Giosuè Carducci, poeta: biografia e curiosità

Giosuè Carducci, Poeta nazionale e Premio Nobel nel 1906, ha avuto una vita difficile segnata da lutti gravissimi

Pubblicato: 11 Luglio 2016 12:35Aggiornato: 29 aprile 2024 23:58

Martina Dessì

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Romantico nella sua espressione artistica ma non aderente alla corrente del suo tempo, Giosuè Carducci è uno dei massimi esponenti del classicismo ottocentesco che portava con sé una grande rivoluzione. Testimone del passaggio dal Regno all’Unità d’Italia, è stato anche impegnato in politica e ha lavorato fino alla fine dei suoi giorni, curando le sue ultime opere classiche fino a quando non ha dovuto lasciare la vita terrena a causa di una broncopolmonite.

Le origini e la formazione

Il poeta Giosuè Carducci nasce il 27 luglio 1835 a Valdicastello, nei pressi di Lucca, dove vive fino al 1839, quando ancora non sapeva che le sue origini avrebbero fortemente influenzato la produzione successiva. Gli anni in Toscana sono infatti decisivi per la sua poetica, per la sua formazione e per l’espressione artistica che si sviluppa dirompente grazie alla forza della natura incontaminata e all’energia vitale che possiamo avvertire in ogni verso.

Dopo aver completato gli studi scolastici, nel 1853, viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa dove si laurea in Filologia nel 1856. Si trasferisce quindi a Pisa, dove intercetta gli Amici Pedanti con cui promuove l’immediato ritorno al classicismo della letteratura, in opposizione alle correnti del Romanticismo che imperversavano in quegli anni. Carducci diceva: “Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni”.

I lutti familiari e il matrimonio con Elvira Menicucci

Iniziano gli anni duri, per un giovanissimo Giosuè Carducci, che perde tragicamente il fratello – morto suicida – e successivamente il padre, lasciandogli la responsabilità di sua madre e dell’altro fratello. Sono anni di intensa produzione editoriale: cura infatti diverse edizioni di classici italiani e sposa Elvira Menicucci dalla quale ha avuto i suoi quattro figli.

Nel 1859, cade il Granducato di Toscana e iniziano i primi moti risorgimentali che portano all’Unità d’Italia nel 1861. In questi anni e successivamente, insegna in un liceo di Pistoia e poi all’Università di Bologna, dove si stabilisce dal 1860. La nuova classe dirigente però lo delude – soprattutto per la mancata liberazione di Roma – e inizia ad avvicinarsi agli ideali repubblicani e giacobini, spingendosi fino all’anticlericalismo che lo rende inviso al Governo, tanto da arrivare a sospenderlo dall’insegnamento.

La morte dei figlio Dante

Il 1870 inizia con un lutto gravissimo. Il piccolo Dante, uno dei figli avuti dalla prima moglie, muore all’età di soli 3 anni e probabilmente di tifo. Da qui, la composizione della famosissima e struggente Pianto Antico e di una massiccia produzione artistica particolarmente efficace. Inizia anche una relazione d’amore con Carolina Cristofori Piva, che aveva conosciuto precedentemente tramite un intenso scambio epistolare.

Nel 1876 si candida tra i democratici alle elezioni politiche e, gradatamente, inizia ad accettare il ruolo dei Savoia come garanti dell’Unità d’Italia. Incontra la Regina Margherita a Bologna, nel 1878, e ne rimane talmente affascinato che compone l’ode Alla Regina d’Italia, sposando così gli ideali monarchici apparsi lontanissimi da lui solo pochi anni prima.

Il Premio Nobel

Giosuè Carducci diviene così il Vate dell’Italia monarchica di quegli anni e nel 1890 viene nominato Senatore del Regno. Gli ultimi anni proseguono veloci con un’intensa attività editoriale e, nel 1906, vince il Premio Nobel per la Letteratura. Muore poco dopo a Bologna, per una broncopolmonite, nel 1907.

Di se stesso diceva: “Sono superbo, iracondo, villano, soperchiatore, fazioso, demagogo, anarchico, amico insomma del disordine ridotto a sistema; e mi è forza fare il cittadino quieto e da bene”. Dalla sua terra d’origine ha ereditato l’amore per il cibo e quello per il buon vino e. Si dice che amasse molto banchettare con gli amici dal mattino fino alla sera.

Lo stile

Il classicismo di Giosuè Carducci, che si ispira comunque ai grandi maestri del passato, è vitale ed energico, libero dalle imposizioni del mondo latino che tenevano ingabbiata la comunicazione poetica che necessitava di una rivoluzione radicale. La sua poesia include infatti elementi realistici ma il linguaggio e le tematiche sono quelle del mondo greco e latino. È quindi lontanissimo dal Romanticismo, in cui gli elementi surreali costituiscono la sua principale cifra stilistica.

I temi delle sue poesie sono molto diversi ma tutti tratti dal periodo della sua vita che sta vivendo al momento della scrittura. Ritroviamo quindi orientamenti ideologici, ma sempre basati sui dettami del classicismo che esprime con un’armonia e un equilibrio che rende tutto estremamente reale.

Carducci fa suoi anche i temi della cultura pagana, in cui si contano inoltre quelli degli anni del giacobinismo, trattati senza i vincoli imposti dalla religione ma come forza in mano al popolo nel processo politico. Tutto questo si esprime attraverso l’operetta Inno a Satana, che viene pubblicata nel 1863 destando scalpore e polemiche.

Fra le opere più importanti che esprimono lo stile di Giosuè Carducci si ricordano le opere giovanili Juvenilia, Levia Gravia, Giambi ed Epodi, in cui si esprime in tono satirico e critico sulla realtà contemporanea, contrapponendola all’antichità pagana che recepisce come gloriosa, in contrapposizione – invece – con la mediocrità moderna.

La grafia del nome

Il nome di Carducci viene spesso indicato con la grafia Giosue, senza accento, perché questa forma sarebbe stata quella preferita dal Poeta. Secondo Giuseppe Fumagalli e Filippo Salveraglio, si tratterebbe di un errore nella trascrizione dell’atto di nascita nella biografia del poeta di Giuseppe Chiarini in cui veniva riportato Giosue, Alessandro, Giuseppe Carducci. Diversamente da quanto dichiarato dal critico letterario, nella biografia di Giuseppe Picciola si riporta invece la grafia con accento.

Fumagalli-Salveraglio specificano: “Occorre appena rilevare che sia l’atto di nascita, sia in tutti i documenti posteriori il nome del Poeta appare sempre scritto Giosuè, con l’accento nell’ultima, e così lo si pronuncia sempre in Toscana e così chiamavano lui i suoi familiari e gli amici. È vero che negli ultimi anni prevalse la forma più classica Giòsue, che si avvicina al latino Josue. Ma egli, almeno fino al 1875-1880, firmò sempre Giosuè; poi cominciò insensibilmente, non per deliberato proposito di cambiare l’ortografia e la pronuncia del nome, ma per trascuratezza grafica, prima a legare con un sol tratto di penna il nome al cognome e quindi a far servire l’asta iniziale del C anche come accento finale della e e finalmente a omettere addirittura l’accento. Ma che ciò non fosse fatto di proposito, lo provano le stampe rivedute da lui”.

E ancora: “Nei frontespizi delle Opere zanichelliane, fino al vol. XI il nome è accentato; col vol. XII (1902) si disaccenta; vedasi pure nei Bozzetti Critici (Livorno, 1876), a pag. 217, e in Opere, IV (1890), a pag. 113, dove egli, nelle Polemiche sataniche si nomina solennemente Giosuè. In ogni modo, questo, sia vezzo, sia negligenza o pigrizia grafica, è degli anni più tardi: e deve ritenersi come una leggenda quella, creata forse dopo la biografia del Chiarini che lo disaccenta, ch’egli volesse scriversi e farsi chiamare Giòsue”.

Le opere

E ancora:

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