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Cos’è
La colite è un disturbo funzionale di non facile risoluzione. Cosa si intende per disturbo funzionale? Immaginiamo che un paziente, afflitto da importanti e persistenti sintomi gastrointestinali, si rechi da un gastroenterologo. Questi una volta raccolta l’anamnesi e fatto l’esame obiettivo prescriverà una serie di indagini di laboratorio e strumentali (test di intolleranza al lattosio, screening per la celiachia, dosaggio della calprotectina fecale, ricerca del sangue occulto nelle feci, esame colturale delle feci, colonoscopia). Qual è il motivo di così tanto zelo? Bisogna in primo luogo escludere la presenza di malattie gravi quali la celiachia, le MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa), la colite microscopica, il cancro del colon-retto. Escluse, fortunatamente, tutte queste malattie… rimane il disturbo funzionale, legato cioè al cattivo funzionamento di un organo per tutti gli altri aspetti apparentemente sano.
Colite o sindrome dell’intestino irritabile: epidemiologia
La colite o Sindrome dell’intestino irritabile è la malattia funzionale intestinale più diffusa nel mondo occidentale. Secondo i criteri di Roma IV la sua prevalenza è dell’11.2%. Le femmine sono più colpite dei maschi (14.0% versus 8.9%) e l’esordio è giovanile. Di solito si tratta di una malattia autogestita perché medici di base e gastroenterologi, dopo aver fornito una serie di consigli utili, non sanno più cosa fare. Il paziente sente di non essere stato ben curato e comincia a farlo da solo.
La sindrome del colon irritabile: i criteri diagnostici
La diagnosi è una diagnosi di esclusione e tiene conto dei criteri di Roma IV. Il sintomo cardine della Sindrome del colon irritabile è il dolore addominale ricorrente o il disagio intestinale (discomfort) presente in media almeno un giorno a settimana negli ultimi tre mesi o associato a due o più delle seguenti caratteristiche:
- alla defecazione;
- a modificazioni della frequenza dell’evacuazione;
- a modificazioni di forma/consistenza (aspetto) delle feci, classificate secondo la Scala delle feci di Bristol.
La Bristol Stool Scale o Bristol Stool Chart o Scala delle feci di Bristol è uno strumento medico diagnostico creato allo scopo di classificare le feci umane in sette categorie che tengono conto della forma e della consistenza. La scala è stata sviluppata e proposta per la prima volta in Inghilterra da Heaton e Lewis dell’University Department of Medicine. Il razionale alla base di questo strumento di valutazione è che la forma e la consistenza delle feci dipendono con buona correlazione statistica dal tempo di permanenza nel colon. Più il transito intestinale è lento e più il materiale fecale tende a disidratarsi. Ecco allora che le feci prendono l’aspetto del tipo 1 o 2 secondo la scala di Bristol: “palline dure, separate, come nocciole” e “come una salsiccia di palline dure” rispettivamente. Al contrario, quando il transito intestinale è accelerato le feci assomigliano al tipo 5, 6 e 7 della scala di Bristol: “pezzi molli con bordi ben definiti”, “pezzi lanuginosi con bordi non definiti con forma facilmente modificabile” e “feci liquide”, rispettivamente.
Tornando a noi, dopo questa utile digressione, sulla base della Scala delle feci di Bristol è possibile distinguere:
- IBS con prevalente stipsi (IBS-C, dove C sta per Constipation): presenza di feci dure o caprine in più del 25% delle evacuazioni, presenza di feci non formate in meno del 25% delle evacuazioni;
- IBS con diarrea prevalente (IBS-D, dove D sta per Diarrhea): presenza di feci non formate in più del 25% delle evacuazioni, presenza di feci dure o caprine in meno del 25% delle evacuazioni;
- IBS con alvo misto (IBS-M, dove M sta per Mixed): presenza di feci non formate in più del 25% delle evacuazioni e presenza di feci dure o caprine in più del 25% delle evacuazioni;
- IBS non specificata (IBS-U, dove U sta per Uncassified): criteri insufficienti per caratterizzare la IBS come stipsi prevalente, diarrea prevalente o alvo misto.
La diagnosi, come detto, è una diagnosi di esclusione. Bisogna accertarsi che la sintomatologia non sia da ricollegare a condizioni patologiche più gravi che, se non riconosciute e opportunamente trattate, possono avere un’evoluzione peggiorativa. Una volta escluse queste possibili condizioni non resta che la diagnosi di Sindrome del colon irritabile. Il medico è abituato a ragionare in questi termini e passa in rassegna la sintomatologia alla ricerca delle cosiddette RED FLAGS, i sintomi allarmanti:
- età di esordio > 50 anni;
- storia familiare di malattia organica gastrointestinale (carcinoma del colon retto, malattia celiaca, MICI);
- sintomi intensi o in progressivo peggioramento;
- perdita di peso o anemia inspiegabile;
- diarrea notturna o resistente ai trattamenti empirici;
- sanguinamento rettale o melena (in assenza di emorroidi o ragadi anali).
Le cause
C’è da chiedersi quali siano le cause di una condizione che da molti (addetti ai lavori e non) viene ancora considerata come una somatizzazione.
- Fattori emozionali?
- Intolleranze alimentari?
- Farmaci/ormoni in grado di alterare la motilità e la sensibilità del colon?
- Disturbi della sfera psichica?
- Alterazioni a carico del consorzio microbico che vive nell’intestino tenue (avete mai sentito parlare di SIBO, Small Intestine Bacterial Overgrowth?)?
- Infezioni batteriche acute?
Forse, ogni volta, agiscono più cause contemporaneamente. E se queste sono le cause quali sono i fattori patogenetici che portano dalle cause alla malattia?
- l’alterata motilità intestinale?
- l’alterata permeabilità intestinale (Leaky Gut Syndrome)?
- l’ipersensibilità viscerale?
- l’anomala interazione tra intestino e cervello?
- l’attivazione immunitaria?
- l’anomala gestione dei gas intestinali?
Le domande a cui rispondere sono davvero tante.
Cosa mangiare
Tutti i pazienti con colite tendono ad identificare certi alimenti come fattori scatenanti dei loro disturbi. Mentre la presenza di vere allergie è una condizione rara, si potrebbe pensare ad una scarsa capacità da parte di questi pazienti di processare i carboidrati a catena corta. Si tratta di molecole a rapida fermentazione, osmoticamente attive (richiamano acqua dalle pareti intestinali) e che pertanto possono essere importanti trigger dei sintomi dell’IBS. Vengono indicati con l’acronimo FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols) e tra questi vanno ricordati fruttosio, lattosio, fruttani, galattani. Allo stesso tempo i carboidrati non assorbibili (stiamo parlando delle fibre solubili ed insolubili) portano ad un aumento delle fermentazioni a livello del colon e ad un aumento del discomfort nei pazienti con problemi di motilità e di sensibilità intestinali.
Qui di seguito viene riportata una lista degli alimenti consentiti in caso di colite:
- pollo, coniglio, vitello, manzo
- sogliola, orata, branzino, platessa, nasello ai ferri, lessati, meglio se in piccole porzioni
- Yogurt al bifido, ricotta, tomino fresco, crescenza, parmigiano, agnello suino ben sgrassati
- Lattuga, carote, rape, cavoli, zucca, zucchine, pomodori maturi e sbucciati, fagiolini cotti e decorticati. peperoni, fave, melanzane, porri (gli ortaggi meglio cotti o finemente tritati o passati)
- Mele, pere, pesche (ben mature), frutta sciroppata, mousse di frutta, gelatina di frutta oppure cotta
- Riso bianco ben cotto, tapioca, semolino, fiocOliochi di mais, patate cotte al forno o al vapore, grissini e crackers senza crusca, fette biscottate e pane biscottato
- Olio
- Miele
- Acqua naturale o Acqua oligominerale.