Per il Natale che si avvicina, così come per il cenone di Capodanno, in molti stanno pensando ad un sugo cotto per ore, capace di condire la pasta ripiena a meno. Dal nord al sud della penisola, si rincorrono profumi, aromi, colori che spaziano in cucina. Tra questi, ce n’è uno che in qualche modo dobbiamo riconoscere. Ed anche se ha un nome esotico, che ricorda le tradizioni orientali, è tremendamente “nostro”. È il gusto umami, o quinto gusto.
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Sapore ed aroma
Non abbiamo parlato a caso del sugo che accompagna ravioli, agnolotti, taglierini o altre paste di ogni tipo. Perché il gusto umami è tipico del sugo di carne che si lascia cuocere per ore e ore e solo dopo una lunga cottura raggiunge quell’ineguagliabile sapore che ci permette di portare in tavola una vera e propria leccornia. Il tutto, a prescindere dal taglio di carne che avete usato. Il motivo è semplice.
A creare aroma e sensazioni non è appunto la carne, quanto piuttosto la durata della cottura. Solo quando il ragù rimane sul fuoco per qualche ora, infatti, assume quelle sfumature di gusto che lo possono rendere ineguagliabile e del tutto diverso, per il palato, rispetto alla carne tritata e scottata per qualche minuto. Quel sapore unico della carne da sugo o del brasato è tipico del gusto umami. E in qualche modo, anche se in cucina i sapori e i piatti possono apparire diametralmente opposti, si associa in questo all’aroma del formaggio grana grattugiato e delle acciughe sotto sale. Il gusto umami è il quinto gusto dopo dolce, salato, amaro e acido.
Come nasce il gusto umami a tavola
Il gusto è legato agli alimenti ricchi di proteine cotti per molto tempo o comunque fermentati. Cosa accade sul fronte scientifico? Si rilasciano gli aminoacidi che costituiscono la struttura delle proteine, e tra questi c’è anche il glutammato. Ebbene, il gusto umami è legato proprio a questa trasformazione: l’L-glutammato (e non solo) diventa in pratica il segnale della presenza delle proteine. Il rilascio di glutammato monosodico non solo è gradevole, ma può migliorare il sapore di una preparazione riducendo l’amaro ed esaltando la dolcezza.
Un consiglio: il gusto umami sarebbe da ricercare in particolare se si fanno lunghi viaggi in aereo. Consigliabile sarebbe in questo senso il succo di pomodoro, appunto una bevanda umami, che verrebbe scelto anche per alterazioni del gusto indotte dal rumore tipico della cabina, che in qualche modo andrebbe a compromettere le nostre capacità gustative. Lo segnala una ricerca di qualche tempo fa condotta dagli scienziati della Cornell University ed apparsa su Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance.
Una storia italiana
Il termine, non ci sono dubbi, riporta alla mente tradizioni e cultura nipponica. Ed è vero che, tradotto letteralmente, si può traslare nel nostro “delizioso”. Ma se la parola umami è entrata nel linguaggio gustativo e scientifico solo nei primi anni del secolo scorso, non ci sono dubbi che nella nostra cultura alimentare il gusto umami sia molto antico e certo non si collegava a piatti come sushi o alghe, pur se il mare aveva la sua importanza.
Per capire quanto l’umami sia legato alla nostra terra corriamo indietro nel tempo. E rifacciamoci a quanto scriveva Plinio il Vecchio, nel primo secolo dopo Cristo. L’autore latino descriveva ad esempio il Garum: una salsa di viscere e altri parti del pesce, da mescolarsi col sale e fatto poi fermentare, in pratica quasi una colatura di alici. Anche se magari non ci credete, quel gusto era proprio umami.