Miguel Bosé, una vita a camminare sul filo, sospeso a 100 metri dall’asfalto

Miguel Bosé, meraviglioso idolo dei nostri anni ’80, bravo ragazzo che ha cambiato mille volte pelle per restare in piedi

Pubblicato: 3 Novembre 2022 15:18

Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Estate 1982, quella dei Mondiali. Avevo 8 anni, ero in vacanza in Sicilia e mentre il mondo stava col fiato sospeso di fronte a Italia-Germania, alle incredibili acrobazie calcistiche dei nostri Azzurri, io passavo le mie serate davanti al juke-box a spendere tutte le mie monetine per ascoltare questo meraviglioso 20enne biondo che cantava di “Bravi ragazzi a spasso in un mondo che si dà via, a più di cento metri dall’asfalto”.

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Miguel Bosé negli anni ’80

Non lo sapevo ancora, e lo avrei scoperto proprio quell’estate, lui si chiamava Miguel Bosé e quella canzone, era il suo manifesto generazionale, il suo grido di ribellione. Figlio d’arte, cresciuto nel jet set spagnolo (amici di famiglia, il pittore Pablo Picasso, Salvador Dalì e lo scrittore Ernest Hemingway), unico maschio che avrebbe dovuto essere forte come il padre, il torero Luis Miguel Dominguín e talentuoso e bello come la madre, l’attrice Lucia Bosè, diventato idolo delle adolescenti di allora con un paio di canzoni pop, una su tutte Super Superman e che in questo brano raccontava già tutto il suo disagio, cantava di bravi ragazzi per i quali  “Restare in piedi è quasi una magia, tra tanti imbrogli, tanta ipocrisia. Andiamo avanti senza mai guardare giù, tanto tornare indietro non si può più. Camminiamo allo sbando in un mondo, che sta quasi per toccare il fondo..”.

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Miguel Bosé

Da quel giorno Miguel Bosè è diventato uno dei miei idoli, bellissimo e inarrivabile, e mi sono sentita quasi tradita quando all’apice del successo commerciale musicale, negli anni ’80, è sparito dall’Italia, ha cominciato a fare altro, in altri paesi, a inseguire nuovi sogni, a vestire pelli diverse.

In fondo tutta la vita di Miguel è stata un camminare sul filo, nel cielo, sospeso nel tempo, poeta del ’56, in crisi da un’eternità, un bravo ragazzo che si sentiva a pezzi. Sperimentare, cambiare, perché il suo futuro era sempre “qualche metro più in là”.

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Miguel Bosé e sua mamma Lucia

Ha fatto dischi in inglese, in spagnolo, addirittura in francese, recitato per Almodovar in Tacchi a spillo  (Magnifica la sua celebre la sua interpretazione da travestito  di Un anno d’amore di Mina), raccontato in teatro San Sebastiano (“Per la volontà di essere ancora di più, quella che aveva San Sebastiano” diceva di sé) duettato con Shakira e Laura Pausini, scritto un’autobiografia in cui racconta l’inferno della sua infanzia non certo dorata e fatto 4 figli con il compagno, concepiti tramite madre surrogata e tornato in Italia per fare il direttore artistico di Amici. Brizzolato, imbolsito, anche se sempre incredibilmente ironico e sexy.

Oggi che esce la serie sulla sua vita, noi bambine degli anni ’80 non vediamo l’ora di vederla, ripercorrere la sua vita fatta di mille acrobazie. Anche se per me resterà sempre quella divinità bionda che nel 1984 “andava avanti senza mai guardare giù, perché tornare indietro non si poteva più”.

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