Dolcificanti: cosa si intende quanti tipi ci sono

I dolcificanti sono sostanze usate per addolcire cibi e bevande. In virtù del basso valore calorico il loro consumo è molto diffuso

Pubblicato: 17 Luglio 2023 10:46Aggiornato: 17 Luglio 2023 15:13

Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Cosa si intende per dolcificante

I dolcificanti sono piuttosto popolari come sostituti dello zucchero e sono in grado di produrre un sapore altrettanto dolce, se non in alcuni casi addirittura più forte. Mentre le papille gustative sperimentano questa percezione il valore calorico dei dolcificanti è pari pressoché a zero. Sono stati introdotti nel mercato con l’idea che potessero contribuire al controllo del peso corporeo. Proprio in virtù di questo loro potenziale effetto, il loro impiego viene suggerito ai soggetti in sovrappeso, a coloro che hanno avuto una diagnosi di obesità, ai soggetti diabetici, ai cardiopatici. Attualmente sono presenti sul mercato diverse tipologie di sostituti degli zuccheri. Il ventaglio di scelte va da quelli artificiali a quelli completamente naturali (vedi a tal proposito la stevia). L’apporto calorico può essere pari a zero. In altri casi le calorie sono talmente poche da non avere alcun impatto sulla bilancia energetica.

Quanti tipi ci sono?

In generale i sostituti degli zuccheri vengono divisi in due categorie:

Dolcificanti artificiali

Si tratta di dolcificanti che sono stati messi a punto in laboratorio e che non erano già presenti in natura. Negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono cinque dolcificanti presenti sul mercato dopo l’autorizzazione della FDA (Food and Drug Administration). Si tratta di:

Dolcificanti naturali

I dolcificanti naturali sono sostituti dello zucchero che possono essere estratti dal mondo vegetale. Un esempio di questo tipo di dolcificanti è la stevia. Tra i dolcificanti naturali vanno citati anche i polioli. Si tratta di carboidrati in forma ridotta. Ad esempio, il mannitolo è la forma ridotta del mannosio. I polioli si trovano naturalmente in alcuni frutti e nei vegetali. Tra quelli impiegati come dolcificanti ricordiamo;

Hanno la caratteristica di apportare meno calorie rispetto allo zucchero ma il potere dolcificante è spesso inferiore. Per queste loro caratteristiche vengono consigliati a chi è prono a sviluppare carie dentali o ai soggetti diabetici. Vengono ampiamente utilizzati dall’industria alimentare per la loro azione come bulking agent o agenti di carica. Con questa espressione ci si riferisce a quelle sostanze che contribuiscono ad aumentare il volume di un prodotto alimentare senza contribuire in modo significativo al suo valore energetico.

Gli aspetti controversi

La risposta dell’organismo e del nostro sistema nervoso centrale all’assunzione dei dolcificanti è piuttosto complessa. La percezione del sapore dolce è mediata da specifici recettori (type 1 taste receptor 2 o T1R2 e type 1 taste receptor 3 o T1R3). Questi recettori si trovano a livello delle papille gustative e sono in grado di inviare informazioni al cervello.

Negli Stati Uniti la diffusione delle bevande a calorie zero non è stata seguita da una diminuita incidenza delle condizioni di sovrappeso e di obesità. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è nella tendenza a rimpiazzare le calorie risparmiate grazie all’utilizzo dei dolcificanti. Chi fa un ampio uso di dolcificanti può, infatti, sperimentare una forte attrazione per alimenti ad alta densità calorica (junk food, cibi particolarmente grassi, carboidrati complessi). Il risultato è quello di trovarsi comunque in una situazione di eccesso calorico.

Un altro effetto non auspicabile dell’uso frequente dei dolcificanti è quello di abituare le papille gustative a un’alta intensità del sapore dolce tanto da indurre un atteggiamento di continua ricerca per gli alimenti in grado di evocare questo sapore. Si tratta di alimenti ad alta concentrazione di calorie e caratterizzati dal basso valore nutrizionale. Questo condizionamento produce un effetto paradosso: il consumo abituale di dolcificanti, a dispetto del basso valore calorico, porta ad un aumento del peso corporeo.

Dolcificanti e microbiota intestinale

La ricerca scientifica da qualche anno tende a guardare ogni cosa sotto la lente di ingrandimento del microbiota intestinale. Se è vero come diceva Feuerbach che siamo ciò che mangiamo, è ancora più vero che siamo ciò che i nostri batteri mangiano. Uno studio da poco pubblicato ha indagato sugli effetti dei più comuni dolcificanti in uso (saccarina, sucralosio e aspartame) su un modello di microbiota (Echerichia coli NCTC10418 e Enterococcus faecalis ATCC19433) messo in contatto con un epitelio intestinale. Si tratta di uno studio in vitro. Il modello di microbiota intestinale è stato esposto a tre diverse concentrazioni di saccarina, sucralosio e aspartame ed è stata testata la patogenicità dei batteri e la loro capacità di penetrare all’interno delle cellule epiteliali. I risultati dello studio dimostrano che, quando esposti ai dolcificanti, i batteri patogeni aumentano la loro capacità di organizzarsi in biofilm (cosa che gli conferisce resistenza agli antibiotici), di aderire alla mucosa fino a penetrare all’interno delle cellule e ad ucciderle. Si potrebbe ipotizzare che i dolcificanti contribuiscano alla comparsa della sindrome dell’intestino permeabile (Leaky Gut Syndrome) e della conseguente infiammazione sistemica di basso grado. Riportando tutto sul piano pratico, poiché come diceva Paracelso è la dose che fa il veleno, una bibita zero ogni tanto non è un problema ma se consumata tutti i giorni potrebbe esserlo.

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