Peter Magubane, chi era l’uomo che ha fotografato l’apartheid

Ha combattuto l'apartheid usando la sua macchina fotografica, raccontandone la crudeltà: era Peter Magubane, che ci ha lasciati all'inizio del 2024

Pubblicato: 10 Gennaio 2024 13:27

DiLei

Redazione

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Guardare il male, raccontarlo, non esserne divorato e riuscire a non farsi annichilire: questa è stata, probabilmente, l’impresa principale del fotografo Peter Magubane, che ha lasciato questa Terra il 1 gennaio 2024 a 91 anni. È stata una vita lunga, quella di Magubane, segnata da momenti dolorosi ma soprattutto dal desiderio, forte e impetuoso, di raccontare la politica di segregazione razziale in Sudafrica mostrando al mondo intero i suoi orrori, per far sì che cessassero, che l’apartheid diventasse un ricordo.

Peter Magubane e l’amore per la fotografia

Ma chi era Peter Magubane? Senza dubbio un uomo con un amore viscerale per la fotografia. Un amore talmente grande da essere nato quando andava ancora a scuola: trovata una Kodak Brownie, Magubane ha iniziato a realizzare scatti dopo scatti, catturando immagini piene di significato nonostante fosse solo un bambino. Poi, nel 1954, quando aveva soli 22 anni, è arrivato un altro momento chiave della sua esistenza: si trovò per le mani una copia della rivista Drum che raccontava la storia delle persone di colore nelle città sudafricane e l’effetto dell’apartheid sulle loro vite.

Le questioni sociali che interessavano le persone di colore iniziarono a essere al centro della sua esistenza e Magubane realizzò di voler fare qualcosa, di essere parte attiva in quello che succedeva intorno a lui. Per questo contattò proprio Drum, chiedendo di poter fare parte della squadra. La rivista, all’inizio, gli concesse solo di fare da autista ma, grazie alla sua determinazione, dopo qualche mese gli venne assegnato il primo reportage sotto la guida del fotografo senior Jürgen Schadeberg.

Gli escamotage e il racconto senza filtri

Il primo reportage diede a Magubane la misura di quanto fosse difficile, in quel periodo, essere un fotografo nero che si occupava di tematiche sociali in Sudafrica. Il dolore, gli ostacoli, il diffuso razzismo gli fecero enormemente male, ma non fiaccarono il suo spirito. Iniziò a essere noto per gli escamotage con cui riusciva a realizzare i suoi servizi più difficili: dato che alle persone di colore non era permesso portare macchine fotografiche all’aperto, iniziò a nasconderle in modi a dir poco creativi.

Una volta la sua fidata macchina fotografica fu nascosta dentro una Bibbia (gli scatti venivano realizzati grazie a un cavo), ma il “trucco” più eclatante riguardava del pane e del latte: «Durante un processo a Zeerust in cui era vietata la stampa, nascosi la mia Leica 3G in una pagnotta scavata. Ho fatto finta di mangiare, mentre in realtà stavo scattando delle foto; quando il pane è finito, ho comprato il latte e ho nascosto la macchina fotografica nel cartone. E me la sono cavata. Bisognava pensare velocemente ed essere veloci per sopravvivere a quei tempi», ha detto durante un’intervista.

Negli anni Sessanta Magubane ha lasciato Drum per diventare un libero professionista, ma già nel 1967 figurava tra gli impiegati del Rand Daily Mail, con cui ha collaborato a lungo. Proprio per questa testata ha realizzato degli scatti tanto strepitosi quanto devastanti: nel 1960 era a quello che divenne noto come Massacro di Sharpeville e dopo che la polizia uccise almeno 69 manifestanti disarmati, Magubane fotografò un gruppo di poliziotti con le spalle rivolte alla telecamera, apparentemente indifferenti al corpo di un uomo di colore dietro di loro.

Un patrimonio doloroso ma fondamentale

Nel 1969, il Rand Daily Mail gli assegnò il compito di presenziare a una manifestazione fuori dalla prigione dove era detenuta Winnie Madikizela-Mandela, moglie di Nelson Mandela, insieme ad altri 21 attivisti anti-apartheid. Per i suoi tentativi di scattare, Magubane è stato arrestato su accuse legate alla sicurezza e ha trascorso 586 giorni consecutivi in ​​isolamento. Al termine di questi giorni è stato rilasciato in modo apparentemente “pacifico”, ma gli è stato anche imposto un ordine di “divieto” che, di fatto, gli ha impedito di lavorare e ha limitato le sue interazioni pubbliche a una sola altra persona per volta.

Fu arrestato ancora una volta nel marzo 1971 per presunta violazione delle norme di divieto e ha trascorso più di sei mesi in prigione, compreso un altro periodo in isolamento di 98 giorni. Quando è tornato libero ha ripreso le sue attività: era presente anche alle rivolte di Alexandra nel 1976, dove immortalò un gruppo di manifestanti che lanciavano sassi, e negli anni successivi ha mostrato tutte le umiliazioni dell’apartheid, compresa una fila di uomini neri in cerca di lavoro  spogliati nudi, in fila durante un’ispezione sanitaria.

Grazie al suo lavoro, doloroso e fondamentale, Magubane ha realizzato alcuni degli archivi fotografici più completi del Sud Africa dagli anni ’50 fino alla fine dell’apartheid e all’elezione di Nelson Mandela nel 1994 come primo Presidente nero del Paese. E per merito del suo lavoro, siamo testimoni di orrori che si spera non si verifichino mai più.

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