Il cuore della donna è diverso da quello maschile. E se è vero che in età giovanile normalmente esiste la protezione degli ormoni tipici della vita fertile quando si è giovani, è altrettanto innegabile che col passare del tempo l’infarto tende a manifestarsi sempre di più nel sesso femminile. E non è certo l’unica lesione cui fare attenzione. Lo ricorda il documento The Lancet Women and Cardiovascular Disease Commission, che pone l’obiettivo di ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile a livello globale entro il 2030, partendo dal fatto che a tutt’oggi ne rappresentano la prima causa di mortalità.
Infatti, nonostante queste osservazioni, le donne continuano ad essere meno studiate, meno rappresentate nei principali studi clinici, sotto diagnosticate, sotto trattate, con conseguente aumento di complicazioni e di mortalità. A ricordarlo sono gli esperti presenti al congresso di ARCA (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali), che ha anche messo in luce come esistano specifiche condizioni femminili che vanno tenute presenti, per “puntare” il mirino della prevenzione e della diagnosi su chi presenta queste situazioni che possono aumentare il rischio. Come ricorda Giovanni Battista Zito, Presidente di ARCA “è ormai chiaro che uomini e donne non sono uguali in medicina.
Si ammalano in modo diverso, di malattie differenti, non hanno gli stessi sintomi e rispondono in maniera dissimile alle terapie. Riconoscere e valorizzare queste differenze permette di fornire terapie più appropriate allo scopo di garantire a ogni persona la cura migliore, rafforzando il concetto di centralità del paziente e di personalizzazione delle cure.”
Attenzione particolare in questi casi
Le ricerche più recenti mostrano chiaramente come esistano elementi cui prestare particolare attenzione, in termini di possibile rischio. Parlando di elementi di pericolo, ad esempio, il ruolo del fumo di sigaretta nella definizione del rischio cardiovascolare appare diverso nel sesso femminile: per le donne basterebbe infatti fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per essere esposta al medesimo livello di rischio.
Ancora: nelle donne sono più frequenti, parlando in termini generali, le malattie autoimmuni, legate ad una sorta di “errore” del sistema difensivo che si scatena nei confronti di parti dell’organismo, come avviene in caso di artrite reumatoide. Ebbene, queste condizioni inducono uno stato di infiammazione cronica generalizzata che può ripercuotersi anche su cuore e vasi. Ancora: chi entra precocemente in menopausa può presentare un rischio cardiovascolare superiore rispetto a chi invece ha una menopausa tardiva.
La sindrome dell’ovaio policistico può compromettere la salute cardiovascolare delle donne in età giovane tra i 30 e 40 anni, che presentano un rischio più alto (del 19%) rispetto alle coetanee che non hanno disturbi ovarici, essendo più soggette a sovrappeso/obesità, ipertensione, diabete, dislipidemia e sindrome metabolica. Infine, chi ha sofferto gestosi e di ipertensione durante la gravidanza presenta un rischio molto più elevato di far fronte a problemi cardiovascolari, così come accade a chi ha sviluppato diabete nella dolce attesa. Si tratta solo di esempi, che però definiscono l’importanza di una cardiologia su misura per la donna.
Un’indagine spiega la scarsa attenzione al cuore
In occasione del convegno sono stati resi noti i dati di una ricerca (Carin Women) condotta dagli specialisti di ARCA che ha coinvolto quasi 5600 donne in Italia. nel emerge un quadro che deve migliorare. Solo il 15% delle partecipanti ritiene che il rischio cardiovascolare sia maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile, e ben il 27% pensa che il rischio sia inferiore.
Solo il 20% dichiara di riuscire a svolgere regolarmente attività fisica, sebbene la maggior parte riconosca che serva a ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, mentre il 31% l’ha equiparata ai lavori casalinghi. Per quel che concerne la sana alimentazione, molte donne non arrivano alle 5 dosi consigliate ogni giorno di frutta e verdura e in generale solo una su tre dichiara corrette abitudini alimentari (33%), di praticare attività fisica regolare (28%), e di voler abbandonare il fumo (15%).