C’erano una volta i desaparecidos, un sopravvissuto e le torture del Garage Olimpo

Marco Bechis subirà le torture più atroci, quelle fisiche, che hanno lasciato i segni sulla sua pelle, e quelle dell'anima, che non spariranno mai più

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Redazione

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Sentivo di essere perduto…ero entrato in una prigione mentale dalla quale era ancora più difficile scappare. Lo psichiatra mi aveva chiesto: Le tue emozioni le tieni da qualche parte, dove? Non emergono.

Questo è solo un piccolo frammento di quella Solitudine del Sovversivo raccontata da Marco Bechis. Una storia che nasce dalle ferite sanguinanti di una memoria che non si può cancellare, la sua. Quella che tanti anni prima era apparsa in quella pellicola concreta, dura e reale, dal nome Garage Olimpo, la stessa che forse qualcuno ha pensato, o meglio sperato, potesse essere solo finzione cinematografica. E invece si trattava del racconto di un centro di tortura, quello dove ha vissuto Marco. E mentre i genitori e i figli dei desaparecidos indossavano i panni degli attori, uno dei più grandi drammi della storia, veniva messo in scena.

Chi è Marco Bechis

Nato da madre cilena e padre italiano, Marco Bechis nasce a Santiago del Cile e cresce in Argentina. Da quarant’anni, però, vive in Italia. Nel 2021 pubblica ha pubblicato il suo libro La solitudine del sovversivo. Lo ha scritto però in italiano, non solo perché è questo il Paese dove la sua vita è ricominciata, ma anche per prendere le distanze, forse, da quella terribile prigionia e dalle torture subite al Club Atletico di Buenos Aires.

Fonte: Ansa
Il regista italo-cileno Marco Bechis

Lui che ha vissuto sulla sua pelle l’Argentina della dittatura militare, sempre lui, uno dei pochi desaparacidos a uscire vivi da quel carcere clandestino per i prigionieri politici gestito dai generali Videla, Agosti e Massera. Uscirne vivi era impossibile, ma lui ce l’ha fatta fa, con tanto di sensi di colpa con i quali dovrà convivere per tutta la vita. Perché lui è sopravvissuto, mentre gli altri morivano.

Quanto più aumentava il numero delle persone che risultavano scomparse, tanto più aumentava la mia vergogna

Nell’aprile del 1977 Marco Bechis viene sequestrato nella capitale argentina e portato subito in un carcere clandestino, quello che nel film Garage Olimpo assumerà l’omonimo nome. Saranno “solo” quattro i mesi in cui subirà le torture più atroci, quelle fisiche, che hanno lasciato i segni sulla pelle, e quelle dell’anima, che non spariranno mai più.

Espulso dall’Argentina, Marco va a Milano, dove attualmente vive, e poi a New York, Los Angeles e Parigi. Diventerà regista dei film che raccontano la verità di quello che un tempo era il suo Paese: Alambrado, Hijos-Figli e poi Garage Olimpo. In quel film alcuni dettagli non si palesano. Non si vede il pungolo elettrico, quello utilizzato al mattatoio, che viene premuto sulla pelle dei prigionieri nudi legati a un tavolo.

Nel libro invece sì, c’è il pungolo, ci sono le torture fisiche e mentali. Ci sono le urla di gioia dei Mondiali di calcio del 1978 che hanno visto l’Argentina vincere, e che hanno coperto il massacro in atto. Ci sono i sensi di colpa per tanti anni per essere stato “un traditore sopravvissuto”.

Le torture del Garage Olimpo

Il Club Atletico di Buenos Aires è diventato nell’immaginario collettivo il Garage Olimpo. Ma in fondo che importa del nome se le atrocità e le mostruosità commesse al suo interno restano le stesse? Non sapevano dove si trovavano, né tanto meno quale sarebbe stato il loro destino, Marco e tutti quelli che entravano lì.

Gli altri però lo sapevano che non sarebbero più tornati, così avevano coniato per loro il termine desaparecidos – letteralmente scomparsi – perché di loro si perdevano le tracce, perché loro non tornavano più. Il perché ora lo sappiamo noi: torturati e infine assassinati segretamente, i corpi dei desaparecidos venivano accantonati in fosse comuni o gettati nell’Oceano Atlantico con i cosiddetti voli della morte.

Anche Marco Bechis era lì. C’era perché negli anni del terrore argentino e degli squadroni della morte aveva scelto di schierarsi a sinistra, anche se in maniera discreta e mai esponenziale. Non aveva scelto di unirsi alla lotta dei Montoneros e, vivendo in una buona famiglia, aveva in programma di proseguire gli studi e diventare un maestro per insegnare nelle comunità indios.

Ma quella dittatura argentina, capeggiata da Jorge Rafael Videla, non era interessata solo al “nemico comunista“. Il suo obiettivo era quello perpetrare un genocidio generazionale per estirpare la radice ideologica di sinistra. E Marco era stato contaminato da quella.

Il 19 aprile del 1977, uscito da scuola, alcuni uomini lo presero. Tra questi Juliàn, l’ultima persona che vedrà in faccia prima di sprofondare nel buio perenne sotto una spessa benda. Nel sotterraneo del Club Atletico, diventa il detenuto A01. E iniziano le torture, scandite solo da voci, suoni e rumori. Trova il coraggio si scostare la benda dagli occhi una sola volta e i frammenti di dolore che vede gli bastano per costruire il set di Garage Olimpo.

Non sa quanto tempo dovrà restare lì, non sa se ne uscirà vivo. Quel “Se ne va dal papà” interrompe i suoi pensieri. Ce l’hanno con lui? Sì, Marco è libero. Lo è perché il padre, Riccardo, è diventato alto manager della Fiat e ha amicizie influenti. Non è il caso di creare scandali o incidenti diplomatici a meno di un anno dai Mondiali di calcio in Argentina: Bechis è libero!

Ma non torna alla sua vita no. Da quello illegale, passa al carcere legale e si rende conto di essere l’unico, o quasi, sopravvissuto. Sarà espulso dall’Argentina e se ne andrà, portando con sé tutto il dolore di quelle torture dell’anima e di quei sensi di colpa per essere ancora vivo.

A Buenos Aires tonerà, 30 anni dopo, quando chiamato dal tribunale argentino dovrà testimoniare contro i militari e gli aguzzini. Proprio lui, uno degli ultimi desaparecidos.

Fonte: Getty Images
Garage Olimpo

Marco e le altre vittime di tortura

La storia di Marco incrocia, inevitabilmente, quella di numerose altre vittime di torture. Di regimi totalitari, di dittature, di eresia e di blasfemia ancora prima con un unico e solo obiettivo, quello di infliggere il maggior dolore possibile. Ma c’è anche la tortura bianca, quell’azione “pulita” volta a non lasciare tracce riscontrabili sulla vittima, una tortura psicologica volta alla completa privazione sensoriale e all’isolamento dell’individuo.

Ed è per tutte le vittime di tortura che il 12 dicembre 1997, con la risoluzione 52/149, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato la Giornata internazionale delle Nazioni Unite a sostegno delle vittime della tortura che cade il 26 giugno.

Una decisione adottata dall’Assemblea proprio in occasione del giorno del 50° Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani per onorare quell’articolo 5, quello che recita che “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura, a trattamenti o a punizioni crudeli, inumani o degradanti”.

L’eliminazione della pratica della tortura nel mondo è stata una delle più grandi sfide delle Nazioni Unite, sin dalla sua costituzione. Ma la missione si è compiuta e nel 1984, l’Assemblea Generale, approvò la Convenzione contro la Tortura, i Trattamenti e le Punizioni Crudeli, Inumani e Degradanti.

Fonte: iStock
Giornata internazionale delle Nazioni Unite a sostegno delle vittime della tortura

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