Elena Sofia Ricci: “Ho lottato per essere me stessa. Il mio David? Ha abbattuto il muro di snobismo tra cinema e tv”

INTERVISTA ESCLUSIVA - Elena Sofia Ricci ha preso molto da sua madre, una guerriera che "a cinque anni marinava la scuola". E racconta come oggi vive il rapporto con sua figlia, Emma, dentro e fuori dal set.

Pubblicato: 30 Aprile 2020 20:15

Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Ha imparato a lottare da sua madre, Elena Sofia Ricci. Ma fino a luglio di due anni fa, data nella quale purtroppo sua madre è scomparsa, non si era del tutto resa conto di custodire dentro di sè un DNA da vera leonessa, come lei stessa lo definisce. Oggi, che il mondo del teatro – il suo primo e mai superato grande amore – e in generale tutto lo spettacolo stanno vivendo un momento di grande difficoltà, si sente chiamata alle armi per rapresentare la categoria dello spettacolo, che “ha sempre curato le ferite dell’anima“.

Anche in questo periodo di lockdown, Elena Sofia Ricci sta facendo infatti compagnia ai telespettatori interpretando Laura, la protagonista della seguitissima fiction “Vivi e lascia vivere“, nella quale recita accanto a Bianca Nappi, di cui è anche amica.

Abbiamo passato una piacevole mattinata in sua compagnia a parlare di tutte le donne che ha interpretato, di sua figlia e dei suoi segreti per mantenersi giovane.

Avrei evitato di parlare di questo momento che stiamo vivendo, ma ti ho vista particolarmente agguerrita su Instagram.
Siamo tutti connessi in questo momento, tutti uniti. Dalle popstar fino all’ultimo dei tecnici, tutti sullo stesso piano. E’ una situazione quella dello spettacolo davvero alla canna del gas, fin da prima del lockdown. All’emergenza sanitaria se ne sta aggiungendo una economica che riguarda tutti i settori, ma tra questi il nostro sarà l’ultimo a rialzarsi.

Hai pensato a quale potrebbe essere una ricetta per il futuro dell’audiovisivo?
In questo momento non riesco sinceramente a vederne una. Qualcuno si sta organizzando con i test, ma andrebbero ripetuti quotidianamente e la risposta che danno non è forse così sicura. Qualcosa ovviamente si sta muovendo, ma la nostra è una categoria che non può assolutamente lavorare in regime di distanziamento sociale. Per non parlare del teatro e di tutto lo spettacolo dal vivo. Io lì nasco e quella è la mia palestra. Ciò che accade in teatro è unico, e lo dico anche da spettatrice. Sento la nostalgia dei telefonini che squillano in platea e dei colpi di tosse, di quella sensazione di vivere assieme un’emozione magica e irripetibile.

Cosa vorresti dire a chi – durante questa emergenza – si sta dimenticando della vostra categoria professionale?
Abbiamo fatto compagnia alle persone che sono a casa in questo momento difficile, evitando loro dei momenti di depressione e di solitudine. Abbiamo coccolato e – oserei dire – quasi curato gli spettatori. L’arte è curativa, salva dalla malattia, ha una funzione che va ben oltre il semplice intrattenimento. E’ educativa, paideutica. C’è bisogno di gridarlo questo, non c’è più tempo. E’ possibile che solo il Papa ci abbia ricordati? Sentiamo parlare di tutto, meno che di noi. Ricordatevi di noi, che vi abbiamo fatto compagnia.

E tu di compagnia ne stai facendo molta durante questo periodo, con “Vivi e lascia vivere”.
È stata una delle ultime produzioni di fiction prima del lockdown, fai conto che l’ultima puntata l’ho doppiata con il telefonino da casa.

Alla luce di quello che sarebbe poi successo, che valore assume un personaggio come quello di Laura, che tu interpreti?
Nessuno all’interno della produzione avrebbe mai immaginato uno scenario del genere. Eppure Laura è un personaggio universale, rappresenta un po’ tutte noi. Le donne hanno in sé la forza propulsiva della creazione: siamo madri potenziali o madri a tutti gli effetti. Questa forza creativa, che è incisa nella catena del nostro DNA, è quella che munisce le donne di una grinta tipica della specie animale. E’ più facile immaginare quindi che sia una donna a reinventarsi una vita e che – dopo essere crollata e aver perso tutto – reagisca da leonessa. Me ne sono reso conto proprio durante questo periodo: quando è scoppiato il lockdown, mia figlia era in Colombia. All’inizio di marzo io ho fiutato il pericolo, anche se a quel tempo soltanto l’Italia aveva chiuso le frontiere. Mi è scattato un istinto animale, tipico della specie femminile, che mi diceva di salvare il mio cucciolo e riportarlo a casa il prima possibile. Ho mobilitato il mondo, addirittura l’ambasciatore italiano a Bogotá. “Quando una donna è in difficoltà, è capace di tutto”, dice la Laura che interpreto in “Vivi e lascia vivere”.

È un tratto condiviso tra tutte le donne o alcune, come te e Laura, lo hanno più sviluppato?
Noto che è un tratto abbastanza comune anche tra tutte le mie amiche e in coloro che hanno figli è ancora più sviluppato. Come nel mio caso, anche se il cucciolo ha ormai 24 anni e si è laureata l’anno scorso.

A proposito del tuo cucciolo: Emma ha lavorato con te sul set. Com’è andata questa esperienza professionale madre e figlia?
Non ha lavorato direttamente in scena con me, perché lei interpreta il mio personaggio da giovane e quindi ovviamente non abbiamo mai condiviso il set. Emma è laureata al DAMS in regia ed è appassionata di cinema da sempre. Aveva già interpretato anche un piccolo ruolo in “Don Matteo”, e si era trovata bene. Questa volta mi hanno chiesto di richiamarla in quanto mi assomiglia non tanto fisicamente ma nel modo di muoversi. Ovviamente l’ho aiutata a capire meglio il personaggio di Laura. Per esempio nell’accento, visto che Laura viene dalla Versilia.

È toscana come te.
Sì, anche se la scelta del regista è stata di non inserire particolari regionalismi all’interno della fiction. Io sono toscana trapiantata a Roma, ma appena mi metti accanto ad un napoletano inizio a parlare come lui, idem se mi metti accanto un bolognese o ad un barese. Sono camaleontica. Quindi ho aiutato un po’ mia figlia a scrollarsi di dosso quell’accento marcato, che è uno dei grandi problemi dei giovani attori romani.

Invece quanto hai pensato a tua madre per interpretare questo personaggio?
È una bella domanda questa che mi fai. Mia madre è stata una guerrigliera da sempre, è nata rivoluzionaria: ha iniziato a marinare la scuola quando era all’asilo, perché non le piaceva come la trattavano. Aveva cinque anni e già boicottava la scuola, questa era mia madre. Con il passare del tempo è diventata sempre più guerrigliera e certi aspetti del suo carattere si sono faticosamente acuiti. Da quando lei è mancata, mi sto accorgendo che alcune peculiarità che mi contraddistinguevano prima, come l’essere più morbida e accomodante, le sto perdendo a vantaggio di quel carattere che mia madre aveva di lottare fino in fondo, fino all’ultimo. Lei si è sempre battuta per le donne, per le giuste paghe. Si è opposta alla direzione in cui stava andando il cinema e appena ha potuto – infatti – se ne è chiamata fuori.

Che idea si era fatta del cinema?
Prima di morire, due anni fa mi ha detto “Meno male che hai avuto tanta fortuna, perché te lo meriti. Ma non smettere mai di lottare”. Queste parole le ho fatte mie e infatti sono qui che adesso combatto al fianco di tutti i colleghi.


Il personaggio di Laura parla più alle donne o agli uomini?
Parla a tutti, davvero a tutti. Pensa che ho un’amica che ha visto la serie e vive in Basilicata. Lei è bravissima a cucinare, a fare i dolci. Mi ha scritto dicendomi che in questo momento di crisi il personaggio di Laura le aveva dato un’idea: prendere un’ape-car e andare in giro a vendere cibo, ovviamente rispettando il regime di distanziamento sociale. Se quindi il mio Laura ha aiutato anche solo una persona, maschio o femmina, il mio ruolo sarà servito a qualcosa. Un po’ come quando ho fatto il mio outing sull’abuso che ho subito a 12 anni: se ho aiutato anche solo una bambina a dirlo alla mamma, ho fatto la cosa giusta.

È successo?
Certo che è successo e più di una volta, mi hanno scritto tante ragazze. Pensa quanto l’arte è importante: sveglia le menti, aiuta i giovani a reagire.

Di personaggi femminili ne hai interpretati svariati: Laura, Suor Angela, Veronica Lario in “Loro” di Sorrentino, Lucia Liguori ne “I Cesaroni”, zia Luciana in “Mine Vaganti” di Ozpetek. In che modo convivono dentro di te tutti questi personaggi così diversi fra loro?
Prendo questa domanda come un grande complimento, perché è stata la ragione che mi ha fatto andare avanti durante tutta la mia carriera, ovvero quella di non riproporre me stessa all’infinito indipendentemente dal personaggio che interpretavo. Io arrivo dal teatro e quella è la mia scuola: ho lottato per essere un’interprete libera e non farmi codificare con nessun tipo di personaggio. Sono sfuggita a qualsiasi tipo di etichetta e di gruppo di appartenenza. Ho lottato per portare in scena quante più donne possibile, quante più anime possibili, quante più storie possibili. E’ questa la bellezza del mio lavoro, non saprei immaginarlo diversamente.

Tutti questi personaggi che hai interpretato come hanno contribuito a renderti quello che oggi sei?
Qualcosa di mio finisce sempre dentro i personaggi che interpreto, non fosse altro che il fisico, e certamente ognuno di questi mi ha lasciato qualcosa dentro. Mi hanno arricchita di riflessioni sull’anima di ciascuno di loro, che mi hanno permesso poi di raccontarne altri. Alcuni mi hanno indotto a fare riflessioni di natura spirituale, come per esempio Suor Angela. Laura invece mi ha lasciato questa incitazione a combattere per la giustizia, per la sopravvivenza. E altre ancora mi hanno allenato al rispetto, per esempio le donne realmente vissute che ho interpretato come Francesca Morvillo, Veronica Lario o Rita Levi Montalcini, che non avete ancora visto ma che ho finito di girare poco prima del lockdown.

Di cosa si tratta?
È un film per la tv, finito di girare a dicembre. Anche questo di un’attualità inquietante: la storia di una donna che dedica tutta la sua esistenza alla ricerca. Rita Levi Montalcini diceva “se non si pensa agli altri, la vita non ha senso” e questa sua abnegazione ha salvato delle vite umane. Il film è pronto, ma non ho idea di quando uscirà: manca ancora il doppiaggio, forse dovremo farlo da casa.

Come funziona lo smart working per un attore?
Nel mio caso è un incubo, perché sono un’analfabeta tecnologica. Possiedo solo un telefonino, non ho un mail e non ho neanche WhatsApp. Quindi è stata durissima, però ho imparato: sono addirittura così evoluta che sono riuscita a fare dei collegamenti in diretta. Per il resto ancora zero, ho le mie amiche attrici che mi tengono aggiornata ogni giorno su ciò che viene detto dentro i gruppi WhatsApp…però siccome sono una delle più vecchie mi portano rispetto. Anche se porto benissimo i miei anni, nella categoria delle attrici comincio ad essere una delle più grandi. (ride)

Allora svelaci come fai a mantenerti giovane, di certo non bisturi e ritocchini.
A maggior ragione, quello invecchia terribilmente: ti toglie l’espressione, peggiora la pelle. Non sono contraria ideologicamente agli interventi, ritengo solo che sia un peccato che certe persone abbiano ricorso in maniera così pesante agli interventi estetici che alla fine non hanno migliorato il loro aspetto, anzi lo hanno appesantito. Tra qualche anno non escludo un bel lifting, perché vedo che il collo mi sta proprio cascando. Quindi se mai deciderò di farlo, lo dirò senza problemi. Al momento invece mi piaccio così, anche più di quando avevo vent’anni.

Quali sono invece i tuoi segreti di bellezza?
Intanto non fumo, seguo un’alimentazione molto sana, non mi drogo e non bevo nient’altro che un goccio di vino. Poi faccio tanta ginnastica e godo di rendita dagli anni passati in cui ho fatto danza. Ultimamente mi alleno molto perché ho ritrovato Marco, un mio caro amico d’infanzia, che è diventato il mio personal trainer. Quando lavoro fuori Roma sono disciplinatissima: tutti i giorni alla stessa ora faccio i miei esercizi. Quando sono a casa invece no, ho il marito, le figlie, sono sempre al telefono, sempre a lavorare, sempre ad organizzare la rivoluzione. E poi sì, diciamolo: sono anche un po’ pigra.

Magari anche essere pigri può essere un segreto di bellezza.
Sicuramente, io amo tantissimo dormire, almeno sette o otto ore a notte. Eppure il problema dell’insonnia me lo porto dietro da quando sono ragazza e mi aiuto costantemente con qualche goccina. Me l’hanno consigliato i miei terapisti, piuttosto che non dormire. E me ne rendo conto perché quando non dormo sono una donna molto poco gradevole e sto male anche fisicamente.

A cosa è dovuta la tua insonnia?
Soffro di due tipi di insonnia, la prima è di natura depressiva e si acuisce nei momenti di ansia: me la porto dietro dall’adolescenza. A volte è l’ansia positiva, della prestazione, del debutto e altre volte è un’ansia negativa, dovuta alla paura del futuro, come accade in questo momento. E qui subentra il secondo genere d’insonnia, ovvero quella causata dal mio cervello che reagisce per produrre qualcosa di creativo e non mi permette di dormire.

Cambiamo argomento: visto che in Italia sei stata diretta da quasi tutti i registi, ti piacerebbe recitare in un film di Almodovar?
Mi piacerebbe moto e fra l’altro Pappi Corsicato (il regista di “Vivi e lascia vivere”, nda) è stato anche l’assistente di Amodovar negli anni ’90. Yo hablo espanol, tambien. Quindi è fatta. Più che altro non so se lui mi vorrebbe, di solito preferisce Penelope Cruz o Carmen Maura.

Beh, non si può lavorare tutta la vita con le stesse attrici.
Io non credevo mi pensasse neanche Paolo Sorrentino che è italiano, figuriamoci Almodovar. Immaginavo che – essendo diventata un’attrice nazional-popolare della tv generalista – il cinema mi schifasse, eppure ho notato con piacere che cose stanno cambiando. L’anno scorso quando ho vinto il David di Donatello sono rimasta positivamente sconvolta: facevo una fatica incredibile ad immaginare l’Accademy del cinema italiano che vota Elena Sofia Ricci mentre la sua Suor Angela imperversava su Rai1. E invece, pensa te. Ecco perché questo premio è stato tanto importante per me ma non solo: ha sancito definitivamente la fine e il crollo di questo muro di snobismo che c’era fra il cinema e la televisione.

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