X Factor, le lacrime di Emma ed Elisa, sono le nostre

In quello sguardo abbassato ho visto quello di migliaia di adolescenti che faticano ad accettarsi solo perché diverse, vittime di una falsa realtà

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Chi mi segue lo sa, seguo X Factor dalla prima puntata andata in onda, ho saltato una sola edizione, e sono ancora qui a maledirmi, dato che, l’unica non vista, è stata quella che ha dato i natali allo strepitoso Marco Mengoni.

Ritengo che sia il migliore programma di entertainment realizzato in Italia, e posso dirlo senza paura di essere smentita, avendo visto cinque finali dal vivo al Mediolanun Forum ed aver partecipato ad almeno sette live al teatro Linear Ciak di Milano, credo che “macchina da guerra e da ascolti” sia l’epiteto che meglio lo descriva. Perché quello che passa attraverso lo schermo è solo un decimo di quello che realmente avviene dietro le quinte, dove i ragazzi della produzione sono in grado di smontare un palco e di rimontarlo in una notte, o dove luci, suoni, pensieri, parole, abiti e musica sono perfettamente coordinati, non una sbavatura, un contrattempo. Negli anni poi i biglietti per partecipare ai live sono diventati come i gold ticket di Willy Wonka, introvabili, quasi uno status symbol da esibire sui social, tra applausi e rosicate. Quando la pandemia è iniziata mi sono chiesta come avrebbero fatto ad effettuare provini, audizioni e Boot Camp, e soprattutto come avrebbero fatto senza il quinto giudice presente in sala, il pubblico, ma ancora una volta le aspettative sono state superate, grazie ad un quartetto di giudici eccezionale, ad una squadra di costumisti, attrezzisti, fonici coesa e preparata, grazie ad un Alessandro Cattelan semplicemente perfetto, ma soprattutto grazie al talento dei cantanti in gara, che quest’anno è a dei livelli altissimi.

Giovedì è andata in scena la seconda puntata, la prima in dieci anni di conduzione, senza Cattelan, assente giustificato per Covid, sostituito da Daniela Collu, alias “stazitta”, al suo primo live, e adesso potrei semplicemente dare le pagelle, o limitarmi a descrivere la serate, le uscite, i pezzi cantati, i costumi di scena indossati, la bravura delle stylist un plauso alla mia amica Veronica Bergamini, ma preferisco limitarmi alle emozioni che ieri sera mi sono arrivate. Perché alla fine noi che la televisione la guardiamo e ne siamo chiamati a scrivere, questo dovremmo fare, ogni tanto chiudere gli occhi e ascoltare solo con il cuore, senza sovrastrutture.

Comincerò parlando dei Melancholia, il gruppo rivelazione, insieme ai Little Pieces of Marmelade, di quest’edizione, e da subito i miei preferiti. La prima volta che li ho sentiti alle audizioni sono andata fuori di testa, penso di aver ascoltato in loop il loro inedito Leon per un giorno intero, di aver chiamato a raccolta tutta la famiglia e di aver loro massacrato gli zebedei mostrando il video avanti e indietro un’infinità di volte. Meritandomi come sempre quello che ormai è il mio secondo nome: mamma sei CRINGE Non c’è niente di Benedetta che non riesca ad amare, è energia, elettricità, ha una voce che mi ricorda quella di Dolores dei Cramberries, e a tratti quella di Sinead O’Connor, ma la realtà è che è semplicemente unica. E quando parte non riesci a staccarle gli occhi di dosso, tanto è ipnotizzante, e meravigliosamente disturbante, fuori dagli schemi e fuori di testa (nel senso buono), e poi ci sono Fabio e Filippo che con le loro armonie riescono a creare un sound travolgente, età compresa tra i 22 e i 24 anni, potrebbero essere i miei figli, visto che la mia più grande ne ha 21, quindi ho deciso di adottarli ora sempre e quando saranno usciti li aspetto a casa mia per Natale come la più fedele delle groupies, offro carbonara e torta di mele come se non ci fosse un domani, in cambio di All I want for Christmas is you “Melancolizzato”. Fuori categoria e fuori campionato, per me loro sono i vincitori indiscussi e prometto di andare ad incatenarmi sotto il Mediolanun forum in caso di secondo posto, (Maneskin docet)

E poi arriviamo al momento più bello di tutta la serata, quello che da solo vale tutta la puntata, le parole di Emma ad Elisa, alias Casadilego, perché credetemi quello che si è visto è stata poesia.

Nel presentare la cantante in gara è stato mandato un rewind dove lei parlava della sua difficoltà a rivedersi in video, dei suoi problemi di accettazione, del bullismo subito, con timidezza, con gli occhi carichi di lacrime ed amarezza. Ed è stato in quel momento che Emma dopo che Elisa aveva cantato magicamente ha iniziato a parlare con le lacrime che uscivano da sole, le parlava mentre sembrava stesse parlando a se stessa, ha parlato delle fragilità di questa diciassettenne alle prese con un mondo difficile, un mondo fatto di immagini patinate e ritoccate, di un Instagram reso perfetto dall’uso smodato di filtri, di una realtà solo apparentemente vera. Di quanto sia difficile rimanere se stessi quando l’occhio che ti guarda non è quello della cura, non è quello benevolo.

Sarà perché sono mamma di due adolescenti, sarà perché nella nostra famiglia abbiamo subito episodi di bullismo, con entrambi i figli, sarà perché io per prima conosco quella sensazione di guardarsi allo specchio e non riconoscersi, che mi sarei voluta catapultare su quel palco ad abbracciare quella ragazzina dagli occhi color del mare, in barba alla distanza di sicurezza, in barba a questo maledetto virus che ci impedisce di parlare con il corpo, e in barba alle regole televisive.

In quegli occhi tristi ho rivisto quelli di mia figlia quando le sue stronzamiche la prendevano in giro, in quello sguardo abbassato ho visto quello di migliaia di adolescenti che faticano ad accettarsi solo perché diverse, non consone ad una finta realtà aumentata, fatta di filtri e Photoshop, di corpi ritoccati e falsi, ho visto la purezza e la fragilità di un età difficile, quella in cui non ti senti mai abbastanza, quella in cui avresti solo bisogno di quell’abbraccio, di quella persona che ti stringa forte e che ti dica andrà tutto bene.

Parlava ad Elisa, Emma, ma soffriva ricordando quanto anche lei sia stata vittima di body shaming, ed è stato in quell’attimo che ha detto una frase che io sono solita ripetere a mia figlia: vorrei che ti vedessi dall’esterno, vorrei che ti vedessi con i miei occhi per capire la bellezza che emani.

Piangeva Emma, piangeva Elisa, e con loro tutte noi, noi che sappiamo quanto dolore possano dare i commenti gratuiti dei leoni da tastiera, noi che camminiamo con la testa abbassata solo per non vedere il nostro riflesso, noi che alla domanda “come stai” rispondiamo “tutto bene” con la morte nel cuore.

E allora vorrei che ad Elisa arrivasse il nostro abbraccio, vorrei che arrivasse la nostra voce, vorrei dirle di tenere duro e di credere in se stessa, vorrei dirle di alzare gli occhi da quel pianoforte, perché quello che lei ha è un dono, e  arriverà un giorno in cui si guarderà allo specchio innamorandosi di quella donna bambina dagli occhi cielo e dai capelli turchini, arriverà il giorno in cui si chiederà scusa.

Perché non era lei quella sbagliata. Erano loro.

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