Il 3 agosto del 2011, all’interno dell’Hotel Sant’Ana di Palma di Maiorca, si consumava l’inaspettata tragedia. Una giovane ragazza, in vacanza in uno dei luoghi della movida per antonomasia, precipitava dalla sua stanza d’hotel situata al sesto piano. Il suo corpo, ancora agonizzante, venne trovato davanti alla hall della struttura ricettiva. I tentativi di soccorrerla si rivelarono vani, così Martina Rossi moriva all’età di 20 anni.
Come aveva potuto, quella vacanza spensierata tra amiche, trasformarsi in una tragedia di quella portata? Questa la domanda che ha tormentato gli amici e i genitori per tanto tempo, anche e soprattutto quando le autorità spagnole archiviarono frettolosamente il caso come suicidio.
No, non si era tolta la vita. Cosa era successo all’interno della stanza 609 dell’Hotel Sant’Ana restava ancora un mistero. Ma tra tutti quei quesiti tormentati e confusi la famiglia Rossi aveva una certezza: la loro unica figlia non avrebbe mai commesso un gesto così estremo. E avevano ragione, perché Martina non si era suicidata: stava fuggendo da uno stupro.
Cosa è successo davvero a Martina?
Era un caldo giorno d’estate, quello del 3 agosto del 2011, quello in cui una ragazza in vacanza si svegliava all’interno della sua camera di hotel. Si trattava di Martina Rossi, una giovane studentessa di architettura, residente a Genova, che aveva deciso di partire insieme alle sue amiche per Palma di Maiorca. Avevano scelto Cala Major, come punto d’appoggio del loro viaggio, proprio il luogo dove il mare azzurro e cristallino fa da sfondo alla movida isolana.
Doveva essere un giorno come gli altri, quello, magari l’ennesimo spensierato e bellissimo. E invece tutto è cambiato, inaspettatamente e tragicamente, e la vita di una ragazza e tutti i suoi sogni sono stati spezzati.
Martina era nella sua stanza quella sera, ma non era sola. Le sue amiche avevano raggiunto dei ragazzi conosciuti a Palma, mentre lei si trovava in compagnia di due coetanei di Arezzo, anche loro in vacanza. Quello che sappiamo per certo, di quei momenti i cui unici testimoni restano le pareti dell’hotel, è che Martina Rossi ha perso la vita cadendo dal balcone della stanza numero 609. Il suo corpo fu ritrovato davanti alla hall dell’hotel ancora agonizzante, la ragazza era scalza e senza pantaloncini.
Le autorità spagnole non parlarono di una caduta accidentale, ma chiusero il caso come suicidio. Una tesi, però, che non aveva convinto i genitori, neanche per un istante. Su richieste insistenti e incessanti dei genitori il caso fu riaperto, prima a Genova e poi ad Arezzo, nella città dove risiedevano i due ragazzi che erano con Martina la sera dell’incidente. Si trattava di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, il primo campione di motocross e l’altro piccolo imprenditore.
I due amici si dichiararono, e lo hanno fatto ancora, estranei ai fatti. Luca dormiva all’interno della camera, mentre Alessandro era rimasto insieme a Martina. “Avevamo fumato” – aveva spiegato Albertoni – “E lei ha perso la ragione”. Così il ragazzo si era allontanato dalla stanza dell’hotel per chiedere aiuto alle amiche e in quegli istanti si sarebbe consumata la tragedia.
Eppure in quelle dichiarazioni, così come nelle successive, c’erano troppe incongruenze. Dei buchi neri che proprio non potevano spiegare come mai una ragazza piena di sogni come Martina avesse compiuto un gesto così tragico, anche se fuori controllo.
La tesi di suicidio e il tentato stupro
Quando i coniugi Rossi fecero riaprire il caso anche in Italia, i tasselli di quel puzzle, fino ad allora confusionario e caotico, restituirono una realtà ben diversa da quella raccontata fino a quel momento. Le procure di Genova e di Firenze avviarono le indagini arrivando ad aprire un processo per violenza sessuale e morte. Perché no, Martina non si era suicidata, ma stava scappando da uno stupro annunciato.
Una tesi, quella della tentata violenza sessuale da parte di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, dolorosa per i genitori di Martina, ma sicuramente reale. Secondo la pubblica accusa, infatti, Martina stava solo cercando di scappare. Accortasi di essere in pericolo, si era recata sul balcone con l’intento di scavalcare la ringhiera e raggiungere la stanza adiacente. Ma non ci era riuscita, era scivolata su alcuni asciugamani bagnati cadendo nel vuoto.
Albertoni e Vanneschi, con le loro dichiarazioni, hanno sempre smentito le accuse e in tribunale, la difesa, ha sempre avvallato l’ipotesi del suicidio. Dalla loro parte c’era la testimonianza di una cameriera dell’hotel che aveva visto la ragazza cadere nel vuoto dichiarando che, con tutta probabilità, si era gettata volontariamente. Una dichiarazione, quella della donna, che aveva portato le autorità spagnole ad archiviare il caso come suicidio, appunto.
Eppure l’autopsia sul corpo di Martina e le incongruenze emerse dai racconti dei due amici aretini, facevano presagire uno scenario ben diverso da quello prospettato dalle autorità spagnole prima, e dalla difesa di Albertoni e Vanneschi dopo. Martina, infatti, aveva una mascella fratturata, incompatibile con i danni creati dalla caduta. Inoltre, le parole della testimone chiave della tragedia, non potevano essere considerate certe e assolute, soprattutto perché la posizione in cui si trovava non le avrebbe permesso una visione completa della caduta.
A fare luce sull’intera vicenda fu anche Chi l’ha visto. Il programma di Rai 3, infatti, mostrò un video catturato dalle telecamere della questura che mostrava i due amici felici alla notizia che l’autopsia non aveva rivelato segni di violenza sessuale. Furono indagati anche gli altri ragazzi che erano in vacanza insieme ad Albertoni e Vanneschi e che, secondo l’accusa, hanno fornito dichiarazioni e false testimonianze pur di coprire i loro amici.
Martina Rossi, 13 anni dopo
Alla fine, Alessandro e Luca, sono stati condannati rispettivamente a 3 anni di reclusione per tentato stupro. Assolti in prescrizione, invece, per la morte di Martina. Eppure, dopo 13 anni, i due detenuti hanno scelto di appellarsi a quella condanna, chiedendo al giudice che sia riconosciuta anche la responsabilità della studentessa.
La richiesta, avanzata al giudice del Tribunale di Arezzo che sta seguendo la causa di risarcimento danni avanzata dai genitori, ha chiesto allo stesso di riconoscere anche un grado di responsabilità in Martina per quello che è accaduto. In poche parole, Albertoni e Vanneschi, ritengono la ragazza responsabile della sua stessa morte.
Insieme a lei, la difesa ha citato in giudizio anche l’Hotel Sant’Ana di Palma di Maiorca, accusato di avere dei balconi non a norma con una balaustra troppo bassa.
Il giudice non ha ancora espresso la sua decisione, ma sia l’avvocato della famiglia, che gli stessi genitori di Martina, sperano che la richiesta venga rigettata. “Hanno ucciso mia figlia e continuano a mentire” – queste le parole di Bruno Rossi, papà di Martina, che si leggono su La Nazione – “Come se in questi undici anni non fosse successo niente”.