Dicono che il rapporto tra padre e figlia sia unico e speciale come forse nient’altro al mondo. Dicono che tutto nasce come per magia, come una scintilla, al primo sguardo, ma che a volte, il tempo ci mette lo zampino malamente complicando tutto.
Perché si tratta di una relazione piena di sentimenti, cruciale e densa di emotività e a volte sembra difficile gestirla. Lo è sicuramente quando il tempo scorre, quando il carattere si forgia e si ribella. Lo è anche quando, spinti dal desiderio di osare e di sbagliare, le aspettative vengono infrante. Da una parte e pure dall’altra.
Ma in fondo, a guardare la mia esperienza personale, è proprio questo che fa la differenza. La capacità di andare oltre i ruoli, di conoscersi, e farlo ancora, con tutti i cambiamenti che il tempo porta con sé. Di accettarsi senza riserve e di amarsi, come prima e più di prima. Proprio come abbiamo fatto io e te, papà.
Caro papà…
Il principe, l’unico per me, nonché emblema dell’uomo nell’universo, una principessa, fragile e al contempo ribelle da proteggere: ecco cosa siamo stati io e te, papà. Con i nostri alti e bassi, con le nostre incomprensioni, con il tuo desiderio di proteggermi e il mio di scappare, di essere libera.
Mi hanno detto che tu avresti influenzato in maniera perenne tutta la mia vita, le mie scelte e i miei rapporti amorosi e lo hai fatto. E ora non mi resta che dirti grazie per ciò che sei stato, e sei ancora per me, perché guardandomi adesso non posso che essere orgogliosa della donna che sono oggi, perché assomiglio a te, papà.
L’uomo di casa, quello che non c’era mai, che per lavoro doveva allontanarsi più del dovuto, ma che con la sua presenza sapeva colmare ogni precedente assenza. Questo eri papà, la persona alla quale volevo somigliare a ogni costo da grande, un punto di riferimento, un mito e una leggenda. La mia.
Perché tu mi hai insegnato a essere donna, ma soprattutto a essere libera. Mi hai portato con te a a lavoro, hai fatto shopping con me e mi hai insegnato a calciare, a non avere paura di sporcarmi col fango o di rovinare il vestitino rosa che mamma aveva stirato con tanta premura. Mi hai permesso di sognare, eccome se lo hai fatto. Di realizzare i miei sogni, di inciampare e di cadere. Non mi hai mai impedito di fare quelle cose “da maschio” perché mi hai esortato a essere me stessa: forte, tenace e anche ribelle se necessario.
Mi hai parlato di amore, lo hai fatto quando quell’uomo così diverso da te ha mandato il mio cuore in frantumi e io mi sono persa. E lo hai fatto anche quando, crescendo, ti ho accusato di non essere quello di un tempo, di non essere perfetto come avevo immaginato e sperato. Di avere dei difetti e delle mancanze anche tu, proprio tu che eri l’indomito principe della mia infanzia. Lo hai fatto restandomi accanto, chiedendomi scusa anche quando a sbagliare ero io, mostrandomi le tue fragilità, quelle che si nascondevano dietro all’essere umano. Perché sei anche questo, oltre a essere il mio papà.
E l’ho capito, crescendo e vedendoti sempre lì, accanto a me, in modi e maniere inaspettati. Siamo cambiati insieme, siamo diventati amici e complici, ammiratori segreti l’uno dell’altra. Abbiamo iniziato ad amarci, come prima e più di prima, facendo crescere il nostro rapporto, così come siamo cresciuti noi.
Ecco perché, caro papà, ti dedico questa splendida poesia di Gabriele Corsi, perché l’unica cosa che voglio, ora e per sempre, è essere ancora tua figlia, come prima e più di prima.
Fammi essere per sempre tuo figlio, il testo della poesia di Gabriele Corsi
Fammi essere ancora figlio. Solo una volta. Una volta sola.
Poi ti lascio andare.
Ma per una volta, ancora, fammi sentire sicuro. Proteggimi dal mondo.
Fammi dormire nel sedile dietro il tuo. Guida tu. Che io sono triste e stanco.
Ho voglia che sia tu a guidarmi, papà. Metti la musica che ti piace. Che sarà quella che una volta cresciuto piacerà a me.
Fammi essere piccolo.
Pensa tu per me.
Decidi tu per me.
Mettimi la tua giacca, che a me sembra enorme, perché ho freddo. Prendimi in braccio e portami a letto perché mi sono addormentato sul divano. Raccontami storie.
E se sei stanco non farlo. Ma non te ne andare.
Ho voglia di rimanere figlio per sempre.
Abbracciami forte come dopo un gol.
Dormi ancora, come hai fatto, per una settimana su una sedia accanto al mio letto in ospedale.
Rassicurami.
Carezzami la testa.
Lo so che per tutti arriva il momento in cui devi fare da padre a tuo padre.
Ma io non voglio.
Non ora.
Voglio vederti come un gigante. Non come un uccellino.
Non andare, papà.
Ti prego.
Fammi essere ancora figlio.
Fammi essere per sempre tuo figlio.