Esiste un luogo, da qualche parte del mondo, in cui metà della popolazione vive nell’ombra. Un’oscurità che colpisce ogni giorno le donne creata dalla violenza, dalle restrizioni dei diritti, dalla privazione della libertà. Di studiare, di uscire, di praticare sport, di vestirsi come vogliono, semplicemente di essere. Questo posto si chiama Afghanistan.
Un Paese che non ha più biblioteche, non ha scuole destinate alle donne, che ha sostituito i sorrisi e la felicità con la violenza, con il timore e il terrore. Un luogo che non ha più un’anima. Perché dove non ci sono diritti umani, non c’è più umanità.
Così Fatima è andata via da quel luogo, ha dovuto farlo. È stata costretta a fuggire lontano, anche se proprio nella sua terra d’origine era riuscita a conquistare un primato tanto grande quanto importante, quello di essere la prima guida turistica donna dell’Afghanistan. Ma quello che aveva ottenuto, ormai, non c’era più, al suo posto solo orrore e miseria. Fatima è andata via, è arrivata in Italia, proprio dove sta provando a ricominciare, senza però dimenticare, perché farlo è impossibile. Questa è la sua storia.
Chi è Fatima Haidari
Il suo nome corre veloce tra i media e sul web, insieme a quello di altre donne, quelle che si sono fatte portavoce di chi, la propria, non la può più far sentire. Non in Afghanistan. Fatima Haidari è stata una delle protagoniste dell’ottava edizione del Festival dei Diritti Umani tenutosi a Milano dal 3 al 6 maggio. Insieme a lei c’erano anche l’attivista iraniana Pegah Moshir Pour, la scrittrice Rula Jebreal e l’attivista russa Sofia Subottina. Donne di età e provenienza diverse, con storie differenti, ma tutte accumunate dall’ennesima urgenza di restituire al mondo femminile i diritti che merita.
Così ci sta provando anche Fatima Haidari, che proprio qui in Italia ha trovato la sua seconda possibilità, quella di ricominciare dal suo passato, da tutto quello che si è lasciata alle spalle. Perché l’orrore che ancora subiscono tutte le donne che sono rimaste lì non si può ignorare.
La storia di Fatima, ormai, è di dominio pubblico. Lo era già qualche anno fa quando la CNN aveva parlato al mondo di lei, della prima guida turistica donna in Afghanistan. Tutto quello che segue, però, è veloce e spaventoso: l’arrivo dei talebani, le minacce e la paura. Poi l’unica via di fuga: lasciare il Paese per salvare la vita a se stessa e alla sua famiglia. A raccontare quei momenti è stata proprio lei, concedendosi in una bellissima intervista su Io Donna che ripercorre tutta la sua storia, quella fatta di gioia e dolore, di orrore e di rinascita.
Nata in Afghanistan, e cresciuta tra le montagne della regione di Ghowr, Fatima conosce presto il prezzo della fatica e del sacrificio. Lavora sin da bambina per aiutare suo padre nel sostentamento della famiglia, ma nonostante questo trova anche il tempo per sognare. Vuole andare all’università, Fatima, ma l’avverarsi di questo suo desiderio non è così scontato, non in un Paese in cui lo studio non è considerato una cosa per donne.
A Herat, dove la famiglia si trasferisce, i piccoli sogni di una bambina diventano grandi e straordinari. Fatima lavora duramente per potersi pagare gli studi e alla fine si iscrive a scuola. Questo è solo l’inizio di un cammino lungo che la porterà a realizzare meravigliosi obiettivi.
In città, infatti, decide di fondare un’associazione, insieme ad altre sue amiche, per aiutare uomini, donne e bambini che fuggono dalle zone di guerra. Insieme creano dei programmi di alfabetizzazione e di formazione, ma anche di educazione femminile. L’obiettivo è quello di fornire gli strumenti giusti a chi, fino a questo momento, non ne ha mai avuti.
Il cuore di Fatima è grande e generoso, mai troppo piccolo per fare spazio a nuovi sogni. La ragazza vuole davvero cambiare le cose, e per farlo vuole mostrare il volto più bello della sua terra d’origine, che non è fatto solo di guerre e di orrore. Così Fatima Haidari diventa la prima guida turistica donna in Afghanistan.
L’arrivo dei talebani e la fuga
Nell’estate del 2021 i sogni di Fatima diventano fragili e pesanti allo stesso tempo, fino a frantumarsi in tanti piccoli pezzi. I talebani si prendono l’Afghanistan, conquistano Kabul. La ragazza lascia velocemente Herat per raggiungere la capitale. Forse lì c’è ancora una speranza di resistere, di combattere e aiutare gli altri.
“È ancora difficile per me parlare della mia fuga perché è stato qualcosa che non mi sarei mai aspettata nella mia vita” – Ha raccontato Fatima a Io Donna – “Se ci penso, mi sembra ancora un film dell’orrore. Ricordo che era agosto, un giorno il mio tour operator mi chiamò per dirmi che un gruppo di turisti avevano disdetto il loro viaggio e che da quando avevo condiviso la mia storia sui media ero diventata un bersaglio per i talebani”.
Non ci vuole molto affinché, una volta arriva a Kabul, si rende conto che neanche lì e al sicuro. Tutto intorno ci sono spari e violenze, le prime restrizioni alle donne e alla libertà, i soprusi nei confronti di chi si oppone al nuovo potere. C’è dolore e confusione, ma anche una certezza: Fatima non può più restare.
L’arrivo in Italia
Quando i talebani arrivano a Kabul, il nome di Fatima Haidari finisce sulle tante liste di persone che devono essere evacuate. Non è facile raggiungere l’aeroporto, così come non lo è lasciarsi tutto alle spalle, ma alla fine lo fa e viene portata in salvo, su un aereo militare, proprio in Italia.
Oggi Fatima vive qui, nel BelPaese, e studia all’Università Bocconi di Milano grazie a una borsa di studio. Ha avuto un’altra possibilità, ma quello che è stato non lo può dimenticare: “Penso che mi manchi tutto del mio Paese: la mia famiglia, il mio lavoro, il mio programma radiofonico, la cultura” – ha dichiarato a Io Donna, parlando dell’Italia come una seconda casa, il luogo di una rinascita che però deve sempre guardare al passato.
E a chi le chiede cosa possiamo fare per aiutare le donne afghane lei risponde sul quotidiano Avvenire: “Non dimenticarle. La comunità internazionale non può far finta che non esistiamo. Un mondo senza l’Afghanistan sarebbe incompleto. È, dunque, necessario che gli altri Paesi esercitino una continua pressione per far ragionare i talebani. Non mi rivolgo, però, solo ai governanti. Chiedo anche alle persone comuni: parlate delle afghane con i vostri amici, con i conoscenti. L’opinione pubblica ha un potere, non rinunciatevi. È anche nel vostro interesse. Se si consente a un regime di cancellare i diritti umani della metà femminile di un popolo, altri potranno imitarlo. E potrebbero non limitarsi solo alle donne”.