Fare la casalinga è davvero un lavoro?

Le donne che rinunciano a lavorare per amore della famiglia sono spesso bollate dalla società come fallite. Ma stare a casa per scelta è comunque faticoso. È un impegno quotidiano senza stipendi o benefit

Pubblicato: 3 Ottobre 2016 12:50

DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Da una parte c’è chi rifiuta il pensiero di dover rinunciare al lavoro e alla carriera per dedicarsi completamente ed esclusivamente alla casa e alla famiglia, dall’altra, invece, c’è chi vorrebbe occupare il tempo della sua vita esattamente così, ma non può farlo per i più diversi ed evidenti motivi.

C’è invece chi casalinga lo è, per scelta o per necessità. Sono ancora molte le donne in Italia e nel mondo che dopo la maternità abbandonano il posto di lavoro e scelgono di occuparsi della casa e dei bambini per i più differenti motivi: vogliono crescere il loro bambino, non possono permettersi i costi di eventuali baby sitter e asili nido che spesso sono così alti che conviene occuparsi direttamente del piccolo, e sanno bene che dover districarsi tra lavoro e famiglia comporta stress e sforzi non indifferenti.

Ma se 40 anni fa, dedicarsi totalmente alla famiglia era considerata una decisione più che lecita, oggi la donna che non lavora per stare vicino ai figli è spesso stigmatizzata dalla società. Perché essere casalinga non è un lavoro. O forse sì?

Fare la casalinga è un lavoro?

Donna dedita esclusivamente alla cura e all’andamento della casa e della famiglia. (Da Oxford Languages)

La definizione che restituisce il dizionario alla voce di casalinga riflette bene quello che conosciamo di questo ruolo che, appunto, è ricoperto da tutte le persone che impiegano la loro quotidianità nella cura della casa e della famiglia. Certo, non esiste una retribuzione per le casalinghe, così come non ci sono ferie pagate, malattie concesse e altri benefit aziendali. E non c’è neanche il tempo, perché quello è tutto dedicato agli altri membri della famiglia.

Siamo d’accordo tutti, quindi, che sulla carta questo non è un lavoro, eppure secondo una ricerca condotta qualche tempo fa da salary.com, fare la casalinga sarebbe un impiego degno di rispetto che meriterebbe uno stipendio molto elevato, pari a 7mila euro al mese, considerando tutto quello che una donna fa per gestire la casa: pulire, cucinare, lavare, stirare, aiutare i figli coi compiti, organizzare le loro attività e accompagnarli. Un salario, questo, definito sulla base delle retribuzioni medie delle figure professionali che una casalinga ricopre: cuoca, autista, baby sitter ecc.

D’altro canto, lo sappiamo, questi conti non corrispondo alla realtà. Anzi, la donna che decide di stare a casa non solo non percepisce alcuna retribuzione, ma non le vengono versati i contributi pensionistici. Sul lungo periodo la perdita in termini di denaro è notevole.

Chi sono le casalinghe di ieri e quelle di oggi

Diverse ricerche universitarie hanno tracciato i profili di 4 tipologie di casalinghe: le soddisfatte (forse quelle più in là con l’età, che hanno scelto di stare a casa), le temporanee (mediamente più giovani, attendono opportunità per tornare al lavoro), le costrette (fanno le casalinghe ma non amano stare a casa) e le adattate (hanno una storia lavorativa alle spalle e hanno avuto la possibilità di decidere se stare a casa).

Interessante è l’esperienza di Terry Spraitz Ciszek, casalinga del North Carolina. Come racconta al sito The Atlantic, negli anni ’80 ha scelto di smettere di lavorare per dedicarsi interamente alla casa e ai figli (ne ha avuti tre, tra i 28 e i 39 anni). Lei era un’infermiera ma quando è rimasta incinta non ha voluto nemmeno provare a conciliare lavoro e famiglia. Non solo non avrebbe sopportato il distacco dai bambini, ma avrebbe avuto bisogno di una tata 24 ore su 24, dato che suo marito era medico ed era spesso in turnazione in ospedale.

Anche se si fosse potuta permettere una baby sitter, non avrebbe mai accettato di far seguire i suoi bimbi da altri. Si è raccontata soddisfatta di aver avuto il tempo di condividere la vita con loro: di andare in bicicletta, di spiegare loro gli insetti. Insomma, di aver dedicato la sua esistenza alla famiglia, cosa che non avrebbe potuto fare se fosse tornata al suo impiego.

Il racconto di Terry è la prova che fare la casalinga è un impegno quotidiano, paragonabile al lavoro per dispendio del tempo, che può dare grandi soddisfazioni. Nel migliore dei mondi possibili, per citare il filosofo Leibniz, sarebbe perfetto se fosse riconosciuto e se anche le donne che si occupano a tempo pieno ricevessero uno stipendio. In Italia già nel lontano 1982 Adriana Poli Bortone, dell’allora Msi, presentò una proposta di legge affinché fosse garantito alle casalinghe un salario mensile.

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