Gli esperti le chiamano zoonosi. Sono le patologie che possono interessare l’uomo, causate da virus o batteri che in qualche modo vengono trasmesse da animali, con ceppi che progressivamente si “umanizzano” fino a causare malattie nell’essere umano.
Il virus Sars-CoV-2, in questo senso, può essere un esempio anche se non è ancora del tutto definita la “catena” che avrebbe portato il ceppo a diventare patogeno per l’uomo. Di certo si sa che sempre più dovremo fare attenzione all’ambiente che ci circonda, anche per preservare la nostra salute futura.
Gli esempi si sprecano
Non pensate che il cambiamento ambientale non si riverberi anche nei paesi industrializzati. E di molte malattie, purtroppo, non sappiamo abbastanza. Basta pensare in questo senso al caso del West Nile Virus, responsabile di una sindrome denominata appunto febbre del Nilo, caratterizzata da febbre, cefalea, malessere generale, dolori muscolari, perdita dell’appetito. In circa la metà dei casi compare un eritema maculopapulare e circa l’1% degli infettati può sviluppare meningite e/o encefalite anche gravi.
Negli USA, poi, si fanno i conti con il Monkey-pox causata dall’analogo virus. Questa patologia è comparsa per la prima volta nel mondo occidentale, ed è un’infezione delle scimmie che può attaccare anche i roditori, come scoiattoli e topi. L’epicentro dell’ infezione è però lontano, in alcune aree dell’Africa dove il primo caso umano è stato identificato nel 1970. Sono solo esempi di come i virus possano passare dagli animali all’uomo, perché cambiano e sono capaci di superare la barriera di specie.
Proprio il salto di specie, conseguenza naturale dell’aumento dei contatti tra esseri umani, sarebbe all’origine di vere e proprie “trasformazioni”. Lo dice la storia. Gli abitanti del nuovo continente, che non avevano animali domestici ad eccezione dei cani e non “conoscevano” le infezioni sviluppatesi in Europa, furono letteralmente decimati dai nuovi virus del vecchio continente.
E le epidemie portate dai primi esploratori, come il vaiolo, il morbillo e la difterite, furono fatali alle popolazioni locali, come gli Inca e gli Aztechi del Messico e del Perù. Tanto che su quasi il novanta per cento degli abitanti dell’America centro-settentrionale morì nel primo secolo dopo le invasioni, in gran parte per le “nuove” malattie infettive trasmesse da animali.
Attenzione alla salute “circolare”
Eppure gli italiani sembrano non saperne ancora abbastanza in fatto di zoonosi. A fare il punto su questi temi sono i risultati di un sondaggio condotto da SWG e presentato nel corso di un webinar promosso da Federchimica AISA, Associazione Nazionale Imprese Salute Animale, cui ha preso parte Ilaria Capua, Direttore centro di eccellenza One Health dell’Università della Florida. Covid-19, pur se le cause non sono del tutto chiare, dimostra come la crescente simbiosi tra uomo e animali sia stata uno dei fattori scatenanti. Ma otto italiani su dieci non hanno mai sentito il termine zoonosi e il 56% ammette di non saperne dare definizione.
È fondamentale, invece, occorre pensare in termini di “One Health”, considerando la salute umana insieme a quella degli animali e dell’ambiente, come spiega la stessa Capua: “il concetto di One Health è in espansione sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto riguarda le nuove metodologie e l’approccio. Per tradurlo concretamente bisogna che se ne approprino sia le persone sia le istituzioni. È necessario che diventi un concetto dinamico nel quale i singoli attori possano recuperare centralità di azione e diventare protagonisti, non comparse. Questo è il fondamento di salute circolare”.
Su questo gli italiani sono d’accordo: per l’85% delle persone la salute umana, la salute animale e quella dell’ecosistema sono interconnesse e oltre il 60% degli italiani dichiara che per tutelare la salute dell’uomo sia fondamentale assicurarsi che in buona salute sia anche l’ambiente che ci circonda