“Io sono una donna libera”, la storia di Françoise Giroud

Essere libera vuol dire rischiare tutto e accettare di perdere. Questa è la grande eredità che ci ha lasciato Françoise Giroud

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Non c’è un’unica strada da percorrere verso la libertà, del resto questo concetto così effimero e sempiterno non conosce regole, se non quelle della persona che le detta.

Françoise Giroud conosceva bene il valore della libertà, lei che per tutta la sua vita aveva scelto di fare ciò che desiderava e di essere esattamente chi voleva. Sosteneva che non esistevano persone migliori o peggiori, ma semplicemente differenti e quella diversità lei non la disprezzava di certo.

E non ha odiato, né combattuto neanche l’uomo che le ha spezzato il cuore, lo stesso che gli ha portato via tutto. Quella era la sua libertà. Il suo pensiero è, invece, la nostra eredità.

Io sono una donna libera. Sono stata, e dunque posso essere, una donna felice… Esiste qualcosa di più raro al mondo?

Françoise Giroud

Per conoscere bene la storia della giornalista Françoise Giroud, nulla c’è di più completo, autentico e sinceramente reale del suo testo autobiografico Storia di una donna libera.

Nata a Losanna il 21 settembre 1916, da padre iracheno e madre greca, Françoise trascorse la sua vita dedicandola al giornalismo e alla scrittura. Quella biografia, oggi diventata una sorta di memoriale sul fallimento personale, è stata scritta nell’estate del 1960 nella casa al mare di amici vicino a Marsiglia. Parla di felicità, Françoise, nonostante abbia vissuto sulla propria pelle “La separazione intollerabile” dall’uomo della sua vita. E parla ancora di libertà, anche se si è ritrovata a dover lasciare il settimanale L’Express, lo stesso che lei aveva fondato e gestito con amore e passione. E lo ha fatto perché per lei, essere libera voleva dire anche accettare di perdere.

Françoise Giroud è stata, e sempre sarà ricordata, come una donna di scrittura, considerata tra le personalità più autorevoli del giornalismo d’oltralpe. Dagli esordi su Elle negli anni ’40, fino alla fondazione di L’Express, il primo settimanale francese di attualità e politica. La giornalista è stata anche sottosegretario della Condizione femminile nel 1974 durante la presidenza Giscard d’Estaing, e ministro della Cultura nel 1976.

Ma è a L’Express che la donna ha dedicato tutta la sua vita e non perché quello fosse il baluardo di una carriera professionale di spicco, quanto più per il fatto che quel traguardo era stato raggiunto insieme al suo collega e fidanzato, Jean-Jacques Servan-Schreiber, il grande amore della sua vita.

Ma quella vita perfetta, fatta di soddisfazioni personali e professionali si è sgretolata come sabbia tra le dita. Nel 1960, Jean-Jacques la lasciò per sposare una donna più giovane con la quale costruì una famiglia, mentre lei dopo un aborto non era più riuscita ad avere figli. Nello stesso anno, Françoise si vide costretta a lasciare la direzione del suo giornale perché non era più in grado di lavorare al fianco dell’uomo che l’aveva abbandonata.

Una donna libera

Nel momento della sua massima fioritura e affermazione professionale, Françoise Giroud perse tutto, ma non la sua libertà. Così lo stesso anno tentò il suicidio, un gesto ultimo e radicale, ma libero.

Della mia libertà conoscevo il limite. L’ho toccato il giorno in cui ho deciso di spezzare la mia vita per uscire dalla prigione dentro la quale io stessa mi ero rinchiusa, perché non riuscivo a trovare un altro modo per venirne fuori. Stranamente, a dispetto della buona organizzazione, ho fallito. Scegliere la propria morte, l’ora e la forma della propria morte, è un’espressione purissima di libertà. Forse la più pura in assoluto. E mi è stata impedita.

Salvata contro la sua volontà, Françoise è stata costretta a vivere e per farlo si affidò alla scrittura, questa volta però come forma di cura. È in quello stesso anno che iniziò a scrivere Storia di una donna libera, un testo conservato all’interno di scatoloni, tra vecchie scartoffie, ritrovato e pubblicato dopo la morte della giornalista con la volontà di far conoscere al mondo la sua storia.

E non quella parte della sua vita che riguardava i fatti politici e le vicende che l’hanno coinvolta personalmente, quanto più per conoscere l’essenza e la resilienza di una donna forte che ha saputo guardare in faccia il suo fallimento.

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