Rettocele: cos’è, sintomi, come curarlo

Il rettocele è una condizione in cui la parete del retto sporge attraverso la parete vaginale posteriore, causando difficoltà nella defecazione e altri sintomi associati a disfunzioni del pavimento pelvico

Pubblicato: 15 Aprile 2024 10:23

Carlotta Dell'Anna Misurale

Medico

Laureata in Medicina, appassionata di neurologia. Vanta esperienze in ricerca, con focus sui misteri del cervello e l'avanzamento scientifico.

Il “rettocele” è una condizione che si verifica quando la parete anteriore dell’ultimo segmento intestinale, il retto, ernia nella parete posteriore della vagina. Questo fenomeno è il risultato di un indebolimento o danneggiamento dei muscoli del pavimento pelvico.

Il pavimento pelvico è una complessa rete di muscoli, legamenti e tessuti connettivi localizzata nella parte bassa dell’addome, nell’area pelvica. Questa fondamentale struttura sostiene e mantiene in posizione appropriata organi vitali come l’uretra, la vescica, l’intestino retto e, nelle donne, l’utero. Qualora il pavimento pelvico perda la sua integrità strutturale, non può più fornire il supporto necessario, provocando problematiche sia fisiche che, potenzialmente, psicologiche.

Il rettocele può insorgere in donne di ogni età, tuttavia studi epidemiologici indicano che le donne tra i 40 e i 60 anni sono più suscettibili, specialmente dopo il parto o in conseguenza della menopausa.

La classificazione del rettocele si basa sul grado di gravità:

Quali sono le cause e i fattori di rischio del rettocele?

Come anticipato, il rettocele è una patologia causata principalmente dell’indebolimento del pavimento pelvico, ma questo indebolimento a cosa è dovuto?

Per quanto riguarda le donne di giovane età, il rettocele può essere scatenato da un parto accompagnato da varie complicanze: un travaglio molto lungo, l’uso del forcipe, ampie episiotomie (che consiste nell’incisione chirurgica del perineo), difficoltà nell’espulsione del feto specie quando questo è di grandi dimensioni.

Tra le cause non correlate al parto, che possono colpire ogni donna indipendentemente dall’età, si riscontra la stipsi cronica e la conseguente difficoltà nell’espulsione delle feci, l’obesità, ed una pregressa isterectomia.

Tutti questi fattori contribuiscono, per diverse ragioni, ad un progressivo indebolimento della pelvi, i cui muscoli, legamenti e tessuto connettivo vengono lesionati e rendono possibile prolasso del retto verso il canale vaginale.

Considerato ciò, si può arrivare ad affermare che i fattori di rischio del rettocele sono:

I sintomi del rettocele

Quando il rettocele è di lieve intensità, quando cioè solo una piccola porzione di retto invade lo spazio vaginale, la patologia è, solitamente, asintomatica: non insorgono problematiche o segni evidenti che portino la paziente a sospettare la presenza di rettocele.

Quando il rettocele si presenta moderato o grave, quando cioè una parte consistente dell’intestino retto invade lo spazio vaginale, la paziente in genere lamenterà una sensazione di ingombro a livello vaginale e, all’esame obiettivo, sarà rilevabile una sporgenza, più o meno evidente, del retto dall’apertura vaginale. La paziente può lamentare anche difficoltà nella defecazione e sensazione di intestino ostruito, sensazione di pressione a livello del retto, dolore durante i rapporti sessuali o sanguinamento vaginale.

Diagnosticare il rettocele

Questo tipo di sintomatologia, tanto intima e delicata, può ritardare una comunicazione con lo specialista che, al contrario, dovrebbe essere tempestiva. La paziente deve sentirsi libera di comunicargli con chiarezza e trasparenza i propri sintomi e le proprie difficoltà per evitare che la condizione, trascurata, peggiori. Molte donne tendono a trascurare la patologia, ricorrendo a “cure fai da te” come l’uso smodato di lassativi o clisteri per favorire l’evacuazione difficoltosa o l’evacuazione manuale.

Questo comportamento deve essere evitato attraverso un’attenta campagna di sensibilizzazione e di supporto alla paziente, la quale deve potersi fidare del proprio professionista di riferimento.

La diagnosi di rettocele è possibile grazie all’esplorazione rettale, vaginale e all’esame pelvico: lo specialista misurerà l’entità del prolasso per analizzarne la gravità. Questo però non è sufficiente, sarà necessaria l’esecuzione di un esame specialistico – la defecografia – per indagare l’eventuale presenza di altre patologie connesse a livello di vescica, vagina e piccolo intestino. Un altro esame spesso richiesto in caso di rettocele e la RM-defecografia. Grazie ai dati restituiti dall’osservazione obiettiva e dagli esami specialistici, sarà possibile formulare una diagnosi appropriata e, di conseguenza, fornire alla paziente il corretto percorso terapeutico.

La terapia più adeguata del rettocele

La terapia adeguata a trattare il rettocele viene formulata in base alla gravità con cui si presenta la patologia e all’eventuale concomitanza di altre condizioni mediche che interessano organi circostanti, come il cistocele o il prolasso uterino.

Il rettocele di lieve entità – come accennato – è spesso asintomatico e la paziente scopre la sua presenza in seguito ad esami eseguiti per altri motivi. Nonostante ciò, anche se di lieve entità, sarà comunque necessario che il ginecologo proponga alla paziente alcune “contromisure”, necessarie per evitare che la situazione clinica si aggravi: gli esercizi di Kegel per il rafforzamento del tono dei muscoli pelvici e il dimagrimento nel caso di obesità o sovrappeso. In alcuni casi, se la terapia viene seguita in maniera continua e scrupolosa, il problema può risolversi senza la necessità di un ulteriore intervento chirurgico o farmacologico.

Il rettocele di media e grave entità si presenta, invece, con un importante corredo sintomatologico. Per evitare il trattamento chirurgico, il curante può proporre due differenti terapie: l’utilizzo del pessario e la terapia ormonale a base di estrogeni.

Con la terapia ormonale a base di estrogeni si contrasta il fisiologico indebolimento dei muscoli pelvici a seguito della riduzione dello stimolo estrogenico prodotto dalla menopausa: i muscoli del pavimento pelvico recupereranno parte del tono perduto, riducendo il prolasso del retto in vagina.

Il pessario è un anello di gomma o di plastica semi-rigida che – una volta inserito orizzontalmente in vagina – serve a bloccare fisicamente il prolasso attraverso i muscoli pelvici.

Queste terapie, però, sono temporanee e vi si può ricorrere per un periodo di tempo limitato in attesa del raggiungimento delle condizioni fisiche ideali che consentano alla paziente di sottoporsi ad un intervento chirurgico.

L’intervento chirurgico per risolvere il rettocele eliminerà definitivamente il problema, riducendo la sintomatologia sia a livello vaginale, sia a livello intestinale. La procedura chirurgica finalizzata alla correzione del rettocele si concentra sull’eliminazione dell’erniazione del retto nella vagina.

Attraverso un accesso chirurgico, spesso vaginale, il chirurgo rimuove il tessuto in eccesso e rafforza il pavimento pelvico con sutura o impiego di mesh biocompatibili, qualora necessario. La correzione anatomica mira a ristabilire la funzionalità e l’integrità del supporto pelvico. Successivamente, il retto viene riposizionato nella sua sede naturale e fissato in modo da minimizzare il rischio di recidiva. Questo intervento mira a mitigare i sintomi associati al rettocele, tra cui disagio vaginale e disturbi intestinali, con lo scopo di migliorare significativamente la qualità di vita della paziente. Si presta particolare attenzione alla prevenzione di possibili complicazioni, assicurando così un esito a lungo termine favorevole.

Rettocele: come prevenirlo

Non vi è un “metodo” universale per la prevenzione del rettocele. I ginecologi raccomandano di effettuare visite di controllo annuali e – se le condizioni anagrafiche o biologiche fossero sfavorevoli – di praticare costantemente gli esercizi di Kegel, prevenire la stitichezza cronica, evitare di sollevare pesi in maniera errata, curare l’eventuale presenza di tosse cronica e mantenere il proprio peso forma.

Fonti bibliografiche:

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