L’epatite E è una malattia del fegato causata dall’HEV che, analogamente all’agente eziologico dell’epatite A, si trasmette prevalentemente per via oro-fecale, quindi attraverso il consumo di acqua e alimenti contaminati da feci infette.
Il virus dell’epatite E (HEV) è un virus a RNA privo di capside della famiglia Hepeviridae. Ad oggi sono stati identificati quattro genotipi (1-4) patogeni per l’uomo di epatite E. I genotipi 1 e 2 sono patogeni esclusivamente per l’uomo, mentre i genotipi 3 e 4 sono ravvisabili sia nell’uomo sia negli animali.
L’epatite E è piuttosto rara in Italia, così come negli altri paesi industrializzati: essa, invece, è spesso presente in forma epidemica o sporadica nelle aree in via di sviluppo, dove sovraffollamento e scarse condizioni igieniche ne agevolano la diffusione. L’infezione è presente in molte aree del mondo con un maggior numero di nuovi casi (incidenza) nei paesi dell’Asia sudorientale e dell’America Latina.
In Italia, i casi segnalati al sistema di sorveglianza SEIEVA dell’Istituto Superiore di Sanità sono relativamente pochi (poco meno di 200 nel periodo 2007-2016), ma permane una scarsa conoscenza delle modalità di contagio dell’infezione e dei segnali che ne attestano la presenza.
Le infezioni da HEV procedono generalmente in modo asintomatico oppure presentano una sintomatologia leggera e aspecifica che include stanchezza, inappetenza, nausea, vomito, mal di testa, dolori muscolari e articolari. Se si presenta un’infiammazione epatica, spesso è una forma autolimitante che si risolve in modo spontaneo senza complicanze.
In alcuni rari casi l’epatite E può avere un sviluppo fulminante con insufficienza epatica acuta. Le donne in gravidanza che hanno sofferto un decorso grave della malattia sono particolarmente a rischio.
Indice
Epidemiologia dell’epatite E
L’epatite E è una patologia infettiva diffusa in tutto il globo. Si stima che 1/3 della popolazione mondiale sia stata esposta al virus.
Si stima inoltre che ogni anno 20 milioni di persone contraggano l’infezione causata dal virus dell’epatite E (HEV), che oltre 3 milioni presentino sintomi e che ogni anno si verifichino almeno 600 mila decessi associati all’HEV. La fascia di età maggiormente colpita dall’epatite E è quella tra i 15 e i 40 anni. La distribuzione a livello globale dell’HEV ha andamenti epidemiologici differenti ed evidentemente correlati a fattori socioeconomici ed ecologici.
Nei Paesi in via di sviluppo, l’epatite E si presenta in forma di ampie epidemie diffuse attraverso il consumo di acqua contaminata o contatti persona-a-persona.
Nei Paesi sviluppati, invece, ove in passato l’epatite E era tradizionalmente reputata una malattia associata ai viaggi, negli ultimi anni si registra un numero crescente di casi autoctoni segnalati in Europa. Al momento si osserva che l’HEV è endemico nell’Unione europea e che dei genotipi HEV noti per infettare l’uomo (HEV1-4 e HEV7) e gli animali (HEV3-6).
I Paesi Ue riportano principalmente infezioni HEV3 autoctone associate al consumo di carne (soprattutto di maiale, poco cotta o non sufficientemente stagionata). Secondo l’osservatorio del SEIEVA – il Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – nel primo semestre 2021 sono stati riscontrati 12 casi di epatite E (unitamente a 39 casi di epatite A, 34 casi di epatite B, 13 di epatite C).
Inoltre, dal bollettino emerge una conferma di quanto già osservato nei mesi scorsi, ossia che il numero di casi notificati di epatite virale. Indistintamente per tutti i tipi, è in netta diminuzione a partire da febbraio 2020 rispetto agli anni pregressi.
Il decremento registrato viene tendenzialmente imputato alle misure di contenimento COVID. Anche a una diminuzione delle notifiche da riferire all’aumento delle attività all’interno dei reparti di malattie infettive e dei dipartimenti di prevenzione.
Sintomi dell’epatite E
L’epatite virale E, nella maggior parte dei casi, è autolimitante e i sintomi regrediscono nell’arco di qualche settimana. Solo in alcuni rari casi, l’infezione provoca un danno al fegato severo.
L’infezione si presenta con la comparsa di disturbi molto simili a quelli dell’epatite A. Dopo un periodo di incubazione di 2-9 settimane asintomatico, si possono presentare dolori addominali, stanchezza, nausea, vomito, febbre e malessere generale. Successivamente, compare l’ittero cutaneo.
Come si manifesta l’epatite E
Altri sintomi tipici ma non esclusivi dell’infezione da HEV sono:
- anoressia, intesa in questa sede come diminuzione dell’appetito o inappetenza. Essa si manifesta con la mancanza della normale sensazione di fame in condizioni di bisogno di cibo. Molte patologie possono manifestarsi con anoressia. Tra queste, oltre all’epatite, rientrano ad esempio l’esofagite, la gastrite, l’ulcera peptica, il carcinoma gastrico, l’appendicite e la malattia di Crohn.
- aumento delle transaminasi, classe di enzimi deputati a trasferire il gruppo amminico (-NH2) da un amminoacido a un’altra molecola che ne è priva (detta α-chetoacido). Questo “scambio” di gruppi amminici è essenziale per il metabolismo, poiché consente di smaltire gli aminoacidi in eccesso mutandoli in molecole facilmente utilizzabili a fini energetici oppure in altri amminoacidi di cui l’organismo necessita. Le transaminasi più importanti sono l’alanina aminotransferasi (ALT o GPT) e l’aspartato aminotransferasi (GOT o AST). Le transaminasi sono presenti in vari tessuti, ma sono localizzate soprattutto nel fegato e, in misura minore, nel cuore, nei muscoli e nello scheletro. Pertanto, qualsiasi causa provochi un danno a tali tessuti genera anche la liberazione nel sangue di transaminasi, con aumento della loro concentrazione plasmatica. Valori estremamente elevati di transaminasi nel sangue (aumento del valore di oltre 10 volte la norma) possono indicare una necrosi acuta delle cellule del fegato, un danno dovuto a epatite acuta di origine virale o indotta da farmaci (o tossine), un rigetto nel caso di trapianto, epatopatie metaboliche, un danno ischemico o un infarto epatico. Incrementi modesti (valore compreso tra 5 e 10 volte la norma) si riscontrano in caso di epatite virale cronica, epatite alcolica, steatosi epatica, malattia di Wilson e ostruzione biliare. Incrementi leggeri (valore superiore a 1 ma inferiore a 5 volte la norma) si verificano in caso di cirrosi epatica, steatosi non alcolica (fegato grasso) e disturbi colestatici. Esistono anche cause extra-epatiche di aumento delle transaminasi che non rilevano in questa sede.
- brividi
- dolori muscolari
- mal di testa.
Se contratta durante la gestazione, l’epatite E ha un decorso particolarmente serio e può evolvere verso la forma fulminante (circa il 10-20% dei casi).
Trasmissione dell’epatite E
Come anticipato, la via di infezione più comune è la trasmissione oro-fecale dovuta al consumo di acqua o cibo contaminati (nelle zone endemiche con condizioni igieniche precarie).
Il virus dell’epatite E (HEV), infatti, proveniente dalle feci delle persone o degli animali infetti, può sopravvivere in forma attiva e contaminare le acque impiegate a scopo alimentare o agricolo.
Inoltre, il virus è presente nella carne di animali (maiali, cinghiali) non trattata o non adeguatamente cotta. A fronte di quanto esposto, l’epatite E si trasmette principalmente attraverso ingestione di acqua, frutta e verdure contaminate con materiale fecale di persone infette.
È diffusa principalmente in aree sovrappopolate dove non è presente una gestione adeguata degli scarichi delle fogne. La preparazione di pasti da parte di persone affette da HEV può diffondere l’infezione in ambito domestico o collettivo
In misura molto meno significativa, può verificarsi una trasmissione dell’infezione:
- zoonotica, ossia dovuta a consumo di carne suina non adeguatamente cotta
- materno-fetale, seppure ravvisata solo in un ridotto numero di casi.
Epatite E: come avviene il contagio
Al fine di evitare il contagio, è opportuno osservare alcune semplici regole quando si visitano Paesi in via di sviluppo come:
- risciacquare abbondantemente verdura e frutta, con l’accortezza di sbucciare quest’ultima prima del consumo
- consumare carne e pesce (in modo particolare i molluschi) solo dopo una generosa cottura.
- bollire per almeno 5-10 minuti l’acqua prelevata dal rubinetto o da sorgenti comuni; l’acqua in bottiglia può essere invece consumata con più tranquillità, a condizione che venga aperta a vista. Occorre prestare attenzione anche ai cubetti di ghiaccio – che non andrebbero mai consumati direttamente o aggiunti alle bevande – e all’acqua impiegata per lavarsi i denti: anch’essa dovrebbe essere sicura, quindi di bottiglia. Infine, quando si fa il bagno in fiumi e mari è bene fare attenzione che non entri acqua in bocca.
Alle misure sopra menzionate dovrebbero sempre accompagnarsi le comuni norme di igiene personale, come l’accurato e frequente lavaggio delle mani, soprattutto dopo essere stati alla toilette e prima di toccare gli alimenti. Infine, oggetti come spazzolini, posate, bicchieri ed asciugamani dovrebbero essere di utilizzo esclusivamente personale.
Oltre all’uomo, il virus HEV colpisce anche alcuni animali, tra cui il suino ed i cervidi. Sono stati osservati episodi di trasmissione dell’infezione dopo il consumo di carne cruda di cinghiale e cervo; la reale pericolosità di questa possibile via di contagio resta comunque da chiarire.
Ad ogni modo, è fortemente consigliato il consumo di carne di maiale solo dopo un’adeguata cottura (misura peraltro utile anche a prevenire altre malattie, come la toxoplasmosi).
Diagnosi e cura del virus dell’epatite E
Il quadro clinico dell’Epatite E presenta indubbie sovrapposizioni con altre forme di epatite. Per tale ragione si rendono necessari diversi test di laboratorio, la cui combinazione è in grado di restituire una diagnosi corretta.
Oltre alla determinazione mediante PCR dell’RNA virale nel sangue o nelle feci (metodo suggerito per le prime fasi dell’infezione) la determinazione sierologica degli anticorpi di classe IgA/IgG/IgM diretti contro il virus dell’epatite E è il mezzo più importante disponibile per confermare le infezioni da HEV. Nello specifico, gli anticorpi della classe IgM sono indice di un’infezione in corso, mentre quelli della classe IgG possono essere presenti nella fase acuta o a distanza di mesi o anni dalla guarigione.
I sintomi provocati dall’epatite E, come visto, generalmente durano qualche settimana e tendono a diminuire nel tempo fino a sparire. La cura consiste semplicemente in un adeguato riposo e in una dieta specifica a base di cibi leggeri e privi di grassi fino alla completa guarigione.
La ricerca scientifica nel campo dell’epatite E è in continuo sviluppo per migliorare la comprensione del virus e per trovare nuovi trattamenti efficaci. Recenti progressi includono studi sulla risposta immunitaria umana all’infezione da HEV, il che potrebbe portare allo sviluppo di vaccini efficaci. In alcune regioni, sono già in corso di valutazione vaccini sperimentali, dimostrandosi promettenti nella prevenzione dell’epatite
E, particolarmente nelle aree ad alto rischio. Inoltre, l’analisi genetica dei diversi ceppi di HEV sta aiutando a delineare migliori strategie di intervento e trattamento. I ricercatori stanno anche indagando sul potenziale di farmaci antivirali esistenti, come la ribavirina, per trattare casi severi di epatite E, con l’obiettivo di ridurre il rischio di insufficienza epatica acuta, soprattutto nelle donne incinte. Questi sforzi dimostrano l’impegno della comunità scientifica internazionale verso un approccio più informato e proattivo nella gestione dell’epatite E.
Fonti bibliografiche:
- Centers for Disease Control and Prevention, Hepatitis E Questions and Answers for Health Professionals