“Se l’è cercata”, “I suoi abiti erano troppo succinti”, “Ha avuto un atteggiamento provocatorio”, “È una poco di buono”: colpe su colpe che si perdono tra centinaia di parole pronunciate con leggerezza che trovano terreno fertile in quel retaggio culturale che permea gli strati più profondi della società.
Questo è lo scenario brutale, reale e senza fronzoli che delinea la parte peggiore del nostro Paese, e dell’umanità, quella che condanna la vittima di abusi e violenze sessuali. Perché è più facile spostare l’attenzione sul punto di vista del carnefice, per giustificarlo e per fornire a lui delle attenuanti, piuttosto che guardare le cose per quello che sono: violazioni dolorose, violenze inaudite, crimini contro le donne, contro le persone.
E non basta affidare il destino delle vittime e dei carnefici alla giustizia, perché anche quando questa svolge il suo corso, quello che resta è uno stigma che ci affligge tutti e che è destinato a ripetere. Perché se esiste un Paese dove i giovanissimi credono che toccare le parti intime senza consenso non è violenza, e che i comportamenti e gli abiti di una donna possano diventare un invito allo stupro, vuol dire che tutti abbiamo sbagliato. Che abbiamo già fallito.
La colpa è della vittima: l’indagine ActionAid – Ipsos
I casi di cronaca confermano una verità sconcertante: siamo così assuefatti dai pregiudizi, dagli stereotipi e dalle differenze di genere, che ormai ci siamo abituati a colpevolizzare la vittima, anche se quelle colpe non le ha. Victim blaming, questo il nome ufficiale di una tendenza che porta dolore dove già esiste, che considera la vittima di un crimine responsabile di ciò che le è accaduto.
In Italia succede spesso. Accade tutte le volte che una donna subisce molestie, abusi, violenze e soprusi. Perché è stata troppo provocante, perché era ubriaca, perché il consenso è opzionale, perché era solo un gioco. Allora ecco che diventa più facile aggrapparci a ciò che conosciamo, agli stereotipi che hanno sempre dominato la società, piuttosto che guardare le cose per quello che sono: i mostri esistono, e vivono tra noi.
I mostri siamo noi che non abbiamo fatto dell’educazione uno strumento potentissimo per insegnare alle future generazioni che un mondo migliore è possibile, ma solo se impariamo a rispettare gli altri. Lo dimostra il pensiero collettivo e dominante, quello che è stato tramandato alla stregua di un’eredità maledetta e che oggi divaga tra i giovanissimi.
A confermarlo è una recente indagine condotta da ActionAid e Ipsos che rileva particolari inquietanti. Per 1 giovane su 5, infatti, non è violenza toccare le parti intime senza consenso. E, ancora, 1 su 5 crede che un abbigliamento succinto o un comportamento eccessivamente provocante possa contribuire a una violenza sessuale. E il resto? Cosa percepiscono davvero i ragazzi quando si trovano davanti a una violenza? E cosa possiamo fare noi, invece, per cambiare le cose?
“I giovani e la violenza tra pari”: la fotografia del nostro Paese
I dati che emergono dall’indagine “I giovani e la violenza tra pari” condotta da Ipsos per ActionAid sono preoccupanti, eppure preziosi per noi. Perché ci permettono di delineare una fotografia ben precisa del nostro Paese, e dinnanzi a quella di riflettere e agire.
Lo studio è stato condotto su un campione di 800 ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 19 anni. A loro è stato chiesto cosa pensano della violenza, come la percepiscono e come reagiscono davanti a questa. Per l’80% dei giovani è considerata violenza toccare le parti intime senza consenso, questo però vuol dire che 1 su 5 non riconosce questo gesto come tale. È violenza anche picchiare qualcuno e fare foto e video in situazioni intime per poi diffonderle, soprattutto per le ragazze.
La violenza fa paura, soprattutto alle giovani donne che vivono con maggiore angoscia situazioni allarmanti. Tra le più citate ci sono le prese in giro, gli insulti e l’esclusione, gli approcci non consensuali e la diffusione di foto e video intimi e privati. Le ragazze sono anche vittime di catcalling, le molestie di strada che prevedono commenti indesiderati e avances sessuali. Per i giovani di sesso maschile, invece, la paura è legata principalmente all’insorgere di azzuffate o risse.
Gli adolescenti di entrambi i sessi, però, concordano sull’identificazione di chi commette atti di violenza in Italia. Sono i ragazzi, soprattutto se in branco, e gli uomini adulti.
E quali sono, invece, i motivi che scatenano questa violenza? I dati Ipsos, raccolti con il supporto dell’IBISG -Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, mettono al primo posto le caratteristiche fisiche, con il 50%, seguito poi dall’orientamento sessuale, 40%, e dall’appartenenza di genere (36%).
I dati raccolti dall’indagine confermano anche quello che già sappiamo: la maggior parte dei giovani che subiscono una qualche forma di violenza non denunciano, o almeno non lo fanno sempre. Perché? Hanno paura e si vergognano. Temono di non essere creduti o che quella verità svelata possa in qualche modo ripercuotersi sulla loro vita. Così tacciono.
Un altro dato interessante, da tenere in considerazione, riguarda il pensiero delle persone non binarie/fluide/trans. Secondo l’indagine, infatti, queste temono aggressioni, insulti e offese verbali. Inoltre 1 su 3 intervistati a dichiarato che queste persone stanno solo seguendo una moda del momento.
Quasi 1 su 3 sostiene che molte persone che si identificano come non binarie/ fluide/trans stanno solo seguendo una moda del momento.
Il cambiamento passa per l’educazione
“I dati confermano quanto ActionAid osserva nelle scuole da anni e cioè la necessità di occuparsi di violenza oltre le forme di bullismo e cyberbullismo, che colpiscono soprattutto gli under 14. La violenza tra adolescenti ha le radici nella società patriarcale che ancora oggi influenza il processo di crescita delle nuove generazioni e non permette di sovvertire dalle fondamenta la cultura dello stupro”, spiega Maria Sole Piccioli, Responsabile Education di ActionAid.
Il Ministro dell’istruzione Valditara ha già proposto di introdurre l’educazione sessuale nelle scuole superiori per contrastare ogni forma di violenza. Un progetto, questo, che prevede la messa a punto di lezioni di educazione alla sessualità, tenute dagli stessi studenti, col fine di formare i giovani sulla parità di genere e sul rispetto degli altri.
Ma la proposta del Ministro, da sola, potrebbe non bastare. È questo il pensiero di Maria Sole Piccioli che chiede “Una formazione obbligatoria co-progettata per docenti e studenti di tutti i cicli scolastici con personale esperto autonomo e laico, la presenza a scuola di tutor per la prevenzione e la gestione dei casi; vanno introdotti di codici anti-molestia, di bagni neutri e delle Carriere Alias”.