Claudia Vismara, la Stella di A Muso Duro si racconta. “Claudia Gerini? Fantastica”

"A muso duro", "Klem", "Nero a metà": Claudia Vismara è un'attrice dai mille talenti che porta un po' di sé in tutti i suoi personaggi. L'abbiamo intervistata per voi

Pubblicato: 10 Maggio 2022 16:58

Martina Dessì

Lifestyle Specialist

Content editor di tv, musica e spettacolo. Appassionata di televisione da sempre, designer di gioielli a tempo perso: ama i particolari, le storie e tutto quello che brilla.

Serie tv, fiction, film, produzioni internazionali. Raccontare di Claudia Vismara è tutt’altro che semplice, è piuttosto un viaggio incredibile ricco di entusiasmo, di storie da raccontare, di aneddoti. E d’amore, quello viscerale per il suo lavoro. È scavare all’interno di ogni personaggio per metterci dentro un po’ di sé, di Claudia. Di una mamma, di un’attivista e di una donna che, con un solo sguardo, ci ha fatti entrare nel suo mondo.

In A muso duro di Marco Pontecorvo – su Rai1 il 16 maggio in prima serata – è Maria Stella Calà, la moglie del dottor Antonio Maglio, ideatore delle paralimpiadi. Claudia Gerini l’ha invece voluta al suo fianco per la sua opera prima come regista – Tapirulan – nella quale ha interpretato il ruolo di Chiara, la sorella venuta dal passato pronta a sconvolgere ogni cosa. Ecco quello che ci ha raccontato.

Sei impegnata in tanti progetti, tutti molto diversi fra loro. Parliamo subito di A Muso Duro: come ti sei preparata per interpretare il personaggio di Stella, la moglie del dottor Antonio Maglio?
Sicuramente è stato importantissimo incontrare la vera Stella che, fortunatamente, è ancora in vita. Quindi, con il regista Marco Pontecorvo e con Flavio Insinna [protagonista del film, ndr] siamo andati a conoscerla, per farci raccontare una serie di aneddoti. Mi sono preparata una serie di domande da farle e, a un certo punto, mi ha chiesto divertita se la stessi psicanalizzando! È stato molto interessante e mi è servito tanto. Devo dire che, per come è stato scritto il mio personaggio, questo risulta un pochino più misurato. Lei è davvero una donna tutta pepe, incontenibile, una parlantina incredibile. Nel film, abbiamo comunque conservato la sua forza, la sua positività e la sua capacità di essere un grande sostegno per il dottor Maglio, questo traspare davvero al 100%. Il nostro personaggio è certamente più romantico, se vogliamo, mentre lei è decisamente più eccentrica.

Tutti questi anni, trascorsi dal 1957 fino ad oggi, sono serviti a farci assorbire una consapevolezza più moderna del connubio tra sport e diversamente abili o – secondo te – il dottor Antonio Maglio rimane ancora il più lungimirante di tutti?
Lui, certo, è stato il più lungimirante in assoluto. Ha fatto qualcosa di veramente rivoluzionario, perché dobbiamo pensare a quale fosse la condizione di vita dei ragazzi tetraplegici nel 1957. Erano rinchiusi in dei cronicari, dove venivano tenuti ingessati e trattati con massicce dosi di morfina, quindi incoscienti. Restavano lì fino a quando non si spegnevano. Quello che ha fatto il dottor Maglio è stato incredibile anche se il primo è stato il dottor Guttmann, del quale era grande amico. Prende appunto spunto da lui, per provare a dar loro una vita normale al 100% – concetto per lui fondamentale – attraverso lo sport. Il messaggio che lui voleva dare era proprio questo: infondere un senso di coraggio, di forza, di non arrendersi. E poi lui è stato il primo in assoluto ad aver ideato le paralimpiadi. Nessuno lo ha superato ma abbiamo fatto tanti passi in avanti, la nostra percezione è cambiata. Si può ancora fare tanto, siamo ancora lontani da un mondo in cui una persona diversamente abile possa sentirsi completamente integrata: quello che si deve evolvere è lo sguardo degli altri.

In Tapirulan, invece, interpreti Chiara, la sorella di Emma (Claudia Gerini). La protagonista di questo film ha perso completamente il contatto con la realtà, vive chiusa in casa davanti a uno schermo. Una condizione che ricorda molto quella che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, quelli legati alla pandemia. Come ti sei preparata per questo ruolo? Aver avuto contatto diretto con il lockdown, ti ha aiutata a capire meglio lo stato d’animo di Emma?
Mi ha aiutato, di certo, per comprendere la situazione di Emma. Chiara ha la sua famiglia, una figlia e non ha fantasmi con il suo passato se non quello di sua sorella Emma, l’unico insoluto della sua vita. La protagonista, invece, è il personaggio nel quale ci possiamo tutti un po’ rispecchiare, se pensiamo al lockdown, a questo senso di claustrofobia dato dall’essere rinchiusa tra le mura di casa. I rapporti, nel suo caso, si riducono allo schermo di un tapirulan. Il film fa percepire molto quest’atmosfera e trae ispirazione sicuramente da quello che abbiamo vissuto durante la quarantena. Chiara è l’elemento che rimette tutto in discussione, che crea un cortocircuito, che riporta a galla qualcosa del passato che per Emma risulta drammatico, anche se Chiara non conosce i motivi che l’hanno allontanata da sua sorella. Arriva dicendo: “Nostro padre è malato”, facendo andare in tilt il suo delicato equilibrio Chiara ha avuto la difficoltà di dover interagire con sua sorella solo attraverso lo schermo del computer e, quindi, questa è una cosa che ci è molto vicina. È come ridurre tutto a qualcosa si assolutamente piatto.

Tapirulan è la prima prova da regista di Claudia Gerini. Com’è stato lavorare con lei?
Lei è una donna fantastica. Mi sono trovata meravigliosamente, è dolcissima, ha avuto molta cura per tutti. Era la sua opera prima, quindi ci teneva particolarmente: questo film è stato come un figlio per lei. Da attrice, sapeva perfettamente come far funzionare i suoi attori. Quando lavori con un regista che fa il tuo stesso mestiere, viene tutto più semplice. È stata molto empatica, soprattutto perché il film è stato difficile da girare, perché veniva a mancare la relazione diretta con la telecamera. Dovevamo immaginare un volto, una reazione, un’espressione che poi non erano neanche quelle che avrebbero montato nel film. È stato particolare, una bella sfida attoriale.

Sei un’attrice capace di recitare tanto col volto, con l’espressione degli occhi. Come ha funzionato questa tua abilità in una produzione straniera come quella di Klem, apparentemente molto diversa da quelle italiane?
Mi sono divertita moltissima e devo dire, finalmente: mi hanno fatto fare la cattiva, il ruolo dell’antagonista. Il prodotto è molto bello, ho visto tutta la serie e sono rimasta molto colpita perché non sapevo cosa aspettarmi. Sono diventata un fan di Klem! Quindi poi, quando mi sono ritrovata sul set, sono stata felicissima. La produzione è stata meravigliosa fin dal primo momento. C’è stata molta cura, nonostante la troupe fosse molto ridotta rispetto a quelle a cui siamo abituati in Italia. La composizione dell’immagine è molto diversa, raffinata, armonica. C’è una preparazione maniacale delle scene, ma c’è stata libertà perché la macchina da presa si è adeguata a noi attori. Io interpreto Isabella Garboni che è una stilista, che ha una sua linea di abiti, che si vede sottratta un’importante parte della sua eredità. Parte tutto da qui ed è un continuo sfidarsi. È un drama, certo, ma con aspetti tragicomici. È stato un ruolo importante, molto stimolante come attrice e come spettatrice: finalmente una donna che patteggia a muso duro con dei mezzi criminali per ottenere quello che vuole.

Fonte: Ufficio Stampa/Riccardo Riande
Claudia Vismara – Ph: Riccardo Riande

Le tue donne sono tutte molto combattive, anche Monica Porta di Nero a Metà. Come hai lavorato su di lei?
Lei è una psicologa, quindi mi sono lasciata ispirare dai miei interessi giovanili. Ero molto interessata alla psicologia: se non avessi fatto l’attrice avrei intrapreso questa strada. Volevo fare la criminologa. È qualcosa che mi appartiene: la psicologia, i drammi umani. Ho attinto a quelle suggestioni. Mi è venuto quindi naturale avere un atteggiamento più pacato, più riflessivo, più empatico, più in ascolto. Monica me la sono immaginata così.

Quindi volevi fare l’attrice o la psicologa?
No, dentro di me c’è sempre stata la recitazione. Fare l’attrice è stata la strada che ho scelto. Nonostante sia molto affascinata da quel mondo: sarebbe stato il mio piano B.

Qual è, invece, il film (o serie) che rifaresti ancora?
Il progetto di cui vado più fiera è Rocco Schiavone. Se dovessi ricominciare da qualcosa, ripartirei da lì. È quello che mi è piaciuto di più anche da spettatrice. Nel mio cuore, però, c’è anche Elsa de Il Paradiso delle Signore: era un personaggio molto ben costruito, scritto perfettamente. Un’ironia che mi faceva impazzire: era molto diversa da me. Non avrei mai il coraggio di essere così, davvero stupenda.

Esiste, infine, un personaggio che vorresti interpretare in futuro?
Tanti ma finisco sempre per fare la donna forte: potrei fare l’avvocato, il PM, l’architetto. Mi piacerebbe invece esplorare altre corde, quelle più fragili, che escono nei miei personaggi ma che non ho sperimentato in pieno. Sono plasmabile: mi diverte cambiare, mi piacerebbe fare la cattiva. Vorrei indagare di più quest’aspetto, ma sono sempre il personaggio che non crolla mai perché dipende da come mi presento. La prima prima antagonista è stata Isabella Garboni in Klem.

Fonte: Ufficio Stampa/Riccardo Riande
Claudia Vismara – Ph: Riccardo Riande

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