2 agosto 1980: l’urlo di dolore di Marina Gamberini che non si può dimenticare

Il suo volto, sfigurato dalla sofferenza, compare in quell'immagine che nel tempo si è trasformata nell'istantanea del dolore della strage di Bologna

Pubblicato: 19 Luglio 2021 11:28

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Era un giorno di ordinaria normalità quel 2 agosto del 1980 nella sala d’aspetto della stazione di Bologna Centrale. Faceva caldo. Era estate e forse le meritate vacanze rappresentavano gli unici pensieri di chi, per lavoro o per svago, frequentava la stazione quella mattina.

Quel che è certo è che nessuno poteva immaginare che quel giorno avrebbe cambiato per sempre la vita di tutti i passanti a Bologna, dei loro parenti, degli amici e dell’Italia intera. Perché è stato quello il giorno in cui si è consumato uno degli orrori più grande dell’epoca contemporanea. Una strage contro l’umanità che ha strappato via un pezzetto di cuore dal petto di tutti.

La tavola calda del piazzale Ovest

E non c’erano solo le persone che andavano e venivano dai binari, che salivano sul treno verso mille avventure o lasciavano sulle carrozze i loro sogni straordinari. C’era anche chi ci lavorava in quella stazione, per rendere la permanenza o il passaggio più lieto. C’erano le impiegate della tavola calda del piazzale Ovest, c’era Marina Gamberini.

È lei l’unica impiegata della Cigar a essere sopravvissuta alla strage di Bologna, la stessa che immortalata in una foto è diventata il simbolo dell’orrore. Il suo volto, sfigurato dalla sofferenza, compare in quell’immagine che nel tempo si è trasformata nell’istantanea del dolore della strage di Bologna.

Sono passati più di 40 anni da quel 2 agosto del 1980, ma quella pagina nera della nostra storia è rimasta sempre lì, ferma e immutata per sempre in uno scatto.

La strage di Bologna

Erano le 10.25 – come ricorda anche quell’orologio fermo, diventato uno dei simboli della strage- quando, nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, è esploso un ordigno a tempo. Si trovava in una valigia lasciata in qualche parte della sala, la stessa nella quale 85 persone hanno perso la vita, e più di 200 sono rimaste ferite, sul corpo e nell’anima.

Con la strage di Bologna il nostro Paese ha registrato uno degli attacchi terroristici più atroci e gravi del secondo dopoguerra. I colpevoli sono stati individuati quasi subito e le indagini hanno condotto a una pista neofascista, ma l’iter giudiziario – fatto di numerosi depistaggi – è stato lungo, fin troppo.

Nel 1995, con la sentenza finale, furono condannati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro “come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna” e per aver “fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato” (Wikipedia). Nel 2007, invece, arrivò anche la condanna di Luigi Ciavardini e nel 2020 quella di Gilberto Cavallini.

Una strage senza mandanti

E mentre la gente moriva, fuori e dentro, per l’assenza dei mandanti di quella strage, piazza Maggiore a Bologna diventava la sede delle manifestazioni dei cittadini che criticava gli esponenti del Governo, il simbolo dell’indignazione pubblica.

Gli unici applausi furono rivolti a lui, all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini che giunto con un elicottero a Bologna alle 17:30 del giorno della strage, in lacrime affermò di fronte ai giornalisti: “Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia” (Wikipedia).

Ci sono voluti tanti anni, forse troppi, per avere totalmente giustizia. La strage del 2 agosto, infatti, è tornata in aula solo nell’aprile del 2021 con un processo nei confronti dei presunti mandanti dell’attentato. Perché sapere chi la ordinò e la finanziò è un diritto, per le vite che si sono consumate inaspettatamente e per il Paese intero.

Una magra consolazione, questa, visto il tempo trascorso, per le persone che la strage l’hanno vissuta in prima persona, per chi ha perso la vita, chi le persone care, e chi se stesso.

Marina Gamberini e l’immagine simbolo della strage

Tra la persone che avevano perso tanto, o forse tutto, anche Marina Gamberini, la ragazza della Cigar sopravvissuta, quella apparsa nella foto simbolo dell’orrore. Quello scatto racconta tutto di quell’attento, le grida, il dolore e la sofferenza.

Un immagine che non solo rappresenta l’epilogo dell’attentato, ma anche l’inizio di un travaglio che sarebbe durato anni. Sul corpo, per le cicatrici dovute all’esplosione e sull’anima per il dolore di aver perso le sue colleghe e per i sensi di colpa per essere l’unica sopravvissuta.

“Ricordo esattamente il momento in cui fu scattata quella foto. Ero stata sotto le macerie per più di due ore e i soccorritori mi avevano appena tirata fuori. In quell’urlo e in quegli occhi c’è tutto: la mia voglia di gridare che ero ancora viva, ma anche la disperazione, il terrore e l’incredulità per un orrore troppo grande”. Ha confessato Marina Gamberini al Resto del Carlino in un’intervista rilasciata dopo anni dalla strage.

E quella foto la ricordiamo anche noi, ieri e oggi. C’è Marina, trasportata via dal luogo dell’attentato in barella dopo che i soccorritori hanno salvato il suo corpo schiacciato dalle travi, gli stessi che ha incontrato e abbracciato anni dopo. Perché a loro che deve la sua vita.

Fonte: Ansa
Marina Gamberini, strage di Bologna

E se noi abbiamo il diritto e il dovere di riguardare quell’istantanea per non dimenticare, per Marina ci è voluto molto tempo per fare pace con quell’immagine, perché rappresentava tutto quello che aveva perso. “Ho odiato quell’immagine con tutta me stessa, ho impiegato anni per abituarmi al fatto che circolasse e anche adesso, ogni volta che la vedo, mi sembra di tornare a quel giorno” (Il Resto del Carlino).

E in quel giorno, da sopravvissuta, Marina aveva perso tutto. E ha dovuto combattere anche con i sensi di colpa, come ha dichiarato in diverse interviste, perché sono suoi l’onere e l’onore di essersi salvata, mentre Katia, Mirella Euridia, Nilla, Franca e Rita (le sue colleghe della Cigar), morivano.

Aveva solo vent’anni Marina Gamberini quando quella bomba ha distrutto l’anima della città di Bologna, la vita delle persone e il mondo di una giovane ragazza che aveva ancora tutta la vita davanti a sé. Ma è per tutte le persone che non ce l’hanno fatta che Marina ha scelto di vivere e non di sopravvivere.

Ma non ha dimenticato e mai lo farà. È diventata la voce dell’associazione 2 Agosto, un’oganizzazione che sostiene e combatte per i familiari delle vittime della strage che vede Paolo Bolognesi alla presidenza. E ha combattuto in prima linea affinché i silenzi smettessero di essere tali, per far sì che la verità, tutta, venisse a galla.

Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte,
per la mia commozione
c’è un ragazzo al finestrino,
gli occhi verdi che sembrano di vetro
corri e ferma quel treno
fallo tornare indietro.
(Balla balla ballerino, Lucio Dalla)

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963