (o gonfiore) all’interno della cavità oculare, potrebbe essere necessaria una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica (MRI).
Trattamenti della ptosi palpebrale
Il trattamento della ptosi dipende dalla sua gravità e dalle cause che l’hanno generata. Se la ptosi è congenita e lieve, senza ambliopia o problematiche quali lo strabismo o una curvatura della testa, in genere è sufficiente un suo periodico monitoraggio. Se lo ritiene opportuno, lo specialista può prescrivere specifici esercizi oculari per il rafforzamento dei muscoli, occhiali per la ptosi palpebrale o lenti a contatto ad hoc per il sostegno della palpebra.
I casi più gravi di ptosi palpebrale richiedono l’operazione chirurgica. La modalità d’intervento viene decisa in base alla serietà della ptosi e alla sua causa:
- se il muscolo elevatore deve essere rinforzato, si andrà ad effettuare un accorciamento o la reinserzione del suo tendine;
- se il muscolo elevatore non può essere rinforzato, si utilizza materiale autologo o eterologo per sospendere la palpebra al muscolo frontale;
- per rinforzare il muscolo di Muller, o per avanzare l’aponeurosi, è applicabile la tecnica transcongiuntivale senza incisioni esterne, ma solo in caso di ptosi palpebrale lieve.
Dal duplice effetto, sia estetico che funzionale, l’intervento chirurgico è seguito dall’applicazione di un po’ di ghiaccio o di un bendaggio leggermente compressivo. Per le prime 24 ore, il paziente deve mantenere la testa sollevata. E, per dieci-venti giorni circa, è possibile che la cute sia arrossata, gonfia e livida. La visione potrebbe essere offuscata oppure doppia, e può esservi tendenza alla lacrimazione e maggiore sensibilità alla luce. Al di sotto della congiuntiva si possono verificare piccole emorragie, che tendono comunque a riassorbirsi dopo pochi giorni in modo spontaneo.
Possibili complicanze della correzione chirurgica della ptosi palpebrale sono:
- infezioni che richiedono una terapia antibiotica;
- retrazione palpebrale eccessiva, in genere risolvibile con un massaggio specifico ma talvolta bisognosa di un’ulteriore operazione;
- lagoftalmo (il paziente non riesce a chiudere bene l’occhio e, se le lacrime artificiali non risolvono il problema, ha bisogno di un ulteriore intervento);
- perdita della sensibilità palpebrale, in genere spontaneamente risolvibile in tre mesi;
- secchezza oculare, che rende necessario l’uso di colliri lubrificanti;
- cicatrici in rilievo;
- apertura e sanguinamento della ferita;
- formazione di ematomi da drenare chirurgicamente.
È comunque bene, dopo l’intervento, evitare di guidare per qualche giorno, di compiere sforzi per le prime settimane, di indossare le lenti a contatto per almeno quindici giorni e di prendere il sole per due mesi. Il chirurgo valuterà quando togliere i punti di sutura, e prescriverà la terapia da seguire a base di pomate e di colliri antidolorifici, antibiotici e lubrificanti.
L’operazione chirurgica, tuttavia, viene riservata ai casi di ptosi palpebrale più seri, in cui il paziente presenta un campo visivo ridotto, ha assunto un atteggiamento viziato di testa e collo, ha spesso mal di testa per l’abitudine di aggrottare la fronte così da vederci meglio e ha un aspetto stanco. Negli altri casi, si tende a preferire una modalità d’intervento non chirurgica.
L’intervento riattacca e rafforza i muscoli elevatori, sollevando le palpebre e migliorando la visione. La correzione chirurgica, inoltre, consente di migliorare l’aspetto estetico. Se i muscoli elevatori sono estremamente deboli per svolgere il loro lavoro correttamente, il chirurgo può decidere di collegare la palpebra sotto il sopracciglio, in modo da permettere che siano i muscoli della fronte ad assumersi il compito di sollevarla. Immediatamente dopo l’intervento, per il paziente può essere difficile chiudere l’occhio in modo completo, ma questo effetto è solo temporaneo. In genere, lividi e gonfiore persistono per circa 2-3 settimane. In alcuni casi, possono essere prescritti colliri lubrificanti, antibiotici o antidolorifici. La guarigione dovrebbe avvenire entro sei settimane dall’operazione.
Fonti bibliografiche:
- Luciano Liuzzi e Franco Bartoli, Manuale di Oftalmologia IV edizione, 2009